LA FONTE FAVARA

LA FAVARA AGLI INIZI DEL 1900

 

      Questo nome risale alla dominazione araba in Sicilia, significa appunto ‘sorgente’ ed è comune ad altri luoghi di Sicilia. Sgorga a valle dell’abitato, poco oltre lo sbocco della Cava, a quota 65 m. sul livello del mare. La sua portata media è oggi di 15-16 l. al sec. Negli anni 1920 formava alla fonte un laghetto di ca. 80 m di diametro, ed aveva una portata di ca. 180 l./s., settima fra tutte le sorgenti della Sicilia. Nei tempi passati alimentava ben 5 mulini; tre abbandonati agli inizi del ’900 e due in uso fino al 1950.

   Vito Amico Statella (1767) ci dice che “La Favara con le sue copiose e ridondanti acque, che irrigano le campagne vicine, assieme all’Ispa, forma due laghi pescosi: il primo di mezzo miglio di circuito, è detto Busaitonello, il secondo, il doppio maggiore, Busaitone; anche il fiume, dal pantano Gorgo Salito, fino alla foce di S. Maria del Focallo, porta nelle carte il nome Busaitone.

   Questo toponimo risale alla colonizzazione greca (secc. VII-VI a.C.) e deriva o da Poseidone, dio greco del mare (ma non dei fiumi) o più probabilmente secondo noi, da bous ‘bue’ e ‘aedòn’ canto, nel significato di ‘canto o muggito dei buoi’, che dai Siculi e dai Greci erano allevati e pascolavano lungo le sue fertili rive.

   E’ molto interessante quanto si tramanda su questa fonte Favara.

   Nel 59-60 d.C., secondo un’antica tradizione, la nave su cui viaggiava l’Apostolo S. Paolo attraccò in un porto vicino a Capo Pachino, cioè a Porto Ulisse! Negli “Atti degli Apostoli” (28, 11-13) è detto: “ Dopo tre mesi salpammo su una nave alessandrina con l’insegna dei Dioscuri, che aveva svernato nell’isola. Ed essendo stati trasportati a Siracusa, sostammo tre giorni. Quindi, costeggiando, giungemmo a Reggio.” Dice in proposito il gesuita P. Ottavio Caietani (1566-1620) (Isagoge,166): “ Non mancano prove a conferma che la navigazione di S. Paolo dall’isola di Malta a Siracusa fu lenta; infatti prima che egli, trasportato dalla nave, approdasse nel porto di Siracusa, noi crediamo che sia sceso nella spiaggia al di qua del promontorio Pachino e abbia visitato i luoghi vicini (in oram cis Pachynum promontorium descendisse existimamus et vicina loca collustrasse).” I termini precisi usati dal Caietani, e  che  certo  egli  riporta dall’“antica veneranda tradizione”, non lasciano dubbi che debba trattarsi proprio di Porto Ulisse o di Ina. Ora infatti significa “insenatura sabbiosa”, quale è Porto Ulisse, più propriamente di plaga dell’Itinerario antoniniano; e cis significa “al di qua di” opposto a ultra e trans, “al di là di”! E l’unico porto “al di qua” di Pachino era il nostro, mentre viene escluso un porto “al di là” (Marzamemi, Vendicari, Eloro).

Orbene possiamo integrare il Caietani con altri testi del Sei e Settecento che riportano echi dell’antica tradizione e non possono certamente essere frutto di pura invenzione. L’autorevole storico palermitano del Settecento, Antonino Mongitore così scrive (La Sicilia ricercata, 417): “Nella grossa terra di Spaccaforno ritrovasi un fonte le cui acque uccidono col tocco i serpenti, come scrive l’eruditissimo conte Ciantar (De Beati Paoli Apostoli in Melitam naufragio, Venezia 1738, diss. XX, par. VI); e ben attribuisce tal virtù all’Apostolo Paolo, che eccitò questo fonte nel passar da tal luogo: confermando ciò coll’autorità del P. Manduca che nella sua Storia di Malta dice: “L’Apostolo dal castello di Spaccaforno fece scaturire una fonte, al contatto della cui acqua i serpenti si intorpidiscono e muoiono.” Non ci può essere dubbio che questa fonte è “La Favara”, come dice bene A. Moltisanti (Ispica, 55). Dunque S. Paolo, da Porto Ulisse giunse nella nostra Cava d’Ispica, dove il Cristianesimo era già stato introdotto da discepoli dei Vescovi Marciano di Siracusa e Pancrazio di Taormina, e poi proseguì sulla “via Elorina”.

 

 

 

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