CHIESE E VILLAGGI RUPESTRI

 

LA GROTTA DEI SANTI

GROTTA DEI SANTI - MADONNA COL BAMBINO E SANTI

 

 

PACOMIO IL GRANDE

PIANTA E RICOSTRUZIONE (DA GIGLIO)

 

   La chiesetta rupestre è sita a monte dell’abitato, nella contrada Marchesa. Faceva parte di un agglomerato rupestre, con grotte disposte su più filari, che hanno sfruttato in parte la necropoli castellucciana, riutilizzata dal successivo cimitero paleocristiano. Avancorpi di case in muratura sono segno della continuità dell’abitato nei secoli successivi.

   La grotta ha in totale la profondità di m. 19,30. Da un vestibolo scoperto (nartece) lungo ca. mt. 8, 20, si accede ad un camerone rettangolare di m. 9,15 x 5,45 e m. 2 di alt.. Un tramezzo con porta larga (0,94 x 2,07) e una sola finestrella (o,25 x 0,62) ha funzione di templon o iconostasi e separa l’aula dal presbiterio, che misura m. 3,50 x 2,65. Nel pavimento sono scavate una dozzina di fosse concave (diam. 1,25 x 0,45 prof.), Secondo l’archeologo Rizzone (Arch. 2004, p. 25), “probabilmente servivano per allogarvi dei pithoi (giare). Ma in questo caso sarebbe stata impedita la percorribilità dell’aula e d’altra parte il contenuto, che probabilmente consisteva in grano, olio, vino necessari per la comunità, poteva ben essere conservato nella roccia e coperto da pedane lignee per il calpestio.

   Secondo la recente rilettura del Rizzone, (A.S.M 2004, pp. 26-29), che ha corretto quella precedente di Aldo Messina, nell’aula è  effigiata una teoria di  33 figure di santi: 14 nella parete sinistra, 7 in quella di fondo e 12 in quella di destra. Purtroppo gran parte di esse sono state distrutte e danneggiate per lo più dalla bestiale ignoranza di alcuni vandali in tempi recenti. Giustamente l’Agnello considera questa semplice ma monumentale chiesetta “uno dei documenti più ricchi dell’arte pittorica bizantina della Sicilia” (p. 246). Le figure sono sviluppate in senso verticale, a mezzo busto, di pieno prospetto su fondo blu, coronate da nimbo giallo-oro, alcune incorniciate da fasce colorate, altre limitate solo nella parte superiore. Una lettura più attenta ha permesso di riconoscere, con qualche incertezza, gran parte dei santi. Noi proponiamo altre integrazioni e modifiche.

   Nella parete sinistra sono riconoscibili per la didascalia S. Giorgio e S. Teodoro. S. Giorgio è il famoso santo cavaliere del III secolo, martirizzato a Nicomedia. Fin dai primi tempi fu particolarmente venerato nella Chiesa Greca. In Sicilia il suo culto riprese vigore in età normanna. A lui sono dedicate le due magnifiche chiese barocche di Modica e Ragusa Ibla. Teodoro è il soldato e martire del 306. Il suo culto è attestato già nel secolo IV dalla basilica, ornata di pitture e mosaici, eretta ad Euchaita nel Ponto, dove era custodito il suo sepolcro. Patrono dell’esercito bizantino T. ebbe in tutto l’Oriente e l’Occidente cristiano  numerose chiese e una ricca iconografia. Alla fine del secolo VI monasteri erano dedicati a T. a Palermo e a Messina, come afferma Papa Gregorio Magno (Epistulae, in MGH, I, p.11, II, p. 93). Il suo culto nella zona è attestato nell’antico eremitorio di Crocesanta vicino Rosolini, in una chiesa di Modica Alta, anteriore al 1600 ( F.L. Belgiorno, Modica e le sue chiese, 1953, p, 195) e in un’altra chiesetta di campagna, poi distrutta, dell’antica Spaccaforno-Ispica (Moltisanti, p. 79)

   Una Theotokos (Madre di Dio) col Bambino, di cui si vede parte del nimbo (Rizzone); a sinistra si legge A G I A (Santa) e a destra solo una “A” che noi integriamo facilmente con MAPIAM (per Messina invece è S. Barbara); Il santo successivo, con capelli di colore marrone, è accompagnato dalla didascalia “PA”, non identificabile per Rizzone. Per noi non c’è dubbio che si tratti di Pacomio Il Grande (292-346), considerato con S. Antonio Abate, suo contemporaneo e qui presente, il padre del cenobitismo egiziano. E’ l’autore della famosa regola monastica che S. Girolamo nel 404 fece conoscere all’Occidente e alla quale si ispirarono le principali istituzioni monastiche d’Oriente e d’Occidente. Santo Vescovo, canuto e stempiato, con nimbo perlato e resti del pallio con croci nere. Il Messina propone giustamente S. Basilio. E’ Basilio il Grande (329-379), Vescovo di Cesarea, Padre della Chiesa, Patriarca, con le sue Regole, del monaci orientali detti da lui Basiliani. Il fatto che sia il solo santo della parete sinistra ad avere il nimbo perlato, si può spiegare, secondo noi, perché i monaci di Cava d’Ispica lo consideravano un loro Maestro e guida spirituale.  Santo monaco con croce in mano e tunica marrone. Rizzone propone S. Antonio Abate (250-356),  l’altro  grande  padre  di monaci, anche per le due lettere NT. S. Biagio, che ha il pallio episcopale, benedice con la destra e regge il vangelo con la sinistra; l’identificazione è sicura perché a destra c’è la didascalia BLASIO. E’ il vescovo di Sebaste in Armenia martirizzato  sotto Diocleziano o Licinio (III-IV sec.). Già nel VI il suo culto presso i Bizantini è testimoniato come santo ausiliatore, patrono degli agricoltori e protettore degli animali e delle malattie della gola.

   S. Giovanni  Prodromos (Precursore) (restano le due lettere PO), con capelli arruffati, baffi e barba e nella sinistra un rotolo, dove, su undici righi era scritto, secondo il Messina, il passo di Giovanni (1,29) “Ecce Agnus Dei…”, conformemente all’iconografia tradizionale; per Rizzone, sulla base di alcune lettere, invece quello di Matteo 3, 1ss: “Poenitentiam agite….”.

Gli affreschi dell’iconostasi sembrano più antichi: S. Nicola, del cui nome sono leggibili alcune lettere; la Theotokos in trono (Basilissa) in un pannello più grande, fra la finestrella e la porta del templon: visibili tracce del volto, del nimbo del Bambino e della spalliera del trono.  Nell’altro grande pannello del lato destro, al centro della teoria, c’era probabilmente il Cristo Pantocrator; segue S. Pietro (P..T..OS),  una santa Ciriaca (KY…), secondo Messina e Rizzone. E’ probabile che si tratti di S. Ciriaca martire a Nicomedia, sotto Massimiano e non della martire romana contemporanea di S. Lorenzo. S. Marco (MARKO).

   Nella parte di destra il primo è un santo monaco canuto con tunica e croce bianca in mano: la didascalia integrata da Rizzone sarebbe EUFEMIOS. Si tratta di S. Eutimio il Grande di Mitilene (Armenia) monaco eremita (377-460) che visse in grotte simili a quelle della Cava e operò molti miracoli, come S. Ilarione. Il monachesimo palestinese gli deve molto per la fioritura di monasteri fondati da lui e dai suoi discepoli. Il suo culto si diffuse in Oriente e in Occidente. Un’altra Theotokos (H AGIA MHTHP QEOY) con volto reclinato sul Bambino (Eleusa o Glicophilusa); S. Lucia: resta solo la lettera L, ma è riconoscibile per la caratteristica patena che tiene in mano (Messina); S. Giacomo: (I..KO..OC); sotto in un cartiglio con iscrizione votiva, dove Messina legge la prima parola, MNESQETI (Memento) e Rizzone le ultime, I, X (Iesus Christus): S. Filippo (F I LU..OS): segue una santa con corona gemmata e un manto regale sulle spalle Messina e Rizzone vi riconoscono S. Caterina d’Alessandria. Ma la corona è propria di una Regina o Imperatrice non di una Vergine e Martire come Caterina. E’ perciò più probabile l’ipotesi dell’Agnello che vi riconosce S. Elena madre di Costantino, la quale è raffigurata proprio come una matrona in abiti regali e con in capo una corona. Le lettere rimaste possono essere interpretate come ELENH. Secondo Rizzone (2004,27-29) regge nella sinistra “un disco con un W e abbreviazioni illeggibili”, simboli che non si possono riferire a S. Caterina, che invece dovrebbe avere la ruota dentata, strumento del suo martirio, come nella Catacomba di S. Gennaro a Napoli.. Mi pare invece di riconoscere un monogramma costantiniano in clipeo con le due lettere apocalittiche A e W.: in riferimento al monogramma chi-rho del figlio, ma soprattutto per la scoperta da lei fatta della Croce di Cristo a Gerusalemme.

   Il santo vescovo successivo, secondo il Messina, “per la mitra corta, è di rito latino ed è l’unico con la successiva Theotokos della parete destra ad avere il nimbo perlato.” Invero la mitra greca si distingue dalla latina per la forma non per l’altezza; è il nimbo scambiato per mitra. Comunque, per la sua forma perlata, come il S. Basilio dell’altra parete, è certo considerato il santo più illustre. Potrebbe essere S. Agostino (354-430), il più grande dei Padri latini. Anche lui diede inizio a comunità religiose di chierici, che si diffusero grandemente in molte parti dell’Africa e anche oltremare. Sappiamo invero che i monaci di rito orientale non seguivano strettamente soltanto le Regole di S. Basilio, ma riconoscevano anche altri santi come maestri di vita cenobitica. 

   Coppia di Santi, uno, per le due lettere superstiti della didascalia, D T, Demetrio; l’altro, secondo Rizzone, S. Nestore. Sarebbero i due santi compagni guerrieri (non cavalieri) martiri nel 306 sotto Massimiano. Sono rappresentati con armatura, spada e lancia. Il martirologio siriaco del IV sec. parla di un S. Demetrio a Sirmio.  Nel 413 gli fu eretta una grande basilica a Tessalonica, che divenne il centro del suo culto. Il penultimo santo per il Messina è S. Giovanni Crisostomo (347-407) per le lettere I W - XP, non riconosciute da Rizzone.

    La chiesa presenta gli elementi tradizionali del rito greco (iconostasi, altare al centro del presbiterio, orientamento est-ovest, didascalie greche). Il Messina preferisce l’età normanna. e vuole riconoscere nella teoria un preciso programma decorativo, secondo la spiritualità di una comunità monastica greca della zona. Il sacello poteva servire per la piccola comunità cristiana servita da un presbitero (Sammito – Rizzone) o dai monaci. Secondo noi, non è necessario ipotizzare l’arrivo di nuove popolazioni grecofone dall’Italia Meridionale, non documentato, e non ci sono ragioni valide per escludere l’origine del sacello in età bizantina (V-VI sec.), quando la chiesa greca era fiorente in Sicilia.; il culto riprese vigore dopo la fine della dominazione araba, in età normanna e tardo-medievale. G. Agnello (p. 246ss.) considera questa chiesetta semplice ma monumentale “uno dei documenti più ricchi dell’arte pittorica bizantina della Sicilia.” Le caratteristiche formali delle figure (schematismo ieratico, rappresentazione frontale su fondo monocromo, colori, lettere) e quelle iconografiche sono proprie del periodo protobizantino. Altra conferma è data da alcuni oratori rupestri con numerosi pannelli pittorici in migliore stato di conservazione, come quello di S. Lucia a Siracusa e la Grotta dei Santi a Castelluccio, che hanno identiche caratteristiche, disegni, colore, movimenti e sono certamente paleobizantine, premusulmane. Scrive il Garana (p. 82): “Secondo la consuetudine tutta bizantina di decorare di sacre immagini le pareti delle basiliche, anche i santuarietti rupestri hanno le loro teorie di santi, barbaramente sfregiati dagli Arabi invasori [ma più probabilmente, in tempi a noi più vicini] , nemici, come si sa, di tutte le rappresentazioni antropomorfe.” E l’Orsi ( Sic. Biz., 25): “Se queste pitture ci fossero pervenute intatte, avrebbero formato, assieme alle cimiteriali di Siracusa, uno dei più ragguardevoli complessi per la storia della pittura siciliana dell’Alto Medio Evo. Tutte queste chiesette della Sicilia sono bizantine nello stile, nella forma, nella distribuzione delle parti, nella decorazione.”

   Inoltre, aggiungiamo noi, i pannelli raffigurano profeti, apostoli, santi e monaci dei primi cinque secoli e mancano santi medievali.

   Riguardo al problema della datazione dei pannelli palinsesti delle chiesette rupestri della Cava e di altre zone della Sicilia, in particolare sud-orientale, sono ancora valide le osservazioni del- l‘Agnello e del Pace. “Le pitture palinseste con le varie riprese iconografiche confermano la continuità del culto. Purtroppo, a causa della loro tenuità non è sempre possibile giudicare quali appartengono al periodo premusulmano e quali invece alla ripresa del culto bizantino, che, in rapporto col Rinascimento Macedone, segue nella Sicilia Normanna, ove dominano non solo le grandi serie dei mosaici di Cefalù, della Martoriana, della Palatina e di Monreale, ma anche le manifestazioni minori dell’arte” (Agnello, Santuarietti rupestri….p. 32. Pace IV, 398.).

 

 

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