GROTTA DELLA MADONNA O DI S. NICOLA

PIANTA (DA S. GIGLIO)

LA MADONNA GLYCOPHILUSA DELLA GROTTA- IPOTETICA RICOSTRUZIONE DELL’AFFRESCO

(da Immagini rupestri bizantine nel siracusano, p. 90, Siracusa, 1992).

 

 

S. NICOLA  – S. NICOLA ICONA MOSAICO DEL X SECOLO.

(Da Gerardo Cioffari, S. Nicola nella critica storica, p. 160, Bari 1987)

 

   Questa chiesetta rurale è sita alla periferia nord dell’abitato e certo costituiva il luogo di culto di una settantina di grotte della zona. E’ formata da una piccola aula rettangolare (4,90x4) con ingresso laterale a sud. Nel lato est c’è un’edicola asimmetrica, probabilmente un’abside con l’altare (2,20x1,80) e a fianco una nicchia semicircolare abbassata fino al pavimento (1,20x0,55) a mensola, con funzione di custodia per un’icona o per reliquie e suppellettile sacre o forse, a nostra opinione, per  l’Eucaristia. Nelle pareti resti di 5 pannelli, ma in origine, secondo G. Agnello erano quindici e forse era decorata anche la volta. Erano già note la Madonna e S. Nicola con chiara didascalia, N(I)(C)OL(A)US; il Messina ha recentemente riconosciuto l’Annunciata e l’Angelo Gabriele, di cui si scorgono appena le sagome e sullo sfondo un edificio con torrette angolari.

   S. Nicola vescovo di Mira in Licia (odierna Turchia Orientale) visse fra il 270 e il 350 ca. e fu famoso in vita per le sue opere di carità e i suoi miracoli. Il suo culto, già intenso in Oriente nel sec. VI, giunge in Sicilia con la conquista bizantina. Dopo la traslazione delle sue reliquie a Bari nel 1087, la devozione si diffuse in modo eccezionale in tutto l’Occidente (cfr. Dante, Purg. XX, 31-33) e in Sicilia risulta ancora oggi l’agiotoponimo più diffuso. La figura della grotta conserva tratti del volto austero, ampia e spaziosa fronte, capelli e barba bianca, taglio obliquo della bocca e dei sovrastanti grandi baffi, tracce delle croci sulle due vesti episcopali. E’ la caratteristica iconografia bizantina, comune all’Oriente greco e slavo: a capo scoperto, per farne risaltare la veneranda canizie, in abiti episcopali con il phelanion (pallio) e l’omophorion (dalmatica) bianco, sono caduti purtroppo il libro e la croce a doppia traversa sulla sinistra benedicente con la destra secondo il modo greco, col pollice e l’anulare congiunti. Nella tradizione iconografica bizantina, come qui, la sua immagine è spesso collegata a quella della Vergine, che secondo la leggenda gli aveva reso mitra e pastorale di cui il Concilio di Nicea lo aveva privato (cfr. B. S. s.v.). Il santo è raffigurato anche nella grotta del Crocifisso a Pantalica e nelle catacombe di S. Lucia.

   La Madonna reclina il capo dolcemente verso il Bambino, secondo l’atteggiamento tipico delle icone bizantine detto Glycophilusa,  cioè  “Madre del dolce  amore”, a significare l’affetto che lega Madre e Figlio e anche il loro amore misericordioso verso i fedeli. Il più noto esempio di questo tipo iconografico è la Vergine di Vladimir, di origine costantinopolitana, la più venerata e famosa delle icone della Russia Ortodossa, che ebbe una grande diffusione anche in Occidente. L’immagine, per la semplice marcatura del disegno e la deformata resa volumetrica dei corpi, specie del bambino, non sembra essere opera di artista ma di un modesto madonnaro locale; ma potrebbe essere letta come esempio di canoni formali ancora non ben definiti. La Madonna  è rappresentata frontalmente, ha l’aureola, il volto ovale, una stella sul capo e il corpo avvolto da un manto marrone.

   La festa  dell’Annunciazione nasce in Oriente nel VI sec. e nel VII è diffusa e confermata nel mondo bizantino. In Occidente Papa Leone Magno (sec. V) parla dell’Annunciazione a tutti i vescovi della Sicilia. e Papa Sergio (sec. VII) istituisce la festa pubblica a Roma, che si diffonde ovunque nel secolo seguente (P. Radò)..Questo tema dell’Annunciazione si diffonde nell’arte sacra occidentale nel basso medioevo. Secondo il Messina la torre sarebbe la basilica di Nazaret (sec. IV d.C.); che però non si riscontra nell’iconografia medievale e rinascimentale, dove invece si trova il giardino chiuso e la torre di Davide e d’Avorio, simboli della Verginità di Maria,  tratti dal Cantico dei Cantici e delle litanie lauretane (J. Hall). Ma potrebbe trattarsi del castello fortificato di Tiracina, posto sotto la sua protezione, come il Castello della Forza nelle mani del Bambino, dell’altra Chiesa rupestre di S. Maria della Cava di Ispica.

   L’aureola o nimbo è un elemento decorativo utile per la datazione. Nell’arte cristiana essa appare attorno al V secolo La forma a croce greca iscritta nel cerchio, come qui, è attributo del Cristo. Quella circolare perlata, che a Costantinopoli denota le icone anteriori al IX sec è propria della Madonna, Angeli e Santi. Nella pittura del tardo Medioevo, l’aureola è invece costituita da un disco dorato piatto. La sobrietà delle vesti, l’uso del nimbo. e forse la stessa rozzezza  depongono, a nostro giudizio,  per una datazione altomedievale. Si notano tre strati sovrapposti (palinsesti) nei pannelli; secondo l’Orsi che visitò la chiesetta nel 1905, quando erano più leggibili, gli ultimi risalgono “al sec.XIII, ma ne coprono di assai più antichi.” Siamo dello stesso parere e quindi lo strato più antico deve necessariamente collocarsi nel periodo bizantino premusulmano. La rozza grafia latina “Nicolaus” ci sembra aggiunta posteriormente e prova che la chiesa era passata al rito latino nel sec. XIII.

 

 

 

 

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