LA CHIESA DI S. PANCRAZIO
I ruderi di questa chiesa si trovano sul pianoro del margine nord-est della Cava. Nel 1653 lo storico modicano Placido Carrafa così scrive: “Finora esiste un grande ed antico tempio fabbricato di pietre quadrate, avente il tetto di pietra con architettonica arte appoggiato su delle colonne a pilastro, consacrato a S. Pancrazio, vescovo di Taormina. Fu eretto dopo il martirio del santo dai primi cristiani modicani alquanto lungi dalla città. Ai lati si vedono vetustissime vestigia di un monastero e vi ha tradizione che fosse stato un tempo Cenobio dei Monaci Benedettini, costruito ai lati della chiesa al servizio di questa. Questa chiesa è suffraganea della Chiesa Maggiore del paese. Per antica fama si conosce che quel monastero sia stato capace di più di trenta monaci…” E’ importante rilevare anzitutto che nel Seicento l’edificio era ancora integro e come suffraganea della Matrice doveva essere officiata e visitata dai Vescovi Siracusani. Sappiamo poi che la Chiesa Madre di S. Giorgio di Modica e quella di S. Giovanni erano affidate ai Benedettini di Mileto. La chiesa era dedicata al protovescovo di Taormina e sono perciò da scartare le altre ipotesi, Pantocrator (Pace) o S. Arcangelo del VI sec. (Garana), che va invece identificata con un’altra chiesa del modicano sul Cozzo S. Angelo (Sammito- Rizzone, 2001). La chiesa probabilmente crollò in parte nel terremoto del 1693, anche se il Vito Amico nel suo Lexicon del 1757, riporta quasi le stesse parole del Carrafa senza accennare a crolli.
L’esistenza di questo monastero è stata confermata dagli scavi del 1980 (G. Di Stefano), che hanno portato alla luce resti di un sepolcreto a fosse e le fondazioni di altri ambienti annessi.
Nel 1932, durante gli scavi fatti dall’Orsi, furono rinvenuti molti frammenti di un tempio greco di epoca classica o ellenistica: una cornice dentellata, frammenti di un triglifo di edicoletta, un piccolo sima, un cassettone ecc. Il materiale superstite fu riutilizzato nella chiesa che sostituì questo edificio di culto pagano, come avvenne in molti altri siti. Era probabilmente il tempio di Tyracina dedicato ad Apollo (v. sopra)!. Anche la basilica di S. Lorenzo Vecchio nel pachinese, rappresenta la trasformazione bizantina di un tempio greco (Agnello, Architettura, 129). Sappiamo anche che proprio a Taormina fu eretta una chiesetta trasformando un precedente tempio di età ellenistica. (Rizzone 2004, 14).
La costruzione è longitudinale (mt. 19x12) con presbiterio a trifoglio o triconco. Originariamente aveva una sola navata senza protiro di ca. 10 mt., dei cui setti longitudinali non c’è più alcun avanzo. Secondo noi, era questa la primitiva chiesetta del 1° secolo d.C. di cui parla la Vita di S. Pancrazio e il Carrafa. In seguito (V-VI sec. d.C.?) essendo insufficiente alle esigenze del culto, furono aggiunte altre due navatelle, larghe metà della centrale, i cui muri esterni furono giustapposti a quelli delle absidi; i due organismi non si fondono e restano distinti. Le tre porte architravate aperte nel lato orientale di queste navatelle sono da mettere in relazione coll’annesso monastero, costruito in questa seconda fase. Esempi simili dell’architrave arcuato, composto da un grande blocco monolitico incastrato nel resto della fabbrica, si riscontrano nei villaggi bizantini e molto prima nel Castello Eurialo (Agnello).
La parte più antica era composta con conci di calcare, grandi, sommariamente squadrati e disposti in assise regolari e compatte; hanno scaglie interstiziali e sono cementati con malta. Gli spazi aggiunti hanno pietre più piccole ed irregolari e perciò si sono disgregati quasi del tutto. Il pavimento era in lastre calcaree e cocciopesto (opus signinum). I muri esterni non erano intonacati, mentre quelli interni avevano l’intonaco. Le tracce di affreschi rinvenute provano, secondo l’Agnello, che la chiesa doveva essere adornata come e più delle chiesette rupestri; tutte le pareti dovevano essere occupate da un ricco ciclo pittorico. Le tre absidi hanno le stesse dimensioni; le laterali sono tonde all’interno e poligonali all’esterno, la centrale è semicircolare all’interno e all’esterno. Una stretta porta mette in comunicazione l’abside meridionale con la navatella. Altre due porte architravate si aprono nei muri delle absidi laterali e verosimilmente mettevano in comunicazione con la sacrestia e con l’annesso cenobio. Al centro dell’abside mediana, dietro l’altare distrutto, si apriva, una nicchia rialzata profonda ca. un metro. Una nicchia simile si trova nell’aula basilicale della villa di Piazza Armerina. Poco probabile che potesse contenere una “cathedra”.mobile; era invece adatta per l’immagine del titolare S. Pancrazio o meglio come tabernacolo per l’Eucaristia (Agnello). Nei muri delle laterali ci sono due edicole (non finestrelle perché non aperte) ripostiglio per suppellettili sacre (repositoria).. Porte e finestroni furono aggiunti nel nuovo impianto: due ingressi nel prospetto principale, due porte e una finestra in quello meridionale, una porta e due finestre in quello settentrionale. Le caratteristiche architettoniche della basilichetta di S. Pancrazio (coro trilobato, tipo di copertura, pianta esterna mistilinea delle absidi) si riscontrano in altri edifici di età tardo-romana e bizantina, specialmente S. Pietro ad Baias (Siracusa) anch’essa con annesso monastero, sicuramente anteriore al sesto secolo, perché fondata dal vescovo siracusano Stefano (metà VI secolo) e menzionata da Papa Gregorio Magno (590-604). Con S. Pietro, San Pancrazio ha in comune il sincretismo architettonico che fonde il sistema centrale a croce greca col basilicale latino (Agnello). Secondo le indicazioni date dal Carrafa, la copertura delle navate era a botte con conci di pietra e quella delle absidi a cupola depressa, con raccordi a pennacchi, sostenuti negli angoli da colonne e pilastri. La copertura a botte è presente anche in altre basiliche a tre navate, S. Focà presso Priolo, S. Pietro a Siracusa e S. Giovanni presso Palagonia, ed in altre chiese coeve dell’Impero Bizantino, Anatolia, Bulgaria, Cirenaica, (Giglio p.63ss.). Le chiese di S. Paolo, S. Pietro e S. Focà furono edificate dal vescovo Germano (sec. IV) (Garana, Vescovi, p. 61s.). La copertura lapidea del presbiterio, a cupolette depresse di tipo estradossato, è una “soluzione preferita in Sicilia come in Oriente, nell’arte bizantina come in quella musulmana” (S.L.Agnello, p.93, Architettura paleocristiana e bizantina in Sicilia, in “IX Corso di Cultura sull’Arte Ravennate e Bizantina”, Ravenna, 1962). Per quanto riguarda il coro trilobato, si è fatto finora riferimento alle cellae trichorae e chiesette bizantine del V-VI sec. d.C.: Trigona di Cittadella (Noto), S. Lorenzo vecchio (Pachino), Cuba (Siracusa), Cappella Bomaiuto (Catania) considerate un’evoluzione delle cellae trichorae degli edifici laici latini del Tardo Impero. Invero la basilica triloba è diffusa nelle province protobizantine dell’Impero d’Oriente. Infatti sono numerose le Chiese simili, ma con copertura lignea, specie dei monasteri, in Palestina ed Egitto, culla del monachesimo con S. Antonio e S. Ilarione, Africa settentrionale, Asia Minore, Grecia (Giglio, p. 83). Oggi poi si ritiene che le cellae trichorae non sorsero né furono utilizzate dai cristiani come chiese ma come battisteri o “martyria e sepolcreti” (Giglio, 157, 185). Infatti sono cotruzioni trichorae le “memoria martirum” di Santa Sotere e S. Sisto poste sopra il Cimitero di S. Callisto a Roma, che, secondo il De Rossi, risalgono alla primissima età cristiana (Giglio, 158). Altre trichorae romane rilevate dagli architetti rinascimentali risalgono al III-IV secolo. Anche la cripta di S. Marziano a Siracusa, aggiungiamo noi, definita dal Fuhrer “antichissima chiesa di Martiri” (un martyrium), certo “il luogo più venerando di tutta la Sicilia sotterranea” (Garana, 49), ha tre absidi ed è datata dall’Orsi al IV sec.; ma, come la tomba di S. Pietro a Roma, potrebbe essere un sepolcro romano del tempo di S. Marciano (I-II sec. d. C.) Questi “martyria” portano a retrodatare al IV secolo e anche prima, una buona parte delle costruzioni simili della Sicilia, che finora vengono postdatate all’età bizantina (VI-VII sec.) (Giglio 157). E quindi anche la seconda fase di S. Pancrati potrebbe essere retrodatata al IV sec. e la prima chiesetta ad età precedente, secondo la tradizione riportata dal Carrafa. Comunque, secondo il Pace (IV, 357), la connessione di monumenti sepolcrali (tombe di martiri, martyria) con chiese sotterranee è frequente in Sicilia e ha riscontri in talune chiese rupestri della Cappadocia. L’andamento poligonale del perimetro esterno delle absidi è una caratteristica diffusa nel V e VI sec. in Sicilia (S. Giovanni a Siracusa, Chiesa di Zitone presso Lentini, SS. Salvatore a Catania) e in chiese greche (Agnello). L’interpretazione di un’iscrizione su una lapide rinvenuta nel 1980, potrà risolvere dubbi e problemi. Dalla zona provengono alcune monete del IV sec. (Costantino, Costante, Costanzo II e III), che confermano la datazione proposta. Anche dalla catacomba Trigilia [il mio cognome!] di Siracusa fu rinvenuto un peculietto di 31 monetine in bronzo di Costantino e successori (Garana, 52).
RUDERI DELLA CHIESA DI S. PANCRATI
PLANIMETRIA IN ORSI SICILIA BIZANTINA, Tivoli, 1942 – IPOTESI RICOSTRUTTIVA (DA GIGLIO, p.93)
I VESCOVI ERIGONO CHIESE NEL I SECOLO IN SICILIA
Ecco quanto dice in proposito il Gaetani nella sua Isagoge, capitolo XXV (e cap. XXXIII) intitolato Il culto di Cristo è confermato ed accresciuto dai templi (chiese) costruiti ovunque nelle città delle Sicilia”. “Quando la fede di Cristo ebbe inizio in Sicilia, fu propagata e confermata anche col culto esterno, nei templi costruiti in tutti i luoghi. I Cristiani infatti, infiammati dall’ardore della fede, demolirono le esecrande statue degli dei, gli altari e i templi ed edificarono templi santi ed edifici sacri; oppure purificarono dall’inquinamento, con la santità dei sacrifici i templi degli idoli e li consacrarono al vero Dio.
Per primo in Sicilia eresse un tempio a Dio e a Cristo Salvatore Nostro il Vescovo Marciano a Siracusa (Encomio). Egli infatti, non appena vi sbarcò, cacciati dalla spelonca Pelopia i demoni, che allora si trovava nella parte bassa dell’Acradina, rigettata la vecchia superstizione, intorno all’anno 40 di Cristo vi dedicò una chiesa.
Negli stessi tempi e con gli stessi propositi, il vescovo Pancrazio fondò un oratorio a Taormina nella parte alta della città verso Oriente ed il mare: Ne restano diversi testimoni, come Teofanie Cerameo che dice: “ Pancrazio, avendo convertito molti alla vera religione, costruì templi e sacre dimore in onore di Dio. E Gregorio Bizantino ricorda che egli eresse una casa di preghiera e consacrò gli altari a Cristo, nella quale tutti quelli che vi convenivano per ricevere la fede di Cristo, venivano da lui purificati col lavacro celeste [il battesimo]. Dopo molti anni quell’edificio fu chiamato tempio di S. Lorenzo. Ma molti altri templi S. Pancrazio edificò a Taormina, anche con miracoli, come attesta Giuseppe Innografo che così canta di lui: “ Avendo demolito i templi degli dei con le preghiere, hai eretto le sacrosante chiese a Dio…”.
L’esempio delle città e sedi episcopali era seguito in tutte le diocesi. Infatti in quelle di Siracusa e Taormina, dato che il gregge di Cristo si moltiplicava e cresceva di giorno in giorno, venivano costruiti nuovi templi; e nella regione siracusana gli Atti ricordano che fu dedicato un edificio dal vescovo Marciano , che egli chiamò “Casa della pace”. Inoltre quando il vescovo Pancrazio di Taormina fu ucciso per la fede di Cristo, ai tempi dell’Imperatore Traiano, fu costruita prima un’edicola e poi un magnifico tempio”.
“A questo santo Vescovo”[Pancrazio], scrive il De Giovanni (Storia Ecclesiastica, p. 20s.), “riuscì d’erigere alcuni luoghi di orazione e vogliamo dire chiese, unicamente consacrate al culto del vero Dio, come attesta Gregorio Bizantino nell’Encomio in S. Pancrazio, in Acta SS. 3, aprile. Una di queste, cangiato il nome del Salvatore in quello di S. Lorenzo, con religione somma circa il nono secolo si conservava.
Puossi con giusta ragione trarre quindi valevole argomento per vieppiù sempre comprovare l’uso delle chiese e dei luoghi sacri nei tempi apostolici. Non sono del numero di coloro i quali la disciplina dei primi secoli e quella del tempo presente guardando si persuadono che i primi fedeli come noi o meglio ancora abbiano avuto grandiosi templi e magnifiche basiliche erette per onore della nascente religione. Non formo certamente io della prima età del cristianesimo siffatta idea, se non disdicevole alla sua maestà, opposta però e ripugnante alla povertà e semplicità dei primitivi secoli nei quali era troppo odiosa la professione del Vangelo ed il farne con edifici e con templi superba mostra sarebbe stato un meglio risvegliarla contro i dileggiamenti e le persecuzioni del potente gentilesimo nelle menti di quasi tutte le nazioni signoreggianti , profondamente radicato.
Ma egli è vero altresì che i primi cristiani anche nella loro povertà e tra le gravissime persecuzioni non poterono affatto astenersi dall’erigere e destinare, benché senza il minimo apparato d’esterna magnificenza, al vero culto di Dio, alcuni particolari luoghi, nei quali osservavano i loro riti, tenevano le loro adunanze, celebravano i loro sacri misteri e con ammirabile docilità di spirito ascoltavano le evangeliche istruzioni e i santi precetti. Un chiaro ed illustre testimonio di questi luoghi sacri, più comunemente chiese appellati, abbiamo in Tertulliano (De Pudicizia, 4), che fiorì poco più di un secolo dopo la morte di S. Pancrazio, e nel medesimo tempo che le persecuzioni tenevano in disordine e sconvolgimento le cose del Cristianesimo. Né vale meno a confermare questo l’editto della terribile persecuzione che l’Imperatore Diocleziano suscitò contro i cristiani (cfr. Eusebio, Storia Eccl., cap. 9), ove specificatamente s’ordinava che fino dai fondamenti fossero diroccate le chiese dei Cristiani. Le lettere ancora da Costantino il Grande (cfr. Eus., Vita Costantini, lib. 2) a stabilire la pace della Chiesa indi uscite, manifestamente l’uso di questi luoghi comprovano, poiché dalla pietà di quell’augusto principe un’assoluta libertà ai fedeli si concede, non solamente di erigere delle nuove chiese, ma eziandio di mantenere, ristorare e amplificare le antiche (cfr. Nicef. Call., Hist. Eccl., lib. 3, cap. 18).”
Fin qui il Di Giovanni. Per quanto riguarda le primitive chiese o basiliche precostantiniane, possiamo aggiungere altre testimonianze. La Didachè , del 50-60 d. C. se non parla espressamente dell’edificio, lo presuppone quando dice (4,14): “Nella Chiesa confesserai i tuoi peccati…”. Ed in 14, 1: “Riuniti nel giorno del Signore, spezzate il pane [il sacrificio eucaristico] e rendete grazie quando avete confessato i vostri peccati…”. Il citato Tertulliano più volte afferma espressamente che i Cristiani avevano templi, che chiama “Chiese” (De Idol, cap. 7; De Virg. Velandis, c. 13.). Lo stesso termine greco (“ecclesia”) si trova in Clemente Alessandrino Paedag.c. 11). E così anche Anobio (Contra Gentes, l. 4) e Lattanzio (Inst., l. V, c. 11), Eusebio (Hist. Eccl., l. VIII, c. 2. 17. L. IX, c.9) e S. Agostino (De Civit. Dei, VIII, 27; X, 20). Dunque i Cristiani sin dalle origini si riunivano in “ecclesiae”, per ricevere i sacramenti del battesimo, e della penitenza e celebrare in comune il sacrificio eucaristico. Nella voce Basilique (del Dictionaire d’archeologie chretienne et de liturgie, tradotta in La Basilica cristiana nei testi dei Padri dal II al IV secolo, a c. di L. Crippa, pp. IX ss:, Vaticano 2003), sono riportate, da altri testi dei primi secoli, più complete e particolareggiate descrizioni delle primitive “domus ecclesiae” o basiliche: Le Costituzioni Apostoliche, il Testamentum Domini , La Cohortatio ad Grecos dello ps-Giustino del II-III sec., il quale è l’autore cristiano più antico (a noi pervenuto!) che fa uso del termine “basilica”. Il Crippa trascura i passi di Tertulliano e di Clemente, ma aggiunge altri importanti passi di Eusebio e dei Padri posteriori.
Alcuni passi di Minucio Felice (Octavius), dello stesso Tertulliano (Ad Scapulam, 2; De Spectacul., 13), di Origene (Contra Celsum, l. VIII), che sembrano negare l’esistenza presso i Cristiani dei primi secoli di altari, statue, immagini e perfino templi e chiese, non sono in contraddizione con le riferite sicure testimonianze, ma vanno rettamente intese nel senso che i Cristiani non avevano templi, altari, statue e immagini come i pagani che prestavano ai loro dei culto idolatrino e offrivano loro vittime; ma avevano sacri edifici ed altari nei quali, con rito cristiano adoravano il vero Dio e offrivano un sacrificio incruento (cfr. PL. III, 536ss.).
LA BASILICA PALEOCRISTIANA
La Basilica paleocristiana deriva dall’oikos delle case greche (oecus vitruviano) che indicava la parte della casa dove si riuniva la famiglia, si accoglievano gli ospiti e si prendevano i pasti. In ambiente cristiano diventa oikos ths ekklesias, domus ecclesiae, sito delle riunioni e delle agapi eucaristiche, e poi oikos basileios (casa regale), termine che da Eusebio è riferito anche ad un oratorietto o edificio parrocchiale rurale (come quelli di Cava d’Ispica), in rapporto al Re che vi abita, cioè il Signore Gesù.
Le prime basiliche cristiane a 1, 3 o 5 navate, risalgono al periodo costantiniano (prima metà del IV sec.). La descrizione della primitiva conformazione della B. cristiana del IV sec. ce la fa Eusebio (H. Eccl. X, 4,1) nel sermone per la dedicazione della basilica di Tiro (314). Il vescovo, egli dice, non ha voluto che i fedeli lordino il santuario entrandovi coi piedi infangati e non lavati; perciò ha lasciato fra il tempio e il suo primo ingresso uno spazio grande e nel mezzo ha posto la fonte dell’acqua viva per le purificazioni. Per mezzo di un vestibolo (il nartece) egli ha aperto il passaggio al tempio e in faccia ai raggi del sole (cioè rivolta ad oriente) praticò tre porte di cui quella centrale più alta e più larga. Per l’aula egli impiegò materiali ricchi e preziosi. Dopo aver ultimato il tempio, egli l’ornò di troni elevati in onore di coloro che presiedono (cathedra).
Soprattutto egli stabilì l’altare dei santi misteri (l’agape eucaristica) e, perché essa non fosse accessibile alla folla, lo recinse di una barriera di legno intrecciato (l’iconostasi o templon).
Verosimilmente l’iconostasi esisteva già nelle cripte cimiteriali, come fa supporre una specie di portico a tre arcate nel cimitero di S. Gennaro a Napoli. Nelle basiliche dal IV sec. in poi, greche e latine, non manca mai, anzi si cerca di dare a questa divisione - che S. Gregorio Nazianzeno (330-390) considera come la separazione simbolica fra cielo e terra - una speciale importanza e un tono di ricchezza.
L’ABSIDE
L’ A. ha rappresentato uno degli elementi più caratteristici dell’architettura romana: basiliche forensi, celle dei templi, aule grandi dei palazzi (triclini), come quella della villa di Piazza Armerina, sale delle terme, scholae e talvolta sale funerarie. Non c’è dubbio che da esse l’hanno ereditato nel sec. IV le nuove costruzioni cristiane, cioè le tombe, i battisteri le basiliche ( Vincenzo Golzio, v. A. in EIT, vol. I, p. 150s.)
L’abside della basilica cristiana può derivare in parte dagli oratori sotterranei delle catacombe, nelle quali troviamo cripte cruciformi o poligonali fornite di absidi; oppure dall’edificio destinato al culto, eretto, alla maniera del triclinio funebre dei pagani, sopra il terreno delle sepolture. Sopra i cimiteri cristiani c’era infatti una “memoria, confessio, cella, martirion” nella quale si pregava per i defunti (cellae coemeteriales). Nell’area del cimitero di Callisto a Roma, ci sono due piccole chiese dei tempi precostantiniani, S: Sisto e S. Sotere; la loro forma è quella della cd. “cella trichora”, che consta di uno spazio quadrato aperto su tre lati su absidi semicircolari. Trilobate erano anche le chiese di Egitto e Betlemme. Nelle basiliche ravennati del VI sec. (S. Apollinare in Classe e S. Giovanni Evangelista) e così anche in quella di Grado e in quella di Parenzo, l’abside è di forma poligonale all’esterno e circolare all’interno come in S. Pancrazio di Cava d’Ispica.
L’A. è detta anche presbiterio perché era riservata al clero. I seggi presbiteriali correvano intorno alle sue pareti, alle quali si appoggiavano e talvolta erano disposti a gradini. Sono presenti anche nelle chiesette rupestri di Cava d’Ispica. Nel fondo dell’abside erano in genere interrotti da un seggio più elevato, la “cathedra” del vescovo o presidente dell’assemblea e celebrante dell’eucaristia v. basilica di Torcello e Parenzo).
I MONASTERI BENEDETTINI
S. Gregorio Magno (590-604), dal chiostro benedettino salito al trono pontificio, diffuse e propagò, con l’autorità dell’esempio, più ancora che con l’autorità di capo della Chiesa, la Regola di S. Benedetto in molti luoghi vicini e lontani. L’Inghilterra per es. ebbe per impulso di S. Gregorio e per merito di monaci benedettini la luce del Vangelo e della Civiltà Cristiana. Nei Dialoghi (II,36) egli giudica la Regula Monachorum di S. Benedetto, scritta dal Santo intorno al 530, “discretissima nella sostanza e chiarissima nella forma” (Placido Lugano O.S.B., v. Benedetto, in EIT, VI, 1930).
Quindi non ci può essere dubbio che i numerosi monasteri siciliani del VI sec. di rito latino, in particolare quelli fondati da Papa Gregorio osservavano la regola benedettina dell’”Ora et Labora”, e fra questi possiamo mettere quelli di S. Pancrazio e S. Pietro ad Baias, confermando l’antica tradizione riportata dal Carrafa, rigettata, senza valide ragioni, da qualche studioso di oggi.
LA CAVA D’ISPICA
ARCHEOLOGIA STORIA E GUIDA
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