L'antica chiesa di S. Maria della Cava

 STORIA

   Secondo l’antica sacra tradizione locale, la Chiesa di S. Maria o del Crocifisso della Cava risale ai primordi del Cristianesimo. Nel 1895, nel pavimento della Chiesa furono rinvenute tre cripte ossario sovrapposte: quella sottostante più antica senza traccia di documenti cristiani; la seconda, con sepolcri incavati nella roccia e coperti da lastroni di pietra, conteneva accanto alle ossa, medaglie, crocifissi, lucernini; la terza, alla superficie, era coperta da “balate” grosse ben assestate. Due grandi fosse comuni furono rinvenute nei pressi dell’altare e davanti la porta della chiesa. Che si tratti di una chiesa catacombale, poi mutata in chiesa rupestre, è confermato anche dai resti di due antichissimi altari  ricavati dalla roccia. Questo avvenne dopo la pace costantiniana (313) secondo la vetusta tradizione che S. Ilarione (363 d.C.) veniva qui ad adorare il Crocifisso. Il culto millennario riprese pieno vigore coi Normanni ed è continuato fino al 1693 e oltre. La conferma che le persone distinte erano inumate nei sepolcri singoli e gli altri fedeli nelle fosse comuni, è data dalle Visite dei Vescovi, dai libri dei defunti e dagli atti dei notai del ’500 e ’600. Furono anche scoperte alcune antiche iscrizioni medievali: “Antequam terra fieret ego eram”, cioè “esistevo prima della “terra” di Spaccaforno” e un’altra, mal riportata: “Hoc opus Domina (i) mola… confinis huius terrae Sanctae Mariae”, cioè: “Questo luogo del Signore (dedicato a) S. Maria, presso il Fortilizio (mola), (segna) il confine di questa terra.” La chiesa rupestre era un’aula rettangolare (m. 11x6,80), con abside semicircolare e fondo piatto ad est (larga m. 3,30 e profonda 0,95) (Messina), dov’era l’altare nella roccia con pilastrini (Moltisanti); davanti c’era la parete dell’iconostasi. Dalle visite dei Vescovi siracusani risulta che la chiesa venne ampliata nel 1605-07, ai tempi del Marchese (1598) Francesco III Statella.  Il soffitto venne innalzato con lo scavo di una volta a botte alta  12 m., la grotta formò la nuova abside e fu aggiunta la navata in muratura che costituì l’avancorpo.

   Incerto il numero degli altari, la cui dedicazione è cambiata nei secoli.  Per il Moltisanti e la Fronterrè, erano sei, tre dei quali erano dedicati ai Beati Apostoli, alle Sacre Reliquie e alle Anime del Purgatorio, più quello del Cristo alla Colonna e quello dell’Assunta. Nella Visita  episcopale del

1542 ne sono indicati tre; nel 1607, Maggiore, Assunzione, S. Giorgio; nel 1609 è indicato quello di

S. Gregorio; nel 1614, l’altare maggiore di S. Maria Maiore, quello di S. Maria “di pedi di grutta”, quello di S. Francesco, di Cristo alla Colonna e un altro [l’Assunta]; nel 1661 S. Rocco; nel 1683 quello della Circoncisione.

   Nel terremoto del 1693 crollò tutto l’avancorpo, ma furono recuperate le due statue del Cristo alla Colonna e dell’Assunta. La parete rocciosa venne tamponata e la chiesa riprese le misure originarie.

Nel lato sinistro della parete di fondo è incavata una celletta di forma semicircolare larga m. 1,40 e ‘profonda 0,40. Nel restauro del 1994, sono stati rimossi i due strati superficiali ed è stato portato alla luce il primo pannello pittorico, raffigurante la Madre di Dio col Bambino, conforme all’iconografia bizantina dell’Hodigitria (Madonna del Buon Cammino) o Basilissa (Regina). L’immagine è simile alla Madonna del Piliere della Cattedrale di Siracusa del sec. XIII.  Interessante la decorazione geometrica in nero e rosso L'arco della lunetta presenta una decorazione geometrica con rettangoli e spirali.

   Interessanti  le figure del primo e secondo strato,  ricomposto in una teca di plastica. In alto è effigiata la colomba dello Spirito Santo di elementare fat­tura: Un piccolo globo con spirali nell'angolo superiore destro sembra richiami il mono­gramma del Nome di Cristo di  S.  Bernardino  da  Siena con la  sigla  I.H.S.(Jesus Hominum Salvator). Nel lato destro, dai pochi elementi rimasti si riconosce S. Francesco d'Assisi: che (nel  1224), riceve le stimmate dal Crocifisso alato sul monte della Verna, di cui si vede la chiesetta. Nell'altro lato, i resti della figura di un santo in gi­nocchio, con rozza tunica marrone, il vangelo nella sinistra e sullo  sfondo una parete rocciosa e alberi dall’alto fusto, che indicano la Cava. E’ Ilarione il santo vissuto a Cava d’Ispica dal 363 al 365 d.C.

 

Marzo 1994

IL RESTAURO DELLA MADONNA DELLA CAVA DI ISPICA

   é stato di recente portato a termine dal  Prof. Giacomo Platania e collaboratori, sotto la guida del Direttore della Sovrintendenza Gioacchino Barbera, il restauro della nicchia della Chiesetta di S. Maria della Cava di Ispica. L'opera meritevole è stata promossa dal Rotary Club di Modica, nel 1993, per iniziativa dell'allora Presidente, Dott. Franzo Bruno Statella. Nella parete di fondo della lunetta, l'immagine della Madre di Dio col Bambino e le altre figure all'interno dell'arco presentavano tre strati di intonaci palinsesti. Rimosso quello esterno più recente, conosciuto agli studiosi e foto­grafato, è stato  asportato  il  secondo  e  ricomposto  su una struttura in plastica della stessa forma e dimensioni della nicchia. é venuto così alla luce il primitivo affresco del terzo strato e si può ora fare una lettura più sicura.L'appartenenza dell'immagine al co­siddetto tipo della “Madre di Dio Hodigitria” o Madonna del  Buon  Cammino, proposta ultimamente  è ancora valida; mi sembra però che sia accettabile e forse preferibile il prototipo affine della “Basilissa”, cioé Regina assisa in trono col Bambino sulle ginocchia. Invero  il trono non si vede, ma, a parte il fatto che in questa iconografia non è necessario, non si può escluderne la presenza perché c'è lo spazio sufficiente e forse si intravede qualche linea del disegno simile a quello dell'icona su tavola detta Madonna del Piliere, della Cattedrale di Siracusa del Sec. XIII . E con questa immagine c'è una forte affinità: è identica l'inclinazione del  capo, la  forma e le pieghe del velo  rosso che lo ricopre; si potrebbe, credo, addirittura tentare di integrare il volto mancante con una sovrapposizione fotografica! Identico anche il Bambino, nelle misure, nell'altezza, nella forma del nimbo, nella posizione, nella ie­ratica solenne, divina frontalità. Non escluderei che l'autore sia lo stesso, anche se si può obbiettare che non era difficile riprodurre queste  sacre immagini dai lineamenti canonici e senza sensibili va­riazioni espressive. Le mani della Madonna erano disposte allo stesso modo, come risulta dallo strato successivo che le ha ricalcate: la destra era sollevata al petto, la sinistra  sosteneva il bambino.

 

CRISTO E SANTI (PARTICOLARE)

 

 

   La rappresentazione della  Teotokos è molto diffusa nelle chiese rupestri della Sicilia e dell'Italia meridionale, ma bisogna distinguere le di­verse iconografie  presenti nell'arte  cd. “bizantina”, sia del

periodo premusulmano, sia di quello successivo alla riconquista normanna, che con la rinascita del culto cristiano vide una ripresa del gusto bi­zantineggiante non solo nelle grandi cattedrali ma anche nelle mani­festazioni minori dell'arte. Infatti  per esempio la Madonna della grotta di S. Nicola nella testata nord della stessa Cava d'Ispica stringe il Bambino con dolce abbraccio; è la Madre pietosa, “Eleousa”, verso i cristiani e affettuosa verso il figlio da lei nato, vi­sto come bambino-uomo da amare. Qui invece non rivolge lo sgu­ardo al Figlio  perché è considerato come Figlio di Dio da adorare.  E la Mater Domini recentemente scoperta nella chiesetta rupestre di San Nicolò  a Modica, appartenente al genere Basilissa, tiene il bambino sul grembo, ma in posizione centrale4. Il modellino dell'edificio turrito sostenuto dal Bambino con la mano potrebbe essere il “fortilitium” di Spaccaforno.

   Per quanto riguarda i caratteri artistici, i tratti rimasti del viso del Bambino mi sembrano delicati e ben fatti: in particolare gli occhi, che invece sono grossolani  negli altri affreschi; si sarebbe portati a considerare l'autore come un artista di buon livello, mentre le  figure delle altre chiesette sono opera di modesti madonnari artigiani pro­venienti dal mondo bizantino o più probabilmente di artigiani locali,: testimonianza di devozione popolare senza alcuna pretesa artistica.  

    S. Ilarione, secondo la tradizione, veniva spesso ad ado­rare il SS.mo Crocifisso a cui era dedicata la chiesa, poi trasformato in Cristo alla Colonna. Questa  raffigurazione  fu  ripresa  nell'ultimo strato ora scomparso ed in altri parti dell'abside, come ci confer­mano il Moltisanti e  la  Fronterrè. Il paesaggio rupestre è quello della Cava;  il pio eremita sta in ginocchio davanti al Crocifisso e la parete rocciosa sembra proprio quella in cui è sca­vata la chiesetta5. Simili paesaggi con le roccie ed i caratteristici al­beri sono comuni a scene della vita dei Padri del deserto dipinte dai pittori del rinascimento.

   E veniamo alle sette piccole figure disposte in fila davanti alla nic­chia, scoperte ora dopo la rimozione dell'intonaco sovrastante. L'immagine più importante è quella del Cristo legato alla Colonna col braccio sini­stro, mentre il destro è inclinato in avanti verso il basso e lascia sgorgare dalla ferita della mano un fiotto di sangue, raccolto di sotto in un calice di cui si vede purtroppo solo in parte la coppa.

   Il Sangue Preziosissimo di Cristo è diventato, a cominciare dal basso  Medioevo, oggetto  di particolare devozione e fu divulgato da S. Bernardo da Chiaravalle, S. Gertrude la Grande, il francescano S. Bonaventura, ed altri. Ne sono testimo­nianza le miniature, pitture, sculture, vetrate che raffigurano angeli i quali raccolgono in calici il sangue versato dal costato, dalle mani e dai piedi del Crocifisso; e probabilmente anche nel nostro affresco il calice era tenuto in mano da un angelo. Anche la leggenda del santo Graal, il calice usato da Cristo nell'ultima cena, e le reliquie del Sangue di Cristo contribuirono alla diffusione del culto; ma le prime feste liturgiche in chiese locali vengono approvate dalla Santa Sede nella seconda metà del '500.

   Accanto al Cristo, con veste scura e manto rosso, c'è il discepolo più caro e vicino al cuore del Salvatore, S. Giovanni. Ha nella sini­stra il calice che  ricorda  l'ultima  cena, la  presenza  ai piedi della croce ed il suo ministero sacerdotale. Secondo l'iconografia comune nelle raffigu­razioni occidentali dei secc. XIV-XVI (ricordiamo Andrea del Castagno e D. Ghirlandaio), si distingue dagli altri apostoli perché  giovane bellissimo e dalla folta chioma.

   La croce ad X, detta croce di S. Andrea, ci fa riconoscere il suc­cessivo  apostolo. Il  suo  culto  fu introdotto in Italia nel periodo bi­zantino, ma ormai siamo lontani dal rigido schematismo nei volti, nei panneggi e nel disegno propri dell'arte bizantineggiante; qui il volto  aggraziato  ed  espressivo  come quello degli altri santi dimostra l'influsso dell'arte italiana del  quattro  e  cinquecento dove, accanto al santo con la croce latina, si era diffusa anche la raffigurazione della croce ad X che pre­varrà poi nel seicento.

  Dietro, c'è l'Apostolo delle genti, S. Paolo, riconoscibile  per  i  ca­ratteri costanti della sua fisionomia: fronte alta, naso aquilino, barba a punta e scura nella pittura.

   Al suo fianco c'è il giovane compagno e discepolo S.Luca, col  li­bro  del  vangelo aperto in mano,

elemento precipuo della sua icono­grafia.

   Gli  ultimi  due  santi  sono i grandi fondatori degli Ordini religiosi più importanti del basso medioevo, S.Domenico e S. Francesco. Il primo porta al solito una breve barba, capelli lisci ed il libro della Buona Novella da annunziare, caratteristico del Patriarca dell'Ordine dei Predicatori. Il Santo poverello si riconosce invece dal saio mar­rone e nero sugli omeri. L'iconografia  è  quella  idealizzata  dalla  tradizione giottesca, giovane imberbe e dal volto piano e sereno; l'espressione esprime gli affetti in­teriori ed i tratti sono gentili e delicati.

    Per la datazione di questa teoria di  Cristo Apostoli e Santi, pos­siamo orientarci dunque alla seconda metà del '500. A conferma abbiamo dei riferimenti esterni. Anzitutto la presenza dell'Ordine Francescano ad Ispica. Sappiamo che la Sicilia accolse l'ideale fran­cescano sin dal suo nascere e, secondo la tradizione,  nei paesi vi­cini, Noto, Scicli e Ragusa i primi conventi furono fondati da S. Antonio nel 1225. Ad Ispica però, l'ideale del Serafico Padre giunge nella prima metà del '500. Infatti il primo convento, fondato dai Frati del Terz'Ordine Regolare, col titolo di S. Maria della Croce, ri­sale agli anni 1515-20. Nel 1561 D. Antonio Statella  e Caruso con­cesse ai Minori Osservanti la proprietà del Convento lasciato dai Terziari. Per quanto poi riguarda S. Domenico, lo troviamo effigiato, assieme ad altri santi del suo Ordine, in un gran­dioso quadro della Madonna del Rosario, proveniente dalla Chiesa di S. Anna e databile al 1567.

   Interessanti infine i riscontri con le relazioni delle Sacre visite dei Vescovi siracusani8. Nella visita del 1542 la chiesetta è chiamata S. Maria della Cava. In quella del 1568, S. Maria della Cava sotto il nome dell'Assunzione e nel 1605 si parla della “fabbrica della nuova Chiesa di S. Maria Maggiore”.                     

   Ecco, secondo  la  nostra ricostruzione, le fasi delle modifiche e riadattamenti  nel  corso  dei secoli. La chiesetta del periodo paleocristiano era contenuta interamente nella grotta ed aveva l'abside ad oriente; lì si trovano i più antichi affreschi del periodo bizantino-premusulmano, di cui purtroppo restano misere, illegibili tracce. Probabilmente nel periodo normanno-svevo  l'abside  venne  chiusa  da un muro  e fu tra­sformata in sacrestia.

   La parete rocciosa interna a nord  con la nic­chia diventò la nuova abside e nella lunetta fu effigiata la Vergine (primo strato). Nella prima  metà  del '500  gli  affreschi  furono  ridipinti  ( secondo strato). Ai primi del '600 (1605 ca.)  i pannelli pittorici vennero ancora una volta ritoccati ed altri ne furono  aggiunti (terzo strato); la chiesa fu ingrandita con la costruzione di un avancorpo che si protendeva fino al fondo della cava, nelle cui pareti laterali furono ricavati sei altari. Nel terremoto del 1693  la  parte  esterna crollò, la parete rocciosa fu chiusa e la chiesa rupestre ritornò alle misure originarie.

   Vogliamo concludere con l'auspicio che anche la restante ben più vasta superficie affrescata del sacro speco venga al più presto restau­rata, prima che gli intonaci si sgretolino del tutto. C'è da sperare che il Rotary o altri benemeriti Sponsor, se non la Soprintendenza, fi­nanzino questa opera di grande valore per la conservazione ed il re­cupero del nostro prezioso patrimonio culturale, religioso, storico ed artistico.

 

 

LA CAVA D’ISPICA

ARCHEOLOGIA STORIA E GUIDA

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