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Quei geniali architetti che resero uniche le nostre città (Prima Parte) : Giuseppe Venanzio Marvuglia Di Tommaso Aiello |
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In questo saggio esamineremo l’attività di un gruppo di architetti siciliani che nei secoli passati resero le nostre città più belle e più singolari tanto da poter dire che gareggiavano con le capitali europee. Ci occuperemo questa volta di Giuseppe Venanzio Marvuglia che operò a Palermo. Seguirà nel prossimo articolo Giovan Battista Filippo Basile e poi Giovanni Battista Vaccarini che rese più bella Catania dopo il terremoto del 1693 e Luciano Alì e Giovanni Vermexio che contribuirono alla creazione di quella bellissima piazza del Duomo di Siracusa.
E cominciamo da Giuseppe Venanzio Marvuglia,nato a Palermo nel 1729,la cui opera rappresenta il momento di passaggio tra il tardo barocco ed il neoclassicismo europeo nella cultura architettonica della Sicilia,pervenendo nell’ultima parte della sua attività ad un certo eclettismo.
Ancora giovane potè conoscere i resti dell’antica architettura della Sicilia e fu al seguito del matematico e architetto palermitano Niccolò Cento,ma nel 1750 si recò a Roma dove conobbe l’architetto di corte di re Carlo III,Sabatini,e subì l’influenza di Johann Joachim Winckelmann che proprio in quel periodo manifestava il suo interesse per le testimonianze dell’architettura dorica di Paestum e della Sicilia.Tornato a Palermo nel 1759 con una educazione di tipo neoclassica,rafforzata attraverso i contatti con docenti e colleghi allievi dell’Accademia di San Luca. Cominciò a lavorare alacremente e lo vediamo nella ricostruzione del monastero di San Martino delle Scale in uno stile barocco semplificato. Già nel 1763,nel progetto dell’Oratorio di San Filippo Neri,il Marvuglia rivela la sua tendenza classica e la conoscenza dell’architettura dorica isolana,tanto che il Dufourny poteva scrivere “peut faire èpoque dans l’histoire de la règènèration de l’art”.Preceduto dalla continuità di una tradizione classica rinascimentale,il Neoclassicismo architettonico si manifesta con Marvuglia in forma innovativa. Infatti con quest’opera il Marvuglia è alla ricerca di nuove dimensioni spaziali. L’interno della Chiesa con una volta a botte sorretta da grandi colonne architravate,manifesta un superamento del decorativismo barocco e fu molto lodata dai visitatori stranieri nel XVIII secolo.
Oratorio di San Filippo Neri
Fra le tante altre opere del Marvuglia ricordiamo La Chiesa di San Francesco di Sales,in Corso Calatafimi, annessa all’Educandato di Maria Adelaide;un archetipo in legno per la trasformazione della cupola della Cattedrale(si tratta di un progetto di rivestimento neogotico della cupola):l’altare maggiore dell’Oratorio di S. Ignazio all’Olivella,una elegante costruzione neoclassica;il completamento della costruzione dell’Abbazia benedettina di S. Martino delle Scale. Partecipa insieme a Nicolò Puglia alla realizzazione dell’Albergo delle Povere,opera di Orazio Furetto. Dal settembre 1785 al 1814,subentrando al Furetto,Marvuglia sarà architetto della Deputazione dell’Albergo delle Povere di Palermo e dirigerà pertanto i lavori di avanzamento della fabbrica e progetterà nel 1802 la sistemazione della fontana dei grifi sul fronte opposto all’ingresso. Di grande aiuto,per seguire la febbrile attività del Marvuglia ,ci sono gli appunti di Dufourny. Bisogna però dire che molte di queste opere sono state distrutte o trasformate o sono rimaste solo dei progetti:Rifacimento del prospetto sul giardino del Palazzo Ajutamicristo per i principi di Paternò;la sala circolare della biblioteca pubblica nella ex-casa dei Padri Gesuiti,il progetto per la sala circolare della biblioteca nel convento di San Martino delle Scale;la ristrutturazione di Palazzo Geraci nel quale le volte del vestibolo e del cortile porticato sono decorate con stucchi che imitano quelli di Villa Adriana;il catafalco del principe di Geraci eretto nella chiesa di S.Anna.
Bagheria – Villa Villarosa
Di ben altro valore la Villa Notarbartolo di Villarosa a Bagheria influenzata dall’architettura neoclassica parigina degli edifici sulla Place de la Concorde. Iniziata nel 1763,il Marvuglia interviene nel 1766 ma su un progetto che lo stesso proprietario aveva portato da Roma.Nel fronte troviamo un colonnato octastilo corinzio serrato tra due corpi laterali e attico a balaustrata.
In qualità di architetto dei Regi Siti di Campagna(carica che terrà fino al 1802) si occuperà delle casine di proprietà della corona durante il soggiorno forzato in Sicilia della famiglia Borbone.Fra queste la Real Casina di Misergrandone,nel feudo di Renda,che Marvuglia restaura dal 1799 al 1802,identificata,secondo V.Capitano,1989,p.61,con l’attuale villa Scalia;la Real Casina di caccia di Ficuzza progettata da Carlo Chenchi, del quale dirige i lavori nel 1803 e apporta delle varianti al progetto con la collaborazione di Nicolò Puglia;la Casina Cinese nel parco della Real Favorita a Palermo.Ci occuperemo però solo della Casina di caccia della Ficuzza e della Palazzina Cinese.
Circa a metà della strada che da Godrano porta al bivio Lupo,nel bel mezzo del bosco della Ficuzza, celata tra la vegetazione,si trova una singolare roccia nella cui pendenza l’uomo ha scavato una perfetta scalinata che conduce ad un sedile localmente denominato”Pulpito del Re”.
Casina di caccia di Ficuzza(Corleone)-Foto Aiello
Sembra che a far realizzare quegli undici gradini sia stato Ferdinando IV di Borbone,re di Napoli,noto anche come Ferdinando I,Re delle due Sicilie.
Doveva forse servire per rendere più agevole uno dei suoi luoghi preferiti per la posta del cinghiale. Se il polmone verde di Ficuzza è giunto fino a noi,lo dobbiamo alla passione per la caccia di Ferdinando I. Nel 1803 egli riunì gli oltre diecimila ettari dei feudi di Ficuzza, Lupo e Cappelliere e ne fece un gran feudo di caccia e diede contemporaneamente mandato al Marvuglia , (che già aveva elaborato un progetto, vincendo il secondo premio nel concorso clementino del 1758),di eseguire il progetto,che secondo precise fonti era stato ideato da Carlo Chenchi, per realizzare una palazzina reale. Il Marvuglia utilizzò mastodontici blocchi di pietra arenaria,merlettati e lavorati a mano nei balconi,sulle balaustre,intorno alle finestre e nei colmi del tetto. Ai lati della palazzina,capace di ospitare comitive di cacciatori,due ali di scuderie,oggi solo in parte conservate nella loro originaria esecuzione voluta dal Marvuglia.
Già in costruzione nell’ottobre del 1790(Vedi diario di Dufourny) per il barone Benedetto Lombardo su progetto dello stesso Marvuglia,la Casina Cinese,nella versione in pietra realizzata per Ferdinando IV di Borbone,riparato in Sicilia dopo l’occupazione napoleonica,è considerata nel panorama italiano,una delle realizzazioni più raffinate di applicazione di repertori”esotici” e di mediazione con la cultura occidentale.
Il Marvuglia realizzò l’opera in stile orientale con una copertura a pagoda su tamburo ottagonale. La costruzione presenta svariati elementi stlistici: porticati ad arco ogivali al piano terreno,torrette con scale elicoidali,travi in legno intagliato nelle terrazze e smerli.
Palazzina Cinese –Foto Aiello
Tale varietà stilistica può essere considerata un’espressione della sensibilità eclettica che si impose nel corso del XIX secolo. Osserva lo studioso(mio amico e maestro) Romualdo Giuffrida in Siti borbonici in Sicilia,pag 5,che “ nella mutata situazione internazionale sembrò che la Sicilia stesse per cominciare una nuova vita, sicché gli esponenti del baronaggio si adoperarono perché Palermo non fosse di meno della capitale partenopea offrendo ai sovrani la possibilità di dedicarsi agli svaghi e alle battute di caccia”. E’ interessante sapere, sempre secondo il Giuffrida,fondandosi su quanto il Marchese di Villabianca aveva annotato nel suo Diario in relazione alla Casina”fatta tutta di legno”,gli storici dell’arte che ne hanno ricercato le vicende architettoniche,sinora hanno ritenuto che il manufatto in legno sia stato demolito e ricostruito in muratura su progetto del Marvuglia.Dalla relazione citata emerge invece che la struttura della Casina era in muratura e che la”costruzione di tutto l’esteriore” era “di legname allo stile cinese”.
Se è indubbio che il primo intervento del Marvuglia sul preesistente manufatto si limitò al relativo “apprezzo”,tuttavia si deve a lui la progettazione delle varie opere di abbellimento costruite sia nella Casina che attorno ad essa e nel parco.L’esame di una fonte iconografica,continua il Giuffrida, trovata a Palazzo dei Normanni,ha consentito all’architetto Francesco Valenti di individuare gli interventi che il Marvuglia rese operanti ai fini della ristrutturazione della Casina. Comunque l’affascinante capriccio architettonico entrato a far parte dei possedimenti di Ferdinando nel 1799 riuscì a salvaguardare il singolare ibrido stilistico che presenta numerosi riferimenti orientali,uniti a un allegro carosello cromatico e a elementi strutturali neoclassici di ineguagliata vaghezza.
Interno della Palazzina Cinese
Le stanze sono arricchite con estrosi affreschi di Giuseppe Velasco,Vincenzo Riolo e Giuseppe Patania, adeguati all’eclettismo degli stili(cinese,turco,pompeiano) cui si ispirano i vari ambienti tra i quali la sala da ballo,il salone di ricevimento cui si accede dalla scalinata esterna a doppia rampa e la sala da pranzo nella quale è ancora funzionante il tavolo circolare dove, attraverso un congegno meccanico,giungevano le portate.
La facciata è preceduta da un portico centrale formato da sei colonne disposte a semicerchio,e culmina in una costruzione ottagonale con una copertura a pagoda detta Specola o Stanza dei venti. Impreziosita e abbellita durante la lunga permanenza della coppia reale in epoca napoleonica,la tenuta rimane inalterata nel corso del XIX secolo. Il parco appare oggi notevolmente cambiato:sopravvivono la Palazzina,il padiglione neoclassico di Giuseppe Patricola, i due piccoli padiglioni neogotici,la statua di Ercole(copia di quella della collezione Farnese) e quella di Diana;nulla rimane invece delle numerose fontane,dei viali di bosso,dei boschetti di mirto,della Coffee House e soprattutto delle numerose colture impiantate originariamente.
(Continua nel prossimo articolo con l’attività di Giovan Battista Filippo Basile)
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