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Una mano celeste negli stucchi del Serpotta (Prima parte) Di Tommaso Aiello |
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Con
l’affermarsi del Barocco, la modellazione delle figure e gli schemi decorativi
diventano più liberi, inserendosi e rispondendo al nuovo concetto di
spazialità. L’ornamentazione in stucco ha, rispetto all’architettura, un duplice
ruolo: di completamento in molti casi, di trasformazione dello spazio stesso in
altri. All’interno di chiese, cappelle e oratori, gli spazi occupati sono quelli
delle volte, dei cornicioni, delle cupole, degli archi attorno alle finestre e tra
le colonne. Angeli, virtù, putti, allegorie, siedono sui cornicioni, si affacciano
dalle cupole, si sporgono da nicchie e altari, si librano nell’aria; nuvole leggere
circondano colonne, altari, avvolgono le sculture, si distribuiscono sulle
volte: fregi geometrici, cartigli, cartelle e volute, fasce, festoni, finti tendaggi
definiscono le superfici, le coprono o le evidenziano, con una molteplice e varia
rielaborazione di un patrimonio figurativo desunto dalla classicità, dalla
cultura manieristica e dalla natura. Sculture
a tutto tondo di santi e beati affiancano le pale
d’altare o sono collocate entro nicchie lungo le navate e nelle
cappelle: medaglioni e riquadri, talvolta retti da putti e angeli, o circondati da
fasce architettoniche o festoni, mostrano scene modellate a bassorilievo. Ciò non
toglie che artisti come il Serpotta occupino intere facciate per esprimere con
la sua arte scenari più complessi.
Conoscitore esperto quale era dei segreti del materiale
e della tecnica, oltre che abile modellatore fu originale inventore. Lavorò
intensamente nella sua città, ma com’è noto ricevette commissioni anche ad
Agrigento, Monreale, Alcamo e Messina, per opere che purtroppo, per la violenza e
per la noncuranza degli uomini o per eventi tragici della storia (come il
bombardamento di Palermo nel 1943), non ci sono giunte nella loro integrità
originaria. Di alcune possediamo la testimonianza delle fonti scritte, ma c’è da
credere che di molte altre si siano perse le tracce. Il primo intervento
riconosciutogli, nella chiesa della Madonna dell’Itria a Monreale, rivela capacità
ancora acerbe che invece risulteranno assai più rilevanti nelle pareti
dell’oratorio di San Mercurio a Palermo, in cui compaiono le prime avvisaglie dei
suoi tipici angiolini e putti.
Alcamo-La Giustizia - Chiesa di Santa Chiara
La
sua arte si incammina quindi su un doppio binario, espressioni artistiche locali
ed esempi colti romani e napoletani, certamente tratti dalle innumerevoli fonti a
stampa cui dovette venire in possesso nel corso del tempo e per i contatti con i
principali artisti coevi attivi nel palermitano: gli architetti Giacomo Amato e
Paolo Amato, i pittori
Antonino Grano
e Pietro dell’Aquila. Proprio ad una probabile collaborazione progettuale con
Giacomo o Paolo Amato si deve il primo dei suoi capolavori:
Qui appare incredibilmente trasformato rispetto alle
esperienze precedenti. Dimostra una capacità inventiva eccezionale nella
realizzazione dell’ambiente, allora del tutto libero, riuscendo a creare un
apparato scultoreo di straordinaria efficacia espressiva e profondità
semantica, distaccandosi del tutto dai suoi pur valenti colleghi stuccatori
coevi. La barocchissima, prodigiosamente fantasiosa ed originale ornamentazione di
queste pareti rappresenta, unitamente all’oratorio di San Lorenzo, la massima
espressione del genio artistico di Giacomo Serpotta. Nessuna foto può rendere
l’emozione del visitatore che direttamente posa il suo sguardo sulle figure che
emergono dagli spazi parietali: grazie alla cura per l’espressione, gli sguardi, i
gesti,gli atteggiamenti, esse sembrano prendere vita, intessendo un fitto dialogo
tra loro e con gli astanti. Lo scultore palermitano inventa una fantastica e
originale forma di architettura che dà luogo ad una spazialità dilatata, mossa da
una continua animazione luministica.
Particolare della controfacciata di Santa Cita – Foto Aiello
Egli sfrutta la relativa levità della materia, i sottili
e ariosi effeti di luce che possono ottenersi per le tonalità chiare e lucide
dello stucco.
Oratorio di Santa Cita-Allegoria della Carità e dell’Umiltà – Foto Aiello
Il modello dei panneggi e dell’anatomia acquista
morbidezza e fluidità e l’impianto decorativo reclama la propria autonomia nei
confronti delle statiche strutture architettoniche dell’ambiente. Quì l’autore
rivela non solamente la sua abilità nel trattare lo stucco, che richiede una mano
veloce, ma anche la sua sincera vena poetica.
Forse una delle
caratteristiche più belle e fresche della sua arte. Colpiscono soprattutto alcuni
rilievi, che assumono forme di veri e propri palcoscenici, tanto da sembrare, come
è stato rilevato, piccoli “teatrini”di stucco o “teatrini prospettici”. La
similitudine col mondo del teatro regge anche facendo riferimento alle statue
allegoriche, di più grandi dimensioni, che si sporgono da nicchie dorate e
piedistalli verso lo spazio circostante, recitando così la loro parte: Tutte
insieme le sue figure vivono in unità,”in un accordo che è di senso quasi
musicale e
teatrale”. Che cosa possa averlo trasformato in
maniera tanto netta, in un così breve tempo, non è ancora chiaro; certo è che da
questo momento da stuccatore diviene uno scultore, capace di padroneggiare la
materia, i grandi spazi e le decorazioni minute. (Continua)
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