MITI, LEGGENDE E SUPERSTIZIONI: TRA SACRO E PROFANO
“TRUVATURE” E SACRIFICI EDILIZI NELL’ANTICA CONTEA DI MODICA
Credo che nonostante la tecnologia dei robot delle autostrade informatiche, non sia ancora spento del tutto il ricordo nella memoria popolare, dei tesori incantati (le truvature) e degli strani rituali necessari per disincantarli.
Il Meridione, ed in particolare la Sicilia, è ricco di racconti popolari che riguardano le truvature. Più la miseria è realtà quotidiana, più forte è il desiderio che sia il destino a risolvere in modo energico e definitivo i nostri problemi quotidiani. Questo lo sanno in molti, soprattutto chi, da questo desiderio di riscatto economico riesce a trarne una fonte di guadagno, e così gratta e vinci, totocalcio, lotto e lotterie di ogni tipo, proliferano, dimenticando che per ogni fortunato che riderà, cento altri piangeranno l’aumentata miseria.
Il Sacrificio di Ifigenia, Affresco Pompeiano
Forse era meglio una volta, quando al posto delle lotterie c’erano i tesori incantati che aspettavano di essere prelevati dai prescelti del destino. Poco importava se per “disincantare” (o slegare) il tesoro dalla sua truvatura bisognava usare gli espedienti più strani, ridicoli, a volte pericolosi e non di rado delittuosi.
Tra i rituali più strani e ridicoli è forse quello necessario per impossessarsi di un tesoro situato in una località imprecisata della Contea di Modica, dove bisogna spogliarsi completamente nudi, sdraiarsi sul posto a bocconi, accendere intorno al tesoro tre candele, tenendo in una mano un topo morto e nell’altra un serpente anch’esso morto e come se non bastasse, bisogna rimanere immobili per tre ore, dalle undici di sera alle due del mattino, senza spaventarsi dei rumori e delle apparizioni e imitando di tanto il canto del gallo e recitare uno scongiuro che quasi nessuno conosce.
La fantasia popolare non ha limiti, a volte più dei rituali ridicoli possono i rituali che vedono involontari attori, delle vittime sacrificali, e proprio su questi ultimi vorrei soffermarmi, in quanto penso che sia possibile individuare in chiave sincretica, legami tra i fatti di sangue legati ad alcune truvature (e forse la forma più antica di sacrificio umano) quella relativa ai cosiddetti “sacrifici edilizi” in cui, in occasione di nuove costruzioni, sotto le strutture del nuovo edificio venivano seppellite le vittime.
La mummia di una bambina sacrificata dagli Incas
Ritrovamenti archeologici testimoniano la presenza di sacrifici edilizi presso i popoli preistorici dell’Europa. La barbara usanza fu lentamente abbandonata, o comunque sostituita con simulacri che facevano assumere al rito un carattere puramente simbolico.
Sacrifici edilizi si avevano ad esempio, presso i Celti; Vincenzo Mancini, nel suo libro “Sacrifici umani e omicidi rituali dell’antichità”, riferendosi alla leggenda di S. Colombano, riferisce che costui chiese alla popolazione che un volontario si offrisse affinché il suo corpo consacrasse il luogo su cui sarebbe dovuta sorgere la chiesa:
<< Si levò Odharano, dicendo: Se voi accettate io sono pronto. Rispose Columkille: O Odharano, tu avrai la tua ricompensa; nessuna grazie sarà accordata ad alcuno sino a che quegli non chiederà di te. Odharano andò al Cielo. Columkille fondò la chiesa di Hy in quel luogo>>.
Testimonianze su sacrifici edilizi provengono anche dalla Bibbia; nel libro dei Re 1.XVI,34 si parla di un certo Hiel di Betel. Che ricostruì Gerico al tempo di re Achab e la fondò sopra Abiram suo primogenito, inoltre sposò sotto le porte di essa, Segub, figlio di Num. E a conferma di un tale costume, nel 1907, la società tedesca per gli scavi archeologici in Palestina scoprì sotto le mura di Mageddo (Città biblica già disabitata ai tempi di Cristo) lo scheletro di un fanciullo di circa 15 anni.
Nella tradizione popolare siciliana, tracce di sacrifici umani che ricordano gli antichi sacrifici edilizi si hanno a proposito delle modalità che in alcuni casi bisogna adottare per prendere il denaro dei tesori incantati. Infatti si vuole credere che, in alcuni casi, l’incanto può essere tolto con un nuovo tributo di sangue (non a caso in Sicilia è stata sempre radicata la filosofia popolare “sangu chiama sangu”.
La vittima “legata” al tesoro incantato è destinata a custodire la “truvatura” così come la vittima sacrificale dei sacrifici edilizi custodiva l’edificio cui veniva anch’esso legato.
La Sicilia è ricca di queste travature. In una montagna nei pressi di Capaci è sepolto uno stivale pieno di monete d’oro. Lo potrà prendere chi condurrà e scannerà un uomo nel posto dove è sepolto tale tesoro.
Un altro tesoro incantato che chiede lo stesso tributo di sangue si trova non lontano da Caltabellotta; nel vicino “Monte Calvario” esiste una grotta che offrirà il suo tesoro a chi verserà al suo interno il sangue di un uomo scannato. A volte una sola vittima non basta, come nel caso della “La Montagna del furore” un monte nei pressi di Naro (Agrigento) dove è nascosto un immenso tesoro. Per disincantarlo occorre sacrificare sul luogo sette bambini innocenti.
Ma anche in terra iblea non mancano truvature del genere. Nella cava di S. Lena, non lontana da Chiaramonte, pascola un gregge tutto d’oro. Ci si può appropriare del gregge se nel giorno di Venerdì Santo si uccide sul luogo un uomo.
Giuseppe Pitrè nel suo libro: Usi e costumi e pregiudizi del popolo siciliano (p.436) pubblicato nel 1889, parla di una chiesa del territorio di Modica detta Chiesa di Scrofani, dove esiste un tesoro incantato.
Per prendere tale tesoro bisogna uccidere un fanciullo che abbia nome Clemente, e a ucciderlo deve essere la madrina che deve mangiare il suo fegato sul posto.
E qualcuno deve averci provato; infatti lo scrittore Serafino Amabile Guastella in una lettera indirizzata al Pitrè, raccontava di un processo avvenuto pochi mesi prima a Modica riguardante il seguente fatto di sangue avvenuto nella chiesa suddetta:una donna, che aveva un figlioccio di due anni chiamato Clemente, portò via il piccolo all’insaputa della madre e accompagnata da un’altra complice, entrarono in chiesa; le due donne uccisero il bimbo nella lastra che, secondo il popolo, nasconde il tesoro e gli strapparono il fegato. Ma non riuscirono a mangiarlo crudo, infatti ne vomitarono un poco, ed il tesoro non potè quindi disincantarsi”.
L’episodio medicano mette in luce un’altra antichissima abitudine, quella di mangiare alcune parti del corpo delle vittime sacrificali. Diodoro Siculo (Lib.XXII.5) parlando del tiranno Apollodoro che nel 279 a.c. cospirava per diventare tiranno di Cassandra (la città fondata da Alessandro sulla costa settentrionale dellìEgeo) dice:
<< e volendo rendere sicuro l’esito della sua cospirazione, chiamò un giovinetto, amico suo, come per un sacrificio, lo sgozzò come offerta per gli dei, ne diede da mangiare le viscere ai cospiratori, e, mescolatone il sangue a del vino, lo fece bere loro>>.
Così come gli antichi rituali in cui erano richiesti sacrifici umani si trasformavano, e a fare le spese della stupidità umana erano gli animali e non più gli uomini, anche per le truvature si assiste ad un fenomeno simile, in cui però rimane l’antica abitudine di cibarsi della vittima.
Un’antica credenza popolare modicana, ritiene che alcune donne possono “slegare” un tesoro, cocendo sotto la propria gonnella, dentro uno scaldino pieno di carbone acceso, un pipistrello e di mangiarselo intero senza aver tolto le interiora. Un altro metodo, meno disgustoso, sempre medicano, per impossessarsi di un tesoro è quello di schiacciare tre pidocchi tratti dal proprio petto sulla lastra che nasconde il tesoro. Il problema non è tanto quello di trovare i pidocchi da mettersi sul petto, quanto quello di sapere dove si trova il tesoro.
E in una terra di fede non poteva mancare l’elemento religioso; sempre la tradizione modicana racconta che Bernardo Cabrera seppellì una capra d’oro in una grotta sulla cima di una montagna presso l’Irminio. La grotta prese poi il nome di “Grotta della Capra d’oro”. Per slegare il tesoro è necessario che tre preti di tre comuni diversi, che hanno lo stesso nome battesimali e gli stessi anni, entrino nella grotta, scannino un becco e ciascuno di loro beva tre gocce di sangue: solo allora la capra d’oro sepolta dal Cabrera sorgerà da sotto terra belando.
Di Ignazio Caloggero
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