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"Il Giardino o Castello incantato" di Sciacca Di Tommaso Aiello |
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Sembrerà strano, però succede che alcune volte un bene culturale di grande rilievo sia poco conosciuto o sia stato abbandonato al suo destino. Durante le mie letture mi sono imbattuto in un personaggio, anche a me sconoscito, Filippo Bentivegna di Sciacca, autore di un’opera, che definerei del tutto singolare: ”Il Giardino o Castello incantato”. Prima però di passare alla descrizione di questo bene, mi pare opportuno parlare brevemente della vita del suo autore, perché questo ci servirà a capire meglio la sua opera. Filippo Bentivegna nacque a Sciacca il 3 maggio del 1888 e di umili origini: il padre era un pescatore, la madre casalinga. Nel 1913 emigrò negli Stati Uniti sulle orme di due fratelli e una sorella. Ma in America subì un grave trauma cranico, essendo stato colpito da una bastonata in testa, che lo tramortì per diversi giorni, forse ad opera di un rivale in amore. A causa del colpo ebbe problemi di amnesia e non fu più in grado di lavorare: considerato improduttivo e dichiarato inabile
al lavoro fu rimpatriato(1919). Tornato in Italia dopo la Grande Guerra Bentivegna fu considerato disertore e condannato in contumacia a tre anni di carcere, per cui una volta rientrato allo scopo di eseguire la condanna venne sottoposto ad una visita psichiatrica e fu dichiarato pazzo, ma non essendo considerato un pericolo sociale fu lasciato libero di acquistare un appezzamento di terreno alle falde del monte Kronio, dove si ritirò realizzando il suo “Giardino(o Castello) incantato”. Nel suo feudo Bentivegna, grazie alle formazioni calcaree che riempivano il fondo, iniziò a scolpire centinaia di teste umane. Teste accatastate, affiancate e bifronti.
F.Bentivegna(a sx) |
Artista dalla dolente, persino alienata visionarietà, trascorse l’intera esistenza in una sorta di apartheid creativa disseminando il suo podere di oltre tremila teste che sono ritratte con deformante espressività, lontane da qualunque padronanza tecnica, ma al contempo inquietanti nella loro fissità: spesso si aggruppano come in grappoli, ricordando ancestrali presenze totemiche.
Nelle pareti della casupola del suo podere Bentivegna dipinse anche una serie di grattacieli che rappresentano una specie di memoria ”genetica” della sua esistenza d’artista. Alcune sue sculture sono esposte in una sala a lui dedicata, nel museo dell’Art Brut di Losanna. Le teste che per lunghi anni fino al 1967, anno della sua morte, Bentivegna venne strutturando e scavando nella pietra locale, costituiscono il lascito insolito e affascinante dell’artista che durante tutta la sua vita ebbe la sola preoccupazione di compiere questo suo sconcertante lavoro, di cui ben pochi, tanto in Italia che all’estero, sono al corrente dell’esistenza di Bentivegna, anche perché non molti si sono accorti dell’eccezionalità ma anche del fascino delle sue sculture. Sculture che sono il frutto di un’attività finalizzata a una precisa meta artistica. E’ evidente, infatti, che l’anomalia di Bentivegna non si può far rientrare semplicemente in quella di un subnormale, o d’uno schizofrenico, perché la sua integrità fisica, l’abilità nella sua attività manuale finalizzata alle sculture, stanno a dimostrare un’indubbia capacità ideativa ed espressiva, indirizzata tuttavia, a senso unico, e da considerare perciò, almeno parzialmente delirante. Le teste presentano tutte una certa “aria di famiglia” e che, proprio per questo, risultano del tutto immaginarie, anche se il loro autore le indicava con molti nomi di personaggi del luogo, o di personalità storiche dell’epoca, battezzando alcune di esse con i nomi di Garibaldi, Mussolini, Hitler ecc. Ma quello che costituisce un altro motivo singolare è la costruzione, vagamente piramidali ma sinuose, (oggi sostituite da blocchi di cemento) , quasi”impilate”, moltissime teste, così che l’insieme appare come una formazione unitaria, la cui sagoma ricorda un po’ le muraglie del Parco Guell di Gaudì a Barcellona, dalle quali occhieggiano i volti, ora arcigni, ora severi, ora stralunati delle sculture. A questo punto ci chiediamo quale è stata la vera molla che ha messo in moto questa incessante creazione. Quale è stato in realtà il significato che lo scultore attribuiva alle sue invenzioni? E’ impossibile deciderlo con certezza, né vogliamo creare parallelismi con altri personaggi come lo svizzero Adolf Woelffli o il romano Fernando Nannetti. Possiamo però dire che la “fissazione” di Bentivegna si limitava alla creazione delle infinite teste e per questo ci pare giusto considerare il “Giardino” un’opera d’arte anche se facente parte della grande famiglia dell’Art Brut. E allora perché queste teste e questo giardino appaiono così conturbanti ai nostri occhi?. Forse perché non sono stati mai succubi delle “mode” del tempo, dei dettami d’un insegnamento accademico, delle imposizioni e della corruttela di un mercato. Per fortuna Bentivegna non si è lasciato mai travolgere da un giro di affari che avrebbe potuto stimolarlo a produrre in maniera diversa. Per queste ragioni probabilmente la genuinità delle teste riesce ancora a parlarci con un linguaggio carico di efficacia. La casa (oggi un piccolo museo)e il fondo” Il Giardino incantato” sono stati acquistati nel 1974 dalla Regione Siciliana per salvaguardarli dalle depredazioni degli sciacalli di turno (vestiti da studiosi) e sono stati aperti al pubblico.
Tommaso Aiello
Consulente del Distretto Lions 108yb
Per l’Area Cultura e Comunicazione
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