Heritage Sicilia

LA PROCESSIONE DEI FLAGELLANTI A ISPICA

Melchiorre Trigilia

Sicilia: Centro Studi Helios

LA PROCESSIONE DEI FLAGELLANTI A ISPICA

   Quest’anno 2013, è stata ripresa la processione dei Flagellanti durante la Settimana Santa, che era stata proibita 140 anni fa nel 1873, perché “la crudele costumanza dei penitenti che a dorso nudo si percuotevano a sangue offendeva il sentimento civile del pubblico”. L’iniziativa e l’organizzazione  è stata della Confraternita di S. Maria Maggiore, alla quale lo scrivente ha dato il suo contributo storico-sacro. I flagellanti, in abito bianco, volto coperto, corona di spine in capo, piedi nudi e flagelli in mano con cui davano lievi colpi alle spalle, assieme ai confrati  coi loro abiti, in lunga processione, hanno preceduto il Cristo alla Colonna, la notte del Giovedì Santo, dalla Chiesa di S. Maria di Gesù lungo la via Roma, illuminata, in modo suggestivo, come nell’Ottocento, con lampade ad olio e cera. Se la sacra processione si svolgerà anche l’anno prossimo, potrà essere resa più conforme allo spirito penitenziale, con la recita del miserere e di altri salmi e passi dei profeti Isaia e Geremia, riguardanti la passione e morte di Gesù Cristo.   

 

1873 – 1876

SONO PROIBITE LE FLAGELLAZIONI.

ROMANZESCA DESCRIZIONE DI LUIGI CAPUANA

   Già nel comunicato del Regio Giudice Castagna del 1850, con cui si permetteva di nuovo la Processione del SS. Cristo, il Governo aveva “espressamente ordinato di non permettersi di andare presso le strade né in Chiesa uomini nudi le spalle percuotendosi a sangue o in altro modo.” Malgrado ciò i “Flagellanti” continuarono di nascosto la loro pratica di penitenza e pietà.

   Nel 1873, Il Prefetto di Siracusa autorizzò le processioni della Settimana Santa sotto condizione, ancora una volta, che “nella pro­cessione non si facciano gli atti di disciplina, flagellazioni ecc. prati­cati negli anni addietro, non potendosi tollerare cotali costumanze proprie di altri tempi e che offendono il sentimento civile del pub­blico.1” La stessa proibizione veniva rinnovata con ordinanza del Sottoprefetto Morelli in data Modica addì 8 marzo 18762.

   La processione dei flagellanti viene descritta come realmente si svolgeva dalla Fronterrè secondo la narrazione di anziani che l’avevano vista e praticata. Essa partiva dall’edicola detta del “Santissimo” nel Vignale di S. Giovanni  nelle  prime  ore  del  mat­tino del Giovedì Santo. I Flagellanti in lunga fila, scalzi, col dorso nudo, il capo cinto da giunco, una corda al collo, procedevano battendosi le spalle a sangue con i flagelli e mormorando versetti del Miserere. Li accompagnava una gran folla di paesani e forestieri, ma non  seguiva  né  il  Cristo  morto né il Clero né le Confraternite. Giunti in chiesa i Flagellanti andavano a baciare l’altare del SS. Cristo gridando: “Viva lu Patri! Viva arabol!3

   Riportiamo ora i passi più significativi della suggestiva descrizione fatta da Luigi Capuana che la arricchisce e ne colorisce il folclore con la  sua  geniale  fantasia  e  la  sua raffinata arte. Essa è contenuta nel  Romanzo  Profumo,  pubblicato  nel  1892  e  ambientato   proprio a Spaccaforno, chiamata dallo scrittore Marzallo4.

   “Dice papà se vogliono vedere i flagellanti la sera del venerdì santo. …Gran  spettacolo! Sono  sei anni che la processione non si fa più…A questa processione, che si fa soltanto a Marzallo, accorre tanta gente da lontano…”   Già risonava in fondo alla via il sordo rullo dei tamburi che precede­vano le confraternite. Laggiù la folla si apriva e spuntava un gran stendardo,  che  pareva fendesse il cielo coi luccicori della sua stoffa tramata a lamine d’argento e ricca di ricami d’oro. Indi, a due a due, brillavano a un tratto, tra il nero della calca, le torce accese, protette da lanternini di carta bianchi, rossi, gialli, verdi, che illuminavano i candidi cappucci e le mantelline color porpora dei confrati.

…La folla rumorosa si mescolava, si agitava per l’avvicinarsi della processione. I rulli dei tamburi, abbassati di tono, ora si sentivano più distinti, a intervalli, simili a quelli d’un convoglio funebre. A ondate, arrivavano le lamentose note della marcia funebre della Jone, suonata dalla banda musicale dietro il corteo e il salmodiare dei preti che non si vedevano ancora, perché la via faceva gomito presso la chiesa del Rosario [S. Anna]…La processione continu­ava a sfi­lare, lenta, interminabile; stendardi e confrater­nite…Sfilavano le bandiere di seta a due colori…Appresso, in lunghe file, chierici e preti, in cotta e cappa nera, con la torcia in mano…Al rumore della tràccola… la barella dorata del Cristo morto, a foggia di tumulo, barcollava con i lanternini che la circondavano, quasi surnuotante su quel fiume di teste; e non riu­sciva ad aprirsi un passaggio. Gran rumore, misto di voci urlanti e di scrosci, come di catene sbattute insieme…

I flagellanti! I flagellanti! Eccoli! Eccoli!

A due a due, ignudi, ricinti i fianchi da larga fascia bianca di tela, essi s’avanzavano, battendosi le spalle con le discipline laceranti e urlando: - Pietà, Signore, pietà! Misericordia Signore! –

Su per le braccia abbronzite e le arabol spalle, larghe righe di san­gue scorrevano; piaghe, già nere pei grumi formatisi lungo la via, si riaprivano sotto i colpi.-Misericordia, Signore! Pietà, Signore, pietà!

E le discipline agitate per aria, incessantemente colpivano quasi con rabbia, aprendo nuove ferite, facendo sprizzare altre righe di san­gue su quei corpi che già mettevano orrore. Coi capelli in disor­dine, con  la faccia sanguinolenta per le lacerazioni prodotte alla testa e alla fronte dalla corona di pungentissime spine conficcate nella pelle e scossa dall’agitarsi di tutta la persona ricurva, essi non sembravano più creature umane, civili, ma selvaggi sbucati improvvisamente da terre ignote, ebbri di sacro furore pei loro riti nefandi… ”

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1 Cfr. L. Arminio, op. cit. p. 32.

2 Cfr. G. Calvo, op. cit. p. 243.

3La Basilica…Op. cit.pp.162-165.

4 Cito dall’edizione dei “Classici della Narrativa”, Armando Curcio Editore, pp. 91, 100-104, Milano 1977

 

STORIA DELLE CONFRATERNITE

   Secondo il precedente Codice di Diritto Canonico, le Confraternite sono dei sodalizi che hanno per scopo l’incremento del pubblico culto e l’esercizio di opere di pietà e carità (can. 707). Il nuovo Codice al canone 298 parla in genere di associazioni pubbliche, erette e sotto la vigilanza della competente autorità ecclesiastica, di fedeli cristiani, chierici o laici, o miste, che insieme tendono a una vita più perfetta e a promuovere il culto e la dottrina cristiana o ad altre opere di apostolato, cioè all’evangelizzazione, all’esercizio di opere di pietà e carità e ad animare il mondo con lo spirito cristiano.

   Nell’antichità sono esistite associazioni simili alle Confraternite, fondate sul sentimento di fratellanza e che avevano come scopo il culto degli dei. Si può accennare alle eterie o fratrie dei Greci e ai numerosi collegi dei Romani; anche gli Ebrei fuggiti a Roma ai tempi di Pompeo e Cesare ebbero i loro collegi.

   Fratellanza ed amore di Dio sono alla base delle “ecclesie” o comunità dei cristiani.. Il fondamento lo possiamo trovare nelle parole del Signore: “Dove due o più sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Matt. 18,20).

   Se perciò intendiamo le C. cristiane in senso largo come riunioni di fedeli, possiamo farle risalire  alle origini del Cristianesimo, alle riunioni attorno alle mense eucaristiche, le agapi, di cui fanno menzione gli Atti, le Lettere Apostoliche e gli scrittori Ecclesiastici dei primi secoli. Nel 336 a Costantinopoli si costituisce un asceterio i cui membri dovevano accompagnare e seppellire i morti. Nel Codex Thedos. Del 418, si parla dei araboloni, chierici che si dedicavano alle cure dei malati. Nelle “Novelle” di Giustiniano, sono nominati i “Lecticari”, dediti all’inumazione dei fedeli. Ma secondo il Muratori (Diss. Sopra le Ant. Ital., Diss. 75), l’origine delle moderne C. va fatta risalire all’’800, ai tempi di Carlo Magno. Nella XII Legge Longobardica si parla infatti di Gildonie, che pare proprio  siano  C. di laici,  istituite  con  licenza del Re e confermate dal Vescovo; i quali laici mettevano del denaro in comune, per opere pie, per conviti e aiuti ai poveri e a chi avesse subito incendio e naufragio. Nei capitoli diretti dal Vescovo Lomaro di Reims ai suoi preti, dell’852, si parla di Confratrie e Confrati, che facevano offerte di lumi e vini per il culto durante le messe, provvedevano ai funerali dei membri, facevano elemosine e altri uffici di pietà; vengono però condannati gli abusi nei banchetti e le risse talora sanguinose. Un’importante testimonianza l’abbiamo nell’XI Concilio Ecumenico Lateranense 3° del 1179, dove si stabilisce l’autorità dei Vescovi sulle “Fraternità”, come sugli altri parrocchiani, per correggere gli eccessi (Can. 9, CO.E.D., pp. 216-17). Risalgono al 1100 ca. la “Scola” di S. Stefano, che aveva sede nel Monastero di S. Giorgio a Venezia e la C. della Chiesa di S. Restituta a Napoli. E’ certo che dal XII sec. in poi furono erette in varie parti d’Italia molte C. Ognuna aveva una cappella o una chiesa dove compiere le pratiche religiose (messe, processioni, preghiere) e un luogo di raduno, sotto  la  guida di  un capo e l’assistenza di un sacerdote. Gli scopi erano, oltre alle suddette pratiche di pietà, l’assistenza ai fratelli malati, i funerali e i suffragi per i defunti, i soccorsi ai bisognosi e la dotazione delle fanciulle povere, l’assistenza ai condannati a morte e ai carcerati.

   Il grande movimento dei Flagellanti, iniziato da un certo Fra Giovanni da Vicenza a Perugia nel 1260, ha molta importanza, perché da esso ebbero origine molte C. dette “Compagnie dei Battuti”, che unirono al fine precipuo penitenziale della flagellazione pubblica e privata, quello dell’assistenza agli ammalati e della beneficenza. Interessante è la descrizione che fa un monaco padovano del tempo di queste processioni. “Nobili e plebei, vecchi e giovani, a due a due, scalzi andavano in processione preceduti dai gonfaloni e da Cappellani con la croce, piangendo e flagellandosi a sangue le spalle; di giorno e di notte e anche nel più freddo inverno. Cento, mille, diecimila giravano per le città portando la pace fra le fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini, invitando tutti a pentirsi dei propri peccati e facendo restituire agli usurai e ai ladri quanto avevano mal sottratto.”

   Spesso però avvenivano disordini e abusi, oltre alla gran confusione, per cui da alcuni principi e re furono proibite, come da Manfredi nel Regno di Sicilia. Alla fine del 1300, un altro movimento penitenziale di Flagellanti si diffuse nell’Italia Centro Settentrionale e anche in Francia e Inghilterra; e poiché portavano lunghe vesti bianche, furono chiamate le “Compagnie dei Bianchi”.

   Un eco di queste processioni penitenziali, accompagnate da canti sacri l’abbiamo avuta nel nostro paese, unico in provincia, introdotta chi sa quando e da chi, ma certo diversi secoli fa e durata fino alla fine del 1800. Nella notte del Venerdì Santo infatti, una turba di popolo percorreva le vie della città, percuotendosi a sangue le carni ignude e cantando il seguente ritornello: “Lu cunigghiu avi la tana – lu surciddu ha lu purtusu – E pi Vui, Patri amurusu nci fu tana né purtusu. – Lu pigghiaru, l’attaccaru – lu purtaru ni Pilatu cumu ’n cuccu spinnacchiatu. – Pirdunati a li Juriei – Pietati Domini, miserere mei.”

   Furono queste Compagnie Penitenziali che per prime presero i tre elementi distintivi delle moderne Confraternite: l’insegna, il vessillo e la veste. Questa consisteva in un lungo abito di lino a colori diversi, con un cappuccio che talora copriva la faccia, lasciando solo due fori davanti agli occhi. I membri delle C. provenivano in genere dalle varie classi sociali: nobili, professionisti, artigiani, contadini, operai. La fede e l’amore per Dio e i fratelli faceva superare le barriere sociali e legava i membri col vincolo dell’unità. Invero talora potevano appartenere allo stesso mestiere; ma anche in questo caso si distinguevano dalle Associazioni di Arti e Mestieri, che avevano solo uno scopo socio-economico. Tali sodalizi diedero un valido contributo per ridestare la religione quando stava affievolendosi e apportarono un gran bene alla società, fondendo le varie classi, affratellando gli uomini per la tutela e l’aiuto reciproco, promuovendo opere di carità e assistenza per i poveri, ammalati, pellegrini  e  forestieri  e  anche  per  i  carcerati. Non  va trascurato l’influsso che  le  C. ebbero  nel  campo  letterario.  Nel  XIII e XIV sec. vengono  composte  molte poesie liriche dette “Laudi”, in latino e soprattutto in volgare, che si recitavano o cantavano durante le processioni, nelle feste e negli uffici di disciplina, nei riti per il ricevimento dei Novizi e nei funerali dei soci. I canti durante la flagellazione volevano dimostrare che il dolore della sferza era dolce perché a gloria di Dio e in espiazione dei propri e degli altrui peccati. In chiesa i Confrati si recavano nella propria cappella, davanti all’immagine di Gesù, della Madonna e dei Santi protettori e, a candele accese, intonavano in coro le laudi, talora inframezzate dal ritornello o dialogate. In alcune regioni si diffuse l’uso dei cantori salariati. Più tardi si aggiunsero le Laudi drammatiche e le Devozioni che spiegavano al popolo la predica del sacerdote. Dal XV sec. in poi si diffusero le Sacre Rappresentazioni, su argomenti tratti dalla Bibbia e dalle Vite dei Santi, fatte all’aperto e assai realistiche. Una ne compose anche Lorenzo il Magnifico. Il dramma preferito fu la Passione del Signore; famose quelle della notte del Venerdì Santo al Colosseo dell’Arciconfraternita del Gonfalone. Ancor oggi questi drammi sacri vengono rappresentati in varie città e paesi del mondo cristiano.

   Nel 1400 grande diffusione ebbero le C. specie per opera dei Santi Vincenzo Ferreri domenicano e Bernardino da Siena francescano. Diverse C. che avevano per scopo precipuo la cura di infermi e pellegrini, si mutarono in veri Ordini Ospedalieri. A Roma ebbero particolare importanza le C. costituite fra i membri delle diverse nazioni e regioni, per l’assistenza dei loro poveri e pellegrini. Nel 1500, prima e soprattutto dopo il Concilio di Trento, che riconfermò l’autorità e la cura dei Vescovi sulle C. (De Ref. Sess. XXII, cann. 8-9), molto contribuirono al rinnovamento della vita cristiana le Compagnie della Carità, specie quelle del Divino Amore, che promuovevano una più intensa vita cristiana, per mezzo di una sincera e operosa carità vcrso il prossimo. Ad esse si deve la fondazione di Ospedali per gli incurabili, di ricoveri per le prostitute pentite  e  le pericolanti, di orfanotrofi, di mense e soccorsi per i poveri vergognosi. Esclusivo scopo di promuovere l’adorazione della SS.ma Eucaristia ebbero le Compagnie del SS.mo Sacramento, propagate all’inizio con grande zelo dai francescani Cherubino da Spoleto e dal Beato Bernardino da Feltre. Arricchite poi da Paolo III di particolari privilegi nel 1539, si diffusero in quasi tutte le città e parrocchie d’Italia. Importanti anche le C. della Dottrina Cristiana, sorte ad opera di S. Carlo Borromeo, che lavorò molto per la diffusione delle C., nello spirito di fede, pietà e carità del Concilio di Trento. Le Confraternite rifiorirono “e fu veramente uno spettacolo di fede il vedere tutte le domeniche i confrati assistere alle sante messe, accostarsi con le loro insegne accostarsi alla santa comunione, incedere al completo nelle processioni coi loro labari e distintivi. In tempi di gravi calamitò, epidemie e carestie, vestiti di sacco, a piedi nudi, in processione di penitenza, propiziavano il Signore e si prodigavano per sovvenire i malati e i bisognosi. In tempi di guerriglie continue fra le città si adoperavano per portare la pace. Esse ebbero anche un altro grande merito: aver innalzato quei templi sontuosi che sono una meraviglia di arte e di fede, e l’averli arricchiti di decorazioni e di arredi sacri artistici, provvedendo anche con fondazioni sapienti ad assicurarne il culto divino con decoroso splendore”.

Le Confraternite avevano come fine anche l’istruzione cristiana dei fanciulli e del popolo. Il precedente Codice di Diritto Canonico  ne consiglia l’istituzione a tutti i parroci, assieme a quelle del SS.mo Sacramento e anche il Concilio Vaticano II le raccomanda, e così ha fatto Papa Giovanni Paolo II nel suo discorso giubilare alle C.

   Molte altre C. sorsero legate ai primi e terzi ordini religiosi: così quelle dei Cordigeri dei Frati Minori Conventuali e Osservanti; quelle del Rosario, diffuse ovunque dai Domenicani, quelle della Cintura dei PP. Agostiniani, della Madonna del Carmine dei Carmelitani.

   Com’è comprensibile, le più numerose e benemerite C. e Arciconfraternite sorsero a Roma soprattutto nel 1500. Ricordiamo solo quelle legate all’opera di grandi santi. Quella già nominata del Gonfalone si dice fondata da S. Bonaventura nel 1263. Quella della Pietà in S. Giovanni dei Fiorentini e quella della Carità in S. Girolamo ebbero come cappellano S. Filippo Neri dedito alla cura degli infermi e all’assistenza dei carcerati. Questo gran santo ne istituì un’altra nel 1548: l’Arciconfraternita della SS.ma Trinità dei Pellegrini, ancora oggi esistente, che acquistò grandi meriti durante i pellegrinaggi degli anni santi. L’Arcic. Degli Amanti di Cristo e Maria al Monte Calvario o della Via Crucis fu fondata nel 1751 da S. Leonardo da Porto Maurizio, per la Via Crucis al Colosseo nel Venerdì Santo; in tempi recenti è stata ripresa dai Sommi Pontefici. Ancora ricordiamo l’Arcic. Del Preziosissimo Sangue fondata da S. Gaspare del Bufalo nella prima metà dell’’800.

   Nel 1604 il Papa Clemente VIII regolò con la Costituzione “Quaecumque” (rimasta in vigore fino al precedente Codice) l’erezione e l’attività delle C. Paolo V, nel 1607, arricchì di indulgenze e grazie, ancora oggi valide le C. del tempo. L’indulgenza plenaria per sé e i propri defunti, a condizione che ci si confessi e comunichi e si preghi per la pace e il bene della Chiesa, si acquista nel giorno dell’ingresso nella C. ed in quello della festa principale e se si partecipa alle processioni pregando con devozione. In punto di morte, se non è possibile confessarsi e comunicarsi, per la remissione delle colpe e delle pene ad esse dovute, basta il sincero pentimento e l’invocazione con la bocca o, se non si può, almeno col cuore del SS.mo Nome di Gesù. Altre importanti indulgenze erano concesse se si accompagnavano alla sepoltura i Confrati, si soccorreva ai bisogni dei poveri e si metteva pace fra i nemici.

   Le C. ebbero ben presto patrimoni notevoli in beni e opere d’arte, il che attirò su di esse gli appetiti dei vari governi che, ispirandosi al giurisdizionalismo del Settecento, cercarono di inserirsi nella loro vita in modo sempre più invadente. Dopo la Rivoluzione Francese le C. furono in gran parte distrutte e i loro beni confiscati; delle rimaste lo Stato volle disporre a suo talento. Così avvenne anche in Italia, ma con notevole diversità nelle varie regioni. Il Concordato del 1929 stabilisce che le C. con scopo di culto sono lasciate libere e dipendono dalle autorità ecclesiastiche; quelle invece a scopo di beneficenza sono soggette a controlli governativi. Il nuovo Concordato non ne parla; quindi, o rimangono le precedenti disposizioni o saranno presi nuovi accordi, specie per i beni e le opere sociali, con lo Stato e con le singole Regioni.

 

 

I FLAGELLANTI DEL GIOVEDÌ SANTO A ISPICA

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