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La Nave bizantina di Pantano Longarini-Porto Ulisse (Ispica) Di Melchiorre Trigilia |
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LA NAVE DI YASSI ADA (SIMILE A QUELLA DI PANTANO LONGARINI -RICOSTRUZIONE)
CRONACA
Nel 1963,
durante i lavori di scavo dei canali per l’allevamento di pesci nel
Pantano Longarini, furono rinvenute molte e grandi travi di legno. Alcuni legni
furono portati a Marzamemi per venderli e qui l’Archeologo marino tedesco Gerald
Kapitan e l’Architetto navale Andrea Platania li videro e si resero conto che si
trattava dei resti di una nave antica. Il proprietario del terreno Francesco
Spatola avvisò allora il Soprintendente di Siracusa, Bernabò Brea, e nel 1964,
si diede inizio all’opera di scavo. I lavori furono diretti dal Kapitan e da
Peter Throckmorton, ingegnere marino e Archeologo dell’Università della
Pensylvania, che aveva già partecipato alla scoperta di altri simili relitti, in
Turchia, Grecia, Italia. Fu portata alla luce la parte poppiera rimasta e tutti
i legni furono accuratamente numerati con targhette. La nave era quasi intera;
solo una piccola parte era stata distrutta quando la tempesta l’aveva sbattuta
sulle secche del litorale, e alcuni legni erano stati asportati dagli abitanti
del luogo, prima che venisse sepolta da sabbia e limo. Certamente si trattava
del relitto più integro e meglio conservato mai rinvenuto nel Mediterraneo!
Purtroppo gli operai, che non si erano resi conto dell’importanza del relitto,
ne avevano distrutto con la pala meccanica e bruciato due terzi circa! La
notizia della scoperta si diffuse a Ispica e molti si recarono a vedere il
relitto: fra questi anche lo scrivente e il Maresciallo di Ispica, Salvatore
Ricca.
Il Prof. Trigilia, nel 1989, (prima edizione del suo libro
Storia e Guida di Ispica) riscoprì e segnalò la presenza del prezioso
relitto di cui si era perduto il ricordo, tanto che si diceva che gli archeologi
americani che l’avevano scavata l’avevano portata negli USA. Invece l’avevano
sistemata in una grande vasca di cemento e parzialmente ricoperta con
sabbia. E lì è rimasta dimenticata per ca. 35 anni, esposta agli agenti
atmosferici e alla corrosione, col rischio che i legni potessero del tutto
consumarsi e così andar perduto questo monumento di inestimabile valore
storico-archeologico.
Dieci anni dopo nel 1999 la segnalò al sindaco Rosario Gugliotta, che accompagnò
a prenderne visione assieme al Soprintendente di Ragusa, Dott. Gesualdo Campo.
Il Dott. Gugliotta, interessò le autorità competenti per il recupero della nave,
che nell’agosto del 2001 è stata rimossa di nascosto per disposizione della
Soprintendenza di Siracusa e sistemata in un capannone vicino alla città.
In seguito alla denuncia di furto da parte del Dott. Gugliotta, tenuto
all’oscuro del fatto, si tenne una conferenza di servizio a Palermo il 18
ottobre 2001, in presenza dell’Assessore Regionale ai Beni Culturali, delle
autorità competenti, specialisti e studiosi. In questa occasione l’archeologa
Dott. Beatrice Basile, Direttrice della Sezione archeologica di Siracusa affermò
che il relitto era stato dimenticato per così lungo tempo e se ne ignorava
l’esistenza, perché il precedente Soprintendente, morto qualche anno prima,
Bernabò Brea, non aveva lasciato alcuna memoria in proposito. In quella sede fu
deciso che la nave, dopo il restauro, che sarà fatto a Siracusa, doveva essere
restituita ad Ispica, nel cui antico Porto Ulisse o Porto di Ina è stata
rinvenuta, e musealizzata nei Capannoni di proprietà della Provincia, vicino a
Marispica; ma non se ne fece niente ed è rimasta fino ad oggi nel
locale della Soprintendenza.
Nel 2000 lo scrivente si recò a Siracusa a parlare col Kapitan e con
l’architetto navale Andrea Platania i quali mi hanno dato utili chiarimenti, ed
il Kapitan mi fece consultare la sua ricca biblioteca di archeologia marina. Ho
parlato anche con l’archeologo Filippo La Fauci, che ha studiato la tecnica di
costruzione della nave e ha redatto con la Soprintendente B. Basile il progetto
di restauro.
Nel 2002, in collaborazione col Prof. Antonino Lauretta, direttore del Centro di
Cultura Popolare di Ispica, vennero realizzate due importanti mostre sulla Nave
ed il Litorale Ispicese ed Ibleo, una nell’ex Mercato di Ispica e una a
Pozzallo, assieme all’Archeologo Lorenzo Guzzardi. Purtroppo il libro sulla nave
curato dal Prof. Trigilia, molto ben documentato, malgrado le promesse del
Sindaco Gugliotta e del Presidente della Provincia Dott. Franco Antoci, non vide
la luce.
Infine il 22 e 23 giugno 2012 si è svolto nel Castel Maniace di Siracusa un
Convegno internazionale dal titolo: “I pionieri dell’archeologia sottomarina –
Siracusa e Marsala, dalla Sicilia al Mediterraneo”. Sono intervenuti anche, con
una breve relazione, il Dott. Gugliotta, Presidente del “Comitato pro Nave di
Longarini” ed il Prof. Bellisario, Presidente di “Sicilia Antica” di Ispica (lo
scrivente non è stato invitato). In successivi incontri essi hanno avuto la
promessa, prima da parte della Dott. Rosa Lanteri e per ultimo dal nuovo
Soprintendente di Siracusa, Dott. Orazio Micali, che la nave, una volta
restaurata, sarà consegnata agli Ispicesi. Da parte sua il Sindaco di Ispica
Avv. Piero Rustico, ha messo a disposizione i locali del vecchio macello al
Parco Forza, per esporvi la nave assieme ad altri reperti archeologici.
ARCHEOLOGI AMERICANI (IN PRIMO PIANO LE MOGLI DEL KAPITAN E DEL TROKMORTON) E OPERAI DURANTE I LAVORI DI SCAVO DELLA NAVE – 1963
LA NAVE
(Sintesi)
Questa
nave oneraria era uno dei dromoni più grandi dell’antichità. Purtroppo fu
distrutta per due terzi dalla pala meccanica; è rimasta la poppa in buono stato
di conservazione perché sepolta nel limo. In una placca lignea era intagliata la
testa di un cavallo col nome: IPPOS (=cavallo). Le misure erano: lunghezza
30,30, larghezza al centro 10 ca., chiglia 23,20,
pescaggio da 1,5 a 3,5., stazza 300 tonn. ca. Col C.14 è stata datata al 600-650
d. C. cioè al primo periodo dell’Impero Romano d’Oriente o bizantino. Il
fasciame, le travi longitudinali e i longaroni erano di cipresso, la chiglia di
quercia, i tenoni di pistacchio. Essa segna una fase intermedia fra la tecnica
di costruzione greco-romana e quella medievale e moderna. La carpenteria antica
cominciava dal fasciame (shell first”, “prima il guscio”); le travi erano legate
l’una all’altra con tavolette (tenoni) inserite in incavi (mortase) e
trattenute da cavicchi di legno (“gomphoi”). Quella moderna comincia dalla
chiglia o scheletro (“frame first”) e usa chiodi e bulloni. Certo il valore
documentario di un relitto di nave antica è insostituibile, in quanto diretta
espressione di una porzione di vita troncata dal naufragio e giunta intatta fino
a noi. Sia le navi mercantili che quelle militari hanno anzitutto un
inestimabile valore in sé come macchine da guerra o produttive e offrono poi una
grande massa di informazioni preziose su topografia archeologica, armamenti e
strategia militare, tecnologia nautica, comunicazioni, rotte, architettura
navale, commerci e quindi sulla storia militare ed economica in generale, coi
molteplici aspetti umani, sociali, politici, culturali, artistici in essa
implicati.
Nel periodo bizantino, in cui è stata datata la nave, l’Impero d’Oriente era il
padrone indiscusso del Mediterraneo.
IL NOME “IPPOS”
Sono stato io a proporre il nome IPPOS della nave. Secondo il Throkmorton,
che la scoprì e studiò, i dati sicuri si ricavano dal ricordo dell’operaio,
interrogato solo da lui. Queste le parole del Th.: “La scoperta più
sorprendente di Garifalo era stata una placca con lettere greche e una
testa di cavallo sopra le lettere, lunga un metro e 20 circa, attaccata a
quella che doveva essere stata una trave del fasciame della nave”. Poco dopo
aggiunge: “Poiché la mia conoscenza del greco lascia molto a desiderare, io non
avanzo alcuna opinione, eccetto il fatto che il misterioso pezzo di legno color
banana era la placca dorata col nome della nave, che aveva certamente una
piccola testa di cavallo sopra le lettere e che vi erano 5 o 6 lettere greche…”
Invero fanno parte del nome “Ippos” tre lettere, nell’art. del ’68: pi, omicron
e sigma finale, secondo l’incerto ricordo dell’operaio, che sapeva solo il
siciliano! Purtroppo poco affidamento possiamo fare sul tipo di queste lettere.
Infatti il Th. ne cambia più volte la specie e l’ordine e con l’aiuto di qualche
grecista propone “Saffo” o “Pegasos” o “Teseus”. Ma c’è da chiedersi quanto
possa essere attendibile la lettura delle lettere greche, dato che un carattere
può essere facilmente interpretato non correttamente.
Altri nomi sono stati proposti, la maggior parte dei quali non hanno senso né
esistono nel vocabolario greco e risultano perciò ipotesi assai meno verosimili
e fantasiose. Il nome Ippos mi sembra ancora il più probabile per
queste ragioni: poteva essere un nome di nave, è il nome greco del cavallo
scolpito sopra, aveva 5 lettere e poteva indicare la città di provenienza. C’è
poi uno strettissimo legame fra il nome e la testa del cavallo, che più
verosimilmente era una protome equina (testa e collo). La tavola indicava sia il
nome della nave che “la figura che la personificava e consentiva
l’identificazione della città di appartenenza”. E a proposito di questa città si
potrebbe pensare ad una delle città dell’Africa del Nord legate al cavallo:
forse Cartagine nelle cui monete antiche c’è la protome equina. Più probabile
Ippona (in Algeria) fondata da Cartagine, il cui nome fu latinizzato in Hippo
Regius. Illustre ai tempi di S. Agostino che lì nacque, conservò una certa
importanza sotto i Bizantini e poi fu abbandonata in età musulmana. E c’è ancora
un’altra Hippo (oggi Biserta), detta in greco Hippo Acra (per la presenza di un
vicino promontorio, come il nostro Promontorio Odisseo!) e Hippo Diarrythus
sotto i Romani; fu fiorente fino al sec. VII. Queste città erano marinare e
avevano un porto canale, come la nostra Odissea!
DATAZIONE
Da un primo esame dei legni al radiocarbonio, fatto nel 1964 in Germania dal
Dott. Heins Wilms-Posen, risultò una datazione approssimativa 500 + o – 150,
cioè dal 350 al 650 d. C. Un successivo più accurato esame, fatto nel 1970 da B.
Lawn dell’Università della Pensylvania, ha stabilito meglio il tempo: 622 + o –
48 d.C., cioè: 574-670 d.C. E’ questa ormai la data accettata dagli
studiosi primo fra tutti l’autorevole Parcker (303), che propende per il
600-650 d.C: Va perciò rivisto il quadro linguistico, storico, geografico,
archeologico, storia della navigazione, tecnica navale ecc., in cui si colloca
la nave. Cosa che ha fatto lo scrivente in modo approfondito e non superficiale
e con ampia bibliografia.
IL PERIODO
E’ questo un periodo storico di grandi personaggi e avvenimenti. A Roma
dal 590 al 604 c’è uno dei più grandi Papi della
storia, Gregorio Magno, durante il cui governo si convertono alla fede
cristiana i popoli germanici e anglosassoni. Nel 570 alla Mecca nasce
Maometto; nel 622 dall’”Egira” inizia la cronologia musulmana. Dopo la sua
morte, nel 632, coi Califfi elettivi (632-661) iniziano le conquiste e la
diffusione dell’Islamismo; la prima scorreria in Sicilia è del 652.
Col grande imperatore d’Oriente, Giustiniano (527-565) e la moglie
Teodora comincia la prima fase dell’Impero romano d’oriente o Bizantino:
tutti i paesi rivieraschi del Mediterraneo sono dominio dell’Impero, con le
Prefetture d’Africa, d’Oriente e d’Illiria, eccetto la Spagna
centro-settentrionale (regno dei Visigoti) e la Francia (regno dei Franchi).
Fino alle invasioni arabe, l’impero d’Oriente è il padrone indiscusso del
Mediterraneo.
La Sicilia era stata conquistata dal generale Belisario nel 533-5. Gli
studi storici più recenti hanno capovolto il precedente giudizio negativo sulla
civiltà bizantina in Sicilia. Essa non è più vista come un periodo di
decadenza (Amari, Pace) ma al contrario per più di tre secoli la nostra
terra fu una delle provincie più importanti e ricche dell’Impero.
“L’unione di Siracusa [capoluogo dell’isola] all’impero bizantino (ma il
discorso vale per la Sicilia tutta) diede l’avvio ad imprese che sono indice di
un fervore culturale che è anche il riflesso di una buona situazione politica,
amministrativa, sociale ed economica” (S.L. Agnello). Una significativa conferma
dell’importanza della Sicilia bizantina è data dai cinque Papi di origine sicula
del VII-VIII sec., che conoscevano sia il greco che il latino: Agatone, Leone,
Conone, Sergio I e Stefano III. Sono solo questi i Pontefici di origine
siciliana in 2000 anni di storia della Chiesa.
OSSERVAZIONI SULLA TESI DI S. M. CAMPBELL
Nel 2007 Sarah Marie Kampbell ha presentato all’Università del Texas la sua Tesi
di Dottorato riguardante una nuova analisi del relitto di Pantano Longarini:
“The Pantano Longarini Shipwreck: a reanalysis”.
Queste le mie osservazioni. Sui dati riguardanti lo scavo e il relitto, con le
relazioni, lo studio, la documentazione fotografica (ora integrata dalla
Campbell grazie ad altre foto donate dal Trockmorton all’archivio dell’Jina),
non condivido i presunti difetti ed errori “dei disegni, piani e fotografie che
rimangono spesso incoerenti e incompleti”(“abstract” della Campbell).
Invero (non a mio giudizio, ma a quello di tutti gli studiosi, architetti ed
archeologi marini posteriori che invece su di essi si sono basati,
considerandoli esaurienti ed esatti sulla tecnica navale, e non hanno apportato
modifiche), l’accuratezza dello scavo con la numerazione con targhette di tutti
i legni rimasti, la prima relazione del Kapitan e Throckmorton e quella più
ampia e dettagliata del Thockmorton e della moglie Jean, che nel 2007 è stata
ripubblicata a parte, non pare lascino niente a desiderare.
La Campbell tratta della situazione politica, economica, sociale e militare ecc.
dell’impero bizantino d’Oriente (una trattazione più ampia e basata sulle fonti
prevalentemente greche si trova nell’Enc. It. in “Bizantina civiltà” e nelle
voci dei singoli imperatori); ma accenna soltanto alle vicende della Sicilia; e
questo perché, a suo dire, “la lacuna di documentazione che riguarda la
Sicilia in questo periodo ha creato un buco nero virtuale”. Invero la
studiosa dimostra di non conoscere né le fonti greche e latine riguardanti la
Sicilia in questo periodo, specie le coeve, né i numerosi contributi di
autorevoli storici ed archeologi: oltre ai precedenti Amari, Holm, Orsi, Lancia
di Brolo, Privitera, Di Giovanni, Di Gregorio, Di Blasi, Pace ed altri, quelli
più recenti: Guillou, Giuseppe e Santi Luigi Agnello, Falckenausen, Uggeri,
Messina ed altri. Lo stesso discorso vale in parte per “Navi antiche e storia
della navigazione”.
La tesi poi o, per meglio dire, l’ipotesi della Campbell, che si tratti di una
grande chiatta, mi sembra inaccettabile per queste semplici ragioni: sarebbe
l’unico caso fra le navi antiche e di quel periodo scoperte nel Mediterraneo; le
imbarcazioni, specie quelle di grandi dimensioni e tonnellaggio, come la nostra,
avevano tutte la chiglia profonda da un metro e mezzo a tre metri, come risulta
anche dalle fonti coeve, greche e latine, anteriori e posteriori, e dai mosaici;
il fondo piatto non era assolutamente adatto per la navigazione costiera e tanto
meno per quella d’alto mare (intrapresa certamente da navi mercantili grosse
come la nostra), tenuto conto che con mare forte e anche poco mosso si sarebbero
facilmente ribaltate e colate a picco. Il fondo piatto è adatto solo per
navigazione su specchi d’acqua non soggetti a venti forti e onde alte; ma nella
Sicilia sud-orientale mancano laghi e fiumi adatti ed il mare è spesso agitato
per i forti venti di levante e ponente, che in passato hanno causato molti
naufragi, compreso quello della nostra nave. Evidentemente la chiglia della
nostra nave andò distrutta per l’urto con gli scogli ed è rimasto il tavolato
del fondo, scambiato dalla Campbell per la chiglia!
BIBLIOGRAFIA
Fondamentali sono anzitutto i primi due articoli scientifici riguardanti la
nave: il primo è firmato dai due archeologi scopritori: Peter Throkmorton –
Gerald Kapitan, An ancient shipwreck at Pantano Longarini, in
“Archaelogy”, 21, fasc. 3, 1968; il secondo, più completo e accurato specie
sulla tecnica di costruzione della nave, è firmato dal Throkmorton e dalla
moglie Jean, che partecipò agli scavi: Throhmorton Peter & Jean, The roman
wreck at Pantano Longarini, in “International Jornay of Nautical Archaelogy”
(IJNA), 1973,2.2. Il Throkmorton ne parla ancora in breve in due altri articoli
del 1972 e 1987 (articoli rimasti ignoti ad altri studiosi): Throkmorton P.
Roman on the sea, in G. Bass (Ed.), A history of Seafaring, London
1972. Id.: History from the Sea, London 1987
Dal Kapitan e dal Throkmorton dipendono tutti gli altri studiosi, dagli anni
1970 fino ad oggi, con l’articolo, non firmato, comparso in Internet. I più
importanti sono Van F. Doorninck , Byzanthium, mistress of the sea, in
History of Seafaring, London 1972 (tradotto in italiano, Navi e Civiltà,
a c. di G. Bass, 1974), il Lawn (per la datazione) : Lawn B., Shipwrecks and
radiocarbon datetion, XII, London 1970; il Parker nel suo grande catalogo,
Parker A. J., (1) Ancient shipwrecks of the Mediterraneum and the roman
provinces, Oxford 1992. Questi studiosi non aggiungono niente di importante
e di nuovo allo studio del Trokmorton, che purtroppo non è stato commemorato
nelle relazioni del recente Convegno di Siracusa.
Altri articoli e note sulla Nave in: L. Casson: Casson Lionel, Ships and
Seamanship in the Ancient World, Princeton University Press, New Jersey
1971.
Id. Navi e marinai nell’antichità, tr. it. 1976. Id. Viaggi e
viaggiatori nell’antichità, tr. it. Milano 1978; Gianfrotta, Gargiullo e
Kely, Atlante archeologico dei mari d’Italia, 1993, G. Purpura.
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