CENTRO STUDI HELIOS

Alla scoperta della sicilianità: Il carretto siciliano

Di Salvatore Macaluso

 

HERITAGE SICILIA


 





































 

 Il carretto siciliano, con la sua fastosità, rappresenta indubbiamente, insieme alla coppola e ai pupi, l'espressione più caratteristica della nostra terra, è sicuramente uno dei simboli più significativi della Sicilia. Nasce nella seconda metà dell’ 800 per trasportare merci (vino, uva, olive, legna, agrumi, stoffe, conserve, frumento, lenticchie, fave, Carretto sicilianoceci, fagioli ecc.) dai paesi costieri ai paesi interni e viceversa. Prima di allora, il trasporto delle merci e delle persone avveniva sul dorso di animali da soma o per mezzo di veicoli più o meno  rudimentali. Dalla caduta dell'impero romano e per tutto il sec. XVII, il deterioramento e poi l'assenza di una rete viaria percorribile con veicoli a due ruote, limitava l'uso del carro, lasciando ai "vardunara", mulattieri al servizio dei grandi proprietari terrieri, il compito del trasporto dei prodotti per lunghi tragitti, mentre, per il trasporto di persone per brevi tratti, si utilizzavano portantine e lettighe, trainate per mezzo di stanghe, da uomini o da muli, e dal sec. XVII le carrozze trainate da cavalli. E' solo nel 1778 che il Parlamento siciliano approvò uno speciale stanziamento di 24.000 scudi per la costruzione di strade in Sicilia. Il governo borbonico nel 1830 si preoccupò di aprire strade di grande comunicazione, le cosiddette "regie trazzere", non tanto per motivi economici, quanto per ragioni militari. La prima di queste "regie trazzere" fu la "regia strada Palermo-Messina montagne" che passava per Enna e arrivava a Catania. Erano strade fatte da sentieri a fondo naturale, con salite ripidissime e curve a gomito, soggette a frane e piene di fossi; fu per questi percorsi che nacque il carretto siciliano dotato di ruote molto alte  per potere superare gli ostacoli delle "trazzere" e che, come ogni altro strumento di lavoro, diventò patrimonio della storia economica e culturale dell'isola. Prima dell'800 il carretto mancava totalmente di ogni decorazione e le prime figurazioni colorate apparvero alle sue fiancate solo più tardi, per lo più ispirate a scene della vita dei santi, tra cui il tradizionale San Giorgio, San Giuseppe e la Madonna col Bambino, il santo patrono del proprio paese ecc. Essendo quelle strade insicure e a rischio di agguati, e per scongiurare eventuali calamità naturali, che di certo non mancavano nell’isola, ogni carrettiere volle che il proprio carretto fosse istoriato con scene della vita del suo santo patrono e con simboli di scongiuro. Maestri artigiani di grande talento rifiorirono un po' dovunque e alcuni raggiunsero una popolare notorietà; anche artisti famosi si cimentarono nel disegno, nella pittura, nella scultura e nel ferro battuto, e riportarono nelle loro opere artistiche i colori tipici dei carretti siciliani, come Guttuso a Bagheria. Artigiani  pieni d’intuito e abilità prendevano tronchi di noce, faggio e frassino, li squadravano e realizzavano, con molta precisione, i vari pezzi del carretto, che prendevano il nome anche di parti del corpo umano come:

 “masciddara”: sponde laterali del carretto, in legno di noce fissate al fondo della cassa tramite dei pioli in legno (barruna) o in ferro (cintuna)

 “ammozzi”: i raggi della ruota, in numero di dodici per ciascuna

curuna”: parte esterna della ruota, in legno di noce, fatta dall’assemblaggio di 6 archi che componevano il cerchio intero

caiccagnieddu”: piccolo cuneo di legno che bloccava i barruna,  alla cascia, piantato da sotto la cascia verso sopra

e ancora:

mensuli” per fare poggiare “u funnu ri cascia” e i due tavulazzi (davanti e darreri) sulle aste e sul fuso

 “funnu ri cascia”: base della cassa del carretto, in legno di abete

 “barruna”: pioli in legno di noce che sostenevano i masciddari, in numero di tre per  lato; a volte quello centrale era in metallo e veniva chiamato:

 “cintuni”: appunto piolo in ferro

 “purteddu d’arreri”: sponda posteriore, rimovibile per i carichi più voluminosi

 ”roti”: ruote del carretto, la cui costruzione richiedeva una maestria particolare

 “chiumazzi e chiumazzeddi”: travetti in legno di noce posti trasversalmente al fondo del  carretto tramite cui la base poggiava sulle aste

tavulazzu”:  piano in legno, una  davanti e uno dietro la base del carretto, che ne aumentavano la base

 “asti”: due lunghi  assi in legno di noce, con cui il carretto veniva legato saldamente al cavallo tramite delle cinghie in cuoio e gli

occhiali”: anelli in ferro avvitati alle aste chiamati;

 “chiavi d’avanti e chiavi d’arreri”: due strutture in legno che bloccavano le due aste anteriormente e posteriormente mantenendole perfettamente parallele

 “fusu”: asse  in metallo che collega le due ruote del carretto, molto robusto

cascia di fusu” : struttura in legno che copriva e abbelliva il fuso, assieme al

rabiscu”: arabesco, merletto in ferro battuto di origine araba che abbelliva la cascia del fuso e i barruna, dove serviva anche per ancoraggio per le corde

 “miolu”: parte centrale della ruota, in legno di noce

 “usciula o vusciula”: boccola in metallo posta al centro del miolo, che alloggiava  l’asse del carretto, fatta in una lega particolare: “lega ri campana”,ecc..

 

I tipi di legnami utilizzati  sono diversi a seconda del pezzo da realizzare: il noce viene impiegato per le parti destinate a sopportare un peso maggiore quali il mozzo e la corona delle ruote, le sponde ed i travetti, il frassino per i pioli, il faggio per le aste e le mensole, e infine l’abete per le parti rimanenti, ma veniva utilizzato anche il gelso. Questi vari pezzi venivano prima realizzati singolarmente con delle  proporzioni ben precise,  tramandate gelosamente,  e poi assemblati per dare vita al carretto; infine, per proteggerli dalle intemperie, venivano tinteggiati. All’inizio del  ‘900, il carretto assume una forma nuova e più decorata e per renderlo più pregiato si aggiungono degli arabeschi in ferro battuto a caldo nelle fucine dei fabbri, si intagliano delle sculture sulle varie parti in legno, nelle ruote, nei barruni, nelle aste ecc., ogni parte può essere arricchita con decorazioni varie, scolpite e/o dipinte così da dare al carretto una caratteristica unica proprio come un’opera d’arte. Si pitturano le varie parti con scene di caccia, imprese dei Paladini, passi della Bibbia, scene di opere teatrali ecc.; il carretto diventa, possiamo dire, uno status simbol per il proprietario che ne va particolarmente fiero: più è facoltoso e più decorato sarà il suo carretto. La  sua realizzazione diviene sempre più un lavoro di gruppo, in quanto occorre la collaborazione di diversi artigiani: il carradore (u carritteri), l’intagliatore (u ‘ntagghiaturi), il fabbro,( u firraru, per le parti in ferro battuto a mano al fuoco della forgia) il tornitore ( u vusciularu, per le fusioni), il pittore (u pitturi). Ogni movimento, ogni procedura, durante la costruzione e l’assemblaggio del carretto, era il frutto di secoli di esperienza, tecniche e segreti tramandati oralmente da padre in figlio all’interno di officine artigianali. I carrettieri più rafCarretto sicilianofinati davano molta importanza, per esempio, alla costruzione delle ruote: nel mozzo della ruota veniva incastrato un cilindro metallico a forma di tronco di cono chiamato “boccola”, o “vusciula”, realizzata mediante la fusione  di una particolare lega con cui si fabbricano le campane (lega di campana), fatta di bronzo per il 78% e di rame per il 22% ; la boccola girando con la ruota creava un attrito continuo con l’asse delle ruote(u fusu), e questo produceva un suono caratteristico, che non doveva essere stridente bensì dolce e armonioso: “u sonu ra campana” che avrebbe accompagnato il carrettiere nelle nenie solitarie da lui cantate durante i lunghi viaggi, per scacciare il sonno perso per via delle “sdate”,(uscite) di buon mattino: 02.30 – 03.00, di ogni santo giorno, accompagnato dalla luce di “u lumi”, appeso penzolante sotto la cascia del carretto, per illuminare la strada nelle notti senza luna; ora in cui si salutava la sposa che puntualmente si alzava per riporre dentro il” tascappano” (contenitore di stoffa), il pane e il companatico preparato la sera prima, insieme al fiasco dell’acqua e quello del vino. Era il suono inconfondibile del proprio carretto; quel suono sarebbe diventato riconoscibile ovunque, anche da lontano, soprattutto dall’amata sposa, la quale, già prima che il suo uomo rincasasse la sera, all’imbrunire, lo riconosceva, e si apprestava a “calari a pasta” nella pignata (pentola), posta sopra il fuoco della “tannura” , una parte della cucina in muratura presente in tutte le case di un tempo dove si faceva il fuoco per cucinare, cuore della vita domestica, regno della casalinga di allora, per fare trovare pronta la cena, (che in realtà aveva le caratteristiche di un pranzo). I carrettieri esigenti, prima di pagare il proprio carretto, lo sottoponevano a due controlli particolari: la “resa in tono”, per verificare la musicalità delle boccole o “vusciuli” posti all’interno dei mozzi delle ruote , e la” resa in frasca”, per accertarsi della buona qualità del legno. Un’altra operazione fondamentale per la buona realizzazione del carretto era il bilanciamento  delle aste, che non dovevano appesantire ulteriormente l'animale che lo trainava: il carro a vuoto doveva stare in perfetto equilibrio sulle due ruote con le aste in orizzontale, senza pendere ne in avanti  ne indietro. Uno dei componenti più conosciuti del carretto artistico siciliano è la “chiavi d’arreri” ( ovvero posteriore): ogni museo etnografico siciliano che si rispetti ne possiede una nutrita collezione. Si tratta una Carretto sicilianotraversa di legno scolpita con bassorilievi, che ha il compito di tenere bloccate posteriormente le due aste (stanghe), ma importante anche perché alla sua realizzazione e decorazione si è cimentata gran parte della tradizione artistica figurativa dell’isola. Per la decorazione pittorica del carretto si utilizzavano esclusivamente i colori ad olio, in grado di attecchire meglio sul legno e allo stesso tempo di resistere di più alle intemperie; la decorazione pittorica era preceduta sempre dalla spalmatura di una base di minio di colore  rosso, nella Sicilia orientale, come la lava dell’Etna, giallo, nella Sicilia occidentale come il colore dei limoni, agrumi tipici della nostra isola.

 

La costruzione di un carretto durava in media tre mesi, durante i quali venivano impiegati circa 200 attrezzi, molti dei quali artigianali: scappelli - lime -mezze lime - raspe - martelli - trapani – chiodi a testa  schiacciata - tornio - serra a nastro - pialla ecc.. Il suo costo dipendeva dal tipo di lavorazione e dalla qualità dei materiali che il commissionante richiedeva: più erano pregiati e più alto sarebbe stato il costo. Una volta montato, il carretto veniva portato dal pittore:“u pitturi”, che lo “vestiva” cioè lo dipingeva, con una composizione di colori e immagini che completavano il miracolo della sua creazione. Nei riquadri dei masciddari detti scacchi, si possono distinguere cinque generi figurativi: devoto (scene della bibbia o della vita dei santi), storico-cavalleresco, leggendario-fiabesco, musicale (opere liriche), realistico (scene di caccia o altro). Le scene che ornano le varie parti del carretto raccontano svariate storie e avventure di ogni tipo, dai paladini alle scene dei Crociati, dalla Cavalleria Rusticana a episodi tratti dalla storia siciliana o paesana con i suoi personaggi, simboli e figure religiose, teste di cavallo, vedute panoramiche, cestini di fiori o frutta, fette di melone, l’immagine tipica della trinacria, ecc., il tutto con colori vivi e sgargianti, in prevalenza rosso, giallo, arancio ,verde, blu, bianco. Vengono smussati gli angoli vivi e arricchiti di figure, scolpite le facce interne ed esterne delle aste, trasformate i terminali dei "barruna" (i pioli delle fiancate) in teste di donne o pupi,  scolpite la chiave e il pizzo al centro della cascia di fusu che è l'asse portante del carretto. II carretto diventa così un’opera d’arhttp://www.cilibertoribera.it/foto_sito/CARRETTO%20dietro%20x%20aggiunte.jpgte integrale, un concentrato di creatività e tecnica minuziosa  nelle mani dei vari artigiani, un incantevole caleidoscopio d’immagini e colori.


I maestri artigiani, in questo modo, pur rimanendo anonimi, esprimono  nella loro opera  l’animo creativo di tutto un popolo, regalandoci la ricchezza spirituale del passato: ed è per questo che il carretto siciliano, con il suo singolare ricamo di legno e ferro, è diventato il simbolo della Sicilia e della sua tradizione e il carrettiere, abito di velluto, coppola in testa  camicia bianca e fascia rossa in vita, seduto sul davanzale del carretto, “tavulazzu di ravanti”, ne andava particolarmente fiero.  

Esso riassume  i colori del sole di Sicilia, dello zolfo,  del cielo e del mare, della lava dell'Etna, i sapori degli agrumi e dei ficodindia,  rappresenta una sintesi delle civiltà mediterranee che furono presenti nell'isola: i colori arabi con gli

arabeschi turco-bizantini, i costumi dei Greci, le frange e le cianciane spagnole, tutti popoli che in Sicilia sono giunti e hanno lasciato un segno con le loro opere e le loro leggende rimaste scolpite nei racconti popolari e che fanno parte della nostra storia e cultura.carrettosiciliano02.jpg

Giuseppe Cocchiara, studioso di folklore siciliano (1904 -1965) ha definito il carretto " l'opera più caratteristica che l'artigiano abbia prodotto in Sicilia", come la gondola lo è per Venezia, il Colosseo per Roma, il Duomo per Milano, non solo perché costituisce l'oggetto tipico della nostra isola,  ma perché alla sua costruzione concorrono armonicamente otto gruppi di artigiani per realizzare un mezzo fondamentale di trasporto, uno degli attrezzi più importanti di quell’epoca in cui l’economia agricola  costituiva il pilastro della vita di tutto un popolo.

  Ciò richiedeva tanto sudore, sì, ma era anche orgoglio, l’orgoglio di una cultura contadina che l’era industriale ci ha tolto e vorrebbe anche farci dimenticare: ma un popolo senza la sua cultura, senza le scarretto tipico sicilianoue tradizioni,

senza la sua lingua, senza le sue memorie, non è più un popolo! Ed è per questo che abbiamo l’obbligo morale di riportare alla memoria e alla conoscenza di chi non ha vissuto quel periodo storico tutto quello che esso ha rappresentato per i nostri nonni e per la Sicilia. Ora troviamo i carretti siciliani solo nei musei, nelle sfilate delle sagre paesane, nei negozi di souvenir, ed è sempre più raro poterne vedere uno originariamente artigianale, perché oggi sono veramente pochi i maestri che continuano questo lavoro, e lo fanno per un pubblico di nicchia. Qualche sponda adorna i salotti o le bancarelle delle feste. Il carretto siciliano, dunque, è semplicemente relegato ad una funzione decorativa, ma rimane pur sempre uno dei più significativi ed espliciti simboli della Sicilia e della Sicilianità.

 

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