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Vincenzo Bellini: Un siciliano tra i grandi compositori dell'Ottocento Di Tommaso Aiello |
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Una vita breve è forse segno
del destino, ma è anche un segnale inequivocabile che la fortuna si è girata
dall’altra parte. Vincenzo Bellini è vissuto appena 34 anni, ma è in buona
compagnia con altri grandi del passato: J.Keats 26 anni, G.Byron 36 anni,
Raffaello 37 anni, Leopardi 39 anni e ci fermiamo qui
per non intristirci troppo. Tutti però sono accomunati da una vita intensa tesa
a lasciare un’impronta indimenticabile della propria opera. Vincenzo Bellini, siciliano,
nacque a Catania nel 1801 da una famiglia di musicisti. Dapprima fece
esperienza di musica sacra, poi un soggiorno di 6 anni a Napoli culminò con il
successo di Bianca e Gernando che gli procurò una commissione dalla Scala.
Il
Pirata fu la sua prima collaborazione con il librettista Felice Romani,
con l’eccezione de’ I
Puritani, e con il quale si
affermò come operista di prima grandezza. Scrisse undici opere in appena otto
anni; ne citiamo alcune che ebbero grandissimi interpreti nelle varie
rappresentazioni: Il
Pirata con Gigli, Callas, Corelli,
Caballè, Tullio Serafin; I Capuleti e i Montecchi
con Carteri, Simionato,
Scotto, Pavarotti, Gruberova, Claudio Abbado, Riccardo Muti;
La Sonnambula con Gigli, Schipa, Callas, Sutherland, Tullio Serafin;
Norma con
Lauri-Volpi, Callas, Del Monaco, Simionato, Sutherland, Pavarotti, Serafin,
Bonynge; Beatrice di Tenda con Sutherland, Kabaivanska, Gavazzeni;
I Puritani (ultima opera) con Lauri-Volpi, Callas, Sutherland, Tullio
Serafin. Le opere furono rappresentate nei maggiori teatri del mondo: Milano, Parigi,
Londra, New York, Venezia, Dresda, Edimburgo, Boston, Montreal, Vienna, Napoli,
Palermo e Catania.
L’Opera
di Bellini rappresenta senza dubbio la incarnazione più pura dell’opera
romantica italiana nella prima metà del XIX secolo. Tutta la sua attività, non
avendo coltivato l’opera buffa, si impernia sul nuovo genere, tragico per
eccellenza, e le undici opere che egli compose durante la sua breve vita sono
altrettanti successi in questo campo. Forse Bellini ha minor sicurezza, scrive
Renè Leibowitz, un mestiere meno consumato di Rossini e Donizetti; forse la sua
invenzione musicale appare più limitata di quella dei suoi due grandi
contemporanei. Ma li supera certo entrambi per la verità profonda del
sentimento, come li eguaglia nell’assoluta naturalezza e nella spontaneità
dell’espressione musicale. Queste caratteristiche gli
hanno non solo attirato l’ammirazione di molti grandi suoi successori (Verdi e
Wagner in particolare), ma gli hanno anche permesso di concepire alcune fra le
più
commoventi situazioni drammatiche di tutta l’arte operistica, soprattutto fra
le scene d’amore. Inoltre l’arte del bel canto, la tecnica vocale in generale e
l’ispirazione propriamente detta della linea del canto, quali si manifestano
nella prima metà del XIX secolo, trovano senza dubbio la loro più splendida
affermazione nell’opera di Bellini. Questo spiega la popolarità quasi costante
di una partitura come Norma(1831), che gode tuttora di uno straordinario favore
presso il pubblico anche
per
merito di una grande cantante, Maria Callas, che ha dato un po’ dovunque delle
splendide rappresentazioni di quest’opera. Comunque possiamo dire con Renè
Leibowitz, che Norma “torna di moda” ogni volta che si trova un’artista in
grado di rendere con la maestria necessaria la parte della protagonista:e
questo dimostra appunto l’altissimo valore raggiunto dalla scrittura vocale. Scrive
il filosofo tedesco Schopenhauer ”Sia qui menzionato, che raramente
l’effetto genuinamente tragico della catastrofe, quello che vien conseguito
mediante la rassegnazione e la sublimaazione spirituale dei personaggi ,è stato
così ben motivato e trasparentemente espresso come nell’opera Norma, quando si
arriva al duetto <<Qual cor tradisti qual cor perdesti>>”.
A tanti anni di distanza dalle parole di Schopenhauer, siamo ancora
tutti convinti dell’alto valore di trascendenza e di catarsi che esprime la Norma di Vincenzo Bellini. Un’opera che non vuole ritrarre una donna feroce e gelosa e che
non ha nulla a che vedere con la figura di Medea; un’opera invece che è la
rappresentazione di un amore tanto impossibile sulla terra quanto
necessario
negli abissi imperscrutabili del cielo. A proposito delle
difficoltà interpretative delle partiture, scrive un
grande direttore d’orchestra, Richard Bonynge, ”che la cantante che
potrebbe interpretare una perfetta Norma, non è mai esistita e forse non
esisterà mai. L’opera pretende quasi troppo da un soprano: il più grande
potenziale espressivo drammatico, una forza emotiva sovrumana, una tecnica di
Belcanto perfetta, una voce di classe e grandezza e diverse altre infinite
qualità”. Ma è proprio nel ruolo di Norma che Maria Callas,mettendo in
luce le sue grandi doti di interprete,si riallaccia a una tradizione interrotta
e provoca un’autentica rivoluzione,come risulta chiaramente dalle parole di
Friedrich Lippmann, uno dei principali studiosi di Bellini:
La sua
interpretazione non solo rimane ineguagliabile ma anche senza alternative
convincenti. Persino le migliori interpreti di Norma, tra le quali ricordiamo
Anita Cerquetti, Leyla Gencer, Elena Souliotis, Joan Sutherland, Montserrat
Caballè, Shirley Verret, Renata Scotto, non riescono a uscire dall’ombra della
Callas con una soluzione interpretativa individuale. Per Maria Callas il personaggio
di Norma è una parte assegnata dal destino: Lei stessa sosteneva che, quando
non sarebbe stata più capace di cantare l’eroina di Bellini, avrebbe
abbondonato per sempre la scena.” Della Callas,che interpretò la Norma ben 92 volte,abbiamo due eccellenti e fondamentali testimonianze
registrate,
entrambe del 1955: una trasmissione Rai del 29 giugno con Mario del Monaco ed
Ebe Stignani, sotto la direzione di Tullio Serafin e la registrazione della
prima alla Scala del 7 dicembre. La voce della Callas è più slanciata rispetto
alle precedenti rapprentazioni, ma molto costante e l’insieme più raffinato. La
conduzione dell’aria è fluida, la cabaletta non ha solo brio virtuoso, ma è
anche drammaticamente più plausibile. Mario del Monaco canta Pollione, ostentando
la propria superiorità come un novus Hercules e la sua partner è
adeguatamente provocatoria. Ebe Stignani nel ruolo di Adalgisa non risulta
essere all’altezza dei collegni, mentre successivamente Giulietta Simionato, scritturata
per le otto repliche in programma alla Scala, offre un’interpretazione
eccellente.
La Callas e la Simionato, nel duetto,sono quasi perfette. E’ ancora Arthur Schopenauer che scrive di
“un
insieme di suprema perfetta tragedia, un autentico modello di tragica struttura
dei motivi, tragico progresso dell’azione e tragico sviluppo, che attraverso
l’effetto edificante del mondo passa ai sentimenti degli eroi che, a loro
volta, vengono trasmessi agli spettatori”. Così succede, ad esempio,in
uno dei momenti più alti dell’opera,quando Norma e Pollione si
avviano verso il rogo. Perfino Wagner giudica questa scena uno dei più grandi
finali della storia dell’opera. Ma torniamo per un attimo all’arco di vita del
Bellini che lo porta alla composizione della Norma e diciamo subito che dopo le
esperienze giovanili arriva alla partitura della
Sonnambula dove
l’artista appare spiritualmente trasfigurato, pronto a rispondere in pieno ai
richiami del teatro e della vita. Ora davvero sono vicine le vette alte del
canto, quelle che ne testimoniano la grandezza delle concezioni e la nobiltà
delle aspirazioni,e che in particolare traducono i sentimenti di un cuore cui
era pure concesso di conoscere i palpiti possenti della virilità. Mentre le
opere precedenti sono un passaggio obbligatorio di chi si evolve e ricerca la
sua strada e quindi rappresentano la produzione caduca che un artista,a detta
dello stesso Bellini, deve tributare all’altare della gloria,la composizione
della Sonnambula e della Norma lo portano verso nuove sperimentazioni che si
concretizzano ne I
Puritani.
Da questa composizione ne uscì uno
dei più schietti
melodrammi che un operista preverdiano abbia mai
concepito e realizzato. Duetti, arie, cavatine, quel tale unico recitativo e
quei finali concertati di Paradiso,scrive Franco Abbiati,i vocalizzi della
impazzita Elvira e i sovracuti dello spasimante Arturo, si trasfigurano
nell’idealizzazione musicale, depongono l’ombra terrena della scuola, del
procedimento, del mestiere per assurgere agli accenti inclassificabili
dell’espressione immediata, pertinente, naturale quanto la voce stessa della
natura. Chi si ostina a vedere in Bellini solo un melodista ispirato, ma povero
e primitivo nelle strutture armoniche, dovrebbe riascoltare il mirabile brano
tratto dal finale del secondo atto di Norma (Deh,non volerli vittime), in cui
l’accentuato cromatismo, le progressioni armoniche in generale e la scrittura
vocale e orchestrale preannunciano, come abbiamo già detto,certe pagine fra le
più prestigiose di Wagner.Purtroppo a soli trentaquattro anni la morte aveva
troncato non solo una brillante carriera, ma quella nuova riforma del teatro
italiano che I Puritani, con geniale lungimiranza,avevano fatto
intravedere. Una vita troppo breve per il più geniale compositore siciliano.
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