IL DUOMO DI SAN GIORGIO
(Testo di GIORGIO SPARACINO)
Duomo della città alta, è il
capolavoro del barocco ibleo ed il prototipo delle chiese settecentesche di
Sicilia. La visione di questo stupendo manufatto è resa più suggestiva
dall’ardito slancio della parte centrale del prospetto, che
s’innalza
ad inglobare la torre campanaria, inserendosi armonicamente nel contesto
paesaggistico, con evidente richiamo alla scenografica impostazione della romana
Trinità dei Monti. Edificato alla fine dell’XI secolo, per volere del Conte
Ruggero il Normanno, sulle rovine di una preesistente Chiesa della Santa Croce,
forse distrutta dagli Arabi invasori, fu raso al suolo dal terremoto del 1613 e
ricostruito a partire dal 1643, per la munificenza del Conte di Modica e Vicerè
di Sicilia, Giovanni Alfonso Enríquez-Cabrera, che affidò il progetto e la
ricostruzione ad un non meglio identificato frate Marcello, architetto
palermitano. Gravemente danneggiato, mentre la fabbrica era ancora al secondo
ordine, dal successivo terremoto del 1693, venne infine ricostruito nelle
attuali forme barocche a partire dagli inizi del 1700, con i contributi dei
fedeli, del Senato Modicano e dello stesso re Filippo V di Spagna. Riaperto al
culto nel 1738, fu poi completato nella prima metà del 1800.
Il
solenne interno a cinque navate ha un impianto basilicale poggiante su 22
colonne con capitelli corinzi e due
poderosi pilastri sul transetto. Custodisce, nel catino absidale, un grande
Polittico
(1573) di Bernardino Niger, pittore della acclamata e prolifica scuola messinese,
che la critica accreditata riconosce modicano, attivo soprattutto nel catanese e
nel messinese nella seconda metà del ’500.
L’opera si compone di nove riquadri distribuiti in tre ordini sovrapposti,
sovrastati da una lunetta che rappresenta l’Altissimo e inseriti in un grande
retablo ligneo intarsiato e dorato, opera dei fratelli Resalibra di
Messina. Nel trittico superiore, sotto la lunetta, nella quale è rappresentato
l’Eterno Padre, si osservano, da sinistra: la Pentecoste, la
Resurrezione e l’Ascensione; in quello mediano: la Presentazione
al Tempio, l’Adorazione dei Magi e Gesù tra i Dottori; in
quello
inferiore: S. Giorgio che uccide il drago, la Sacra Famiglia e
S. Martino che divide il mantello col povero. Gli stalli
del
coro ligneo sono del 1630. Nelle pareti laterali del catino
absidale, due pregevoli bassorilievi in gesso, Gesù e la Samaritana
e Gesù nell’orto degli ulivi,
di Sebastiano Giuliana da Palazzolo, al quale si devono anche gli arditi
angeli che sovrastano gli altari del transetto e tutti gli stucchi
intorno. Sotto l’altare, una cripta, murata all’epoca della costruzione del
pavimento in marmo (1878), custodiva i corpi di molti illustri modicani, fra cui
- si dice - lo stesso Manfredi I Chiaramonte e Tommaso Campailla. Nel transetto,
a destra, il sepolcro
di fra’ Francesco Lorefice (morto nel 1671), cavaliere dell’ordine di S.
Giovanni di Gerusalemme, poi divenuto Sovrano Ordine Militare di Malta; a
sinistra, quello di Tommaso Rosso,
morto nel 1656. Una Assunta
(1610), pregevole tela di Filippo Paladini, insigne pittore toscano che risente
di influssi caravaggeschi,
è
nel secondo altare di destra. In quello successivo, il Martirio di Sant’Ippolito
(1671), tela del napoletano Francesco Antonio Cicalesius da ricollegare alla
grande tradizione della pittura seicentesca partenopea. Nella cappella a
sinistra dell’Altare centrale, che, soprav-vissuta al terremoto, presenta
impianto e decori tardorinascimentali, si può ammirare, sull’altare principale,
una Madonna della Neve (1510), in marmo bianco di Carrara, opera
di Giuliano Mancino e Bartolomeo Berrettaro, allievi fra i più raffinati della
bottega dei Gagini; nella cappella di destra, la statua equestre di S. Giorgio
(1750), costruita a Napoli, su commissione di don Antonino Scifo, devoto
modicano, con materiale di risulta, per gli scarsi mezzi finanziari che erano
alla base della commissione: la pancia del cavallo altro non è, infatti, se non
una piccola botte, mentre il drago sanguinante ai piedi del Santo Cavaliere è
ottenuto da un contorto tronco di carrubo.
Sul pavimento del transetto, in diagonale, si può ammirare la meridiana solare (1895) realizzata dal matematico Armando Perini e sulla quale il raggio del sole, entrando a mezzogiorno esatto da un’apertura (gnomone) situata nell’angolo in alto a destra della volta del transetto, segna l’ora astronomica sul meridiano di Modica, che differisce di un grado dal meridiano romano di Monte Mario. L’altare (sec. XVIII), a lamine d’argento, ha dei riquadri a bassorilievo con episodi della vita di S. Giorgio e di S. Ippolito. La santa cassa (sec. XIV e segg.), opera di argentieri veneziani, con riquadri in cui sono raffigurati alcuni Santi, conserva, in un mezzo busto anch’esso d’argento raffigurante S. Giorgio, una sacra reliquia: un pezzo dell’omero del Santo. Nel tesoro del Duomo, fra i tanti preziosi reperti, un mirabile ostensorio (1700) del messinese Filippo Juvarra, incisore, scultore ed architetto, cui si devono, fra le tantissime opere, la Basilica di Superga e il Palazzo Madama di Torino e la Palazzina reale di Stupinigi.
Nella navata centrale, tra la quarta e la quinta colonna di sinistra, è collocato l’imponente organo (quattro tastiere, 130 registri e 5000 canne), che il bergamasco Casimiro Allieri realizzò nel 1885 su moduli e gusti in voga nella precedente epoca barocca, con vistosissime concessioni al rococò.
Subito a sinistra dell’ingresso principale del duomo, una lapide ricorda il poeta, medico e filosofo Tommaso Campailla (1668-1740), che fu sepolto però - come già detto - nella cripta sotto l’altare principale. Il Duomo conserva poi, sopra il portale d’ingresso della navata laterale destra, una Adorazione dei pastori (proveniente dalla vicina Chiesa di S. Lucia), bella tavola di Ignoto, da accreditare a quella scuola siciliana che risente con ogni probabilità delle opere del ’500 dell’area messinese.
TOUR FOTOGRAFICO:
Si ringrazia Giorgio Sparacino, autore del testo, per averci dato la possibilità di pubblicare la presente scheda.
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Modica San Giogio