Ragusa: Mastro Antonio Gagini - Marmorario
a Ragusa
Lo scalpello gaginesco plasmò sapientemente opere che per il loro pregio ancora oggi suscitano vasto ed ampio consenso anche tra i non addetti ai lavori.
Quelli che si susseguirono a partire dalla seconda metà del XVI secolo furono anni di intenso e proficuo lavoro durante i quali il “magister antoninus de gaggini marmorum scultor”, della “felice” città di Palermo, espresse il suo estro artistico con capolavori di cui la città di Ragusa rimembra ancora la valenza anche attraverso la toponomastica.
Durante il tempo necessario per la messa a punto delle opere scultoree, il Gagini sostò, sicuramente per alcuni anni, oltre che a Modica anche a Ragusa vivendo la realtà sociale dell’epoca.
Nel corso della sua attività professionale di “marmorario” ebbe modo di scolpire molte “cone” per varie chiese siciliane. Ignazio Navarra, nel suo “Antonino Gagini, scultore: la resurrezione di Sciacca ed il San Giorgio di Ragusa” riporta il seguente brano tratto da un documento consultato riguardante proprio il nostro personaggio: “…Item certo debito fuerat resto di debito quali divi la congragationi seu ecclesia oy confraternita di Santo Georgi della cita de Ragusa per lo magistero della cona santa di petra…” (1).
Vetusti documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Ragusa/Sez. di Modica costituiscono una testimonianza fedele riguardo all’attribuzione gaginesca della pregevole “tribuna” in “calcare indigeno” con al centro San Giorgio a cavallo, in atto di “conquidere” il drago (2), attualmente allocata nella sagrestia del duomo di San Giorgio (3) e proveniente dall’antica Chiesa (4) andata distrutta a causa del catastrofico terremoto del 1693.
Dai registri del notaio Cesare de Ferlito si rileva che nell’agosto del 1573 i procuratori della “Matrice Ecclesia” di San Giorgio Martire, volendo far costruire una “cona” per la stessa chiesa e volendo anche provvedere al restauro del campanile della Chiesa di San Giovanni Battista, che minacciava rovina, si rivolsero allo scultore Antonino Gagini. Le relative spese furono affrontate attingendo alle rendite della gabella “pili et carnis” già trasferita dal Conte di Modica all’Università di Ragusa. Al Gagini fu dato anche il compito di ottenere il prescritto placet presso la Magna Regia Curia e Real Patrimonio di Palermo per la riscossione della gabella (5). Da un documento successivo, datato 30 agosto 1576, atto rogato in notaio Vincenzo Solarino, si apprende che “magister antoninus de gaggini” ricevette dal ”magnifico Vincentio Incastilletta”, quest’ultimo nella qualità di tesoriere di San Giorgio, la somma di 11 onze e 24 tarì oltre ad “unam salmam frumenti” quale acconto per il lavoro di costruzione della “cona” (6).
A dimostrazione che anche la vita di un illustre personaggio della levatura del Gagini possa essere lambita da eventi comuni o comunque “sociali”, elementi pregnanti della vita quotidiana, ai sopra richiamati documenti notarili si può aggiungere un’altra fonte archivistica anch’essa di estremo valore storico. Infatti ulteriore conferma della presenza dello scalpello gaginesco a Ragusa, negli anni ’70 del XVI secolo, viene fornita da una fede di nascita rinvenuta presso l’Archivio dell’antica Chiesa parrocchiale di San Tommaso Apostolo in Ragusa-Ibla. Nell’anno domini 1573, precisamente il 20 maggio, viene registrata la presenza di “mastro antonino gagini marmorario” nella qualità di “q.[umpari]” (cioè “padrino”) in occasione del battesimo del primogenito “vinc.io ant” (Vincenzo Antonio), figlio di “nardu et paula di buxema” (7). In assenza di altri particolari offerti dalla predetta attestazione, la presenza del Gagini può essere giustificata ipotizzando un legame di tipo “amichevole” instaurato con la famiglia “buxema”, dovuto certamente a probabili rapporti di locazione intrattenuti con la medesima e consolidatisi nel tempo, considerato che la sua permanenza in territorio ragusano può essere quantificata nell’ordine di almeno tre anni (commissione dei lavori; progettazione e messa in opera). In relazione a ciò, si può facilmente arguire che la complessa opera scultorea – proveniente dal “bellissimo cappellone” di San Giorgio vecchio, notevolmente più maestosa e più articolata rispetto a quella giunta sino a noi con ricchi motivi decorativi e per questo chiamata “cona” – richiedendo complesse concezioni di scultura e di “impaginazione” architettonica, dovesse essere realizzata in apposita bottega ben attrezzata e organizzata in cui l’opera potesse essere seguita e diretta dal “maestro”.
Giuseppe Nativo
-Note bibliografiche:
-1) AA. VV., “Mostra di restauro”-guida all’esposizione –Convento dei cappuccini-Giardini Iblei, Ragusa, 1989, pag.38;
-2) Di Marzo, “I Gagini e la scultura in Sicilia”, Vol. I, pag.808;
-3) G.ppe e Salvina Iacono, “Ibla una Guida”, Edit. Tomaselli, Ragusa, 1990, pagg.30-40;
-4) “Ragusa di Sicilia”, piccola guida del viaggiatore, di anonimo del 1898, a cura del Prof. G. Cosentini, Ed. Libr. Paolino, Ragusa, 1973, pagg.36-38;
-5) G. Morana, “Il restauro della memoria”, in “Mostra di restauro”-guida all’esposizione-Convento dei Cappuccini-Giardini Iblei, Ragusa, 1989, pagg.41-46;
-6) ibidem, pag.45 e pagg.47-48;
-7) Chiesa San Tommaso Apostolo in Ragusa-Ibla, Fondo Archivio parrocchiale, registro “Liber Baptizatorum”, Vol. I , 1549/1635, al nr.580.
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