Scicli: Cenni storici

 

Scicli  si estende su una larga pianura incastonata all’interno di tre valli strette ed incassate dette “cave” (le valli di Modica, di Santa Maria La Nova, e di San Bartolomeo), scavate da corsi d’acqua torrentizi. Le sue origini sono molto antiche e risalgono, con ogni probabilità, al periodo siculo, quindi circa tre mila anni fa. Il nome Scicli si pensa che derivi da  Siclis uno degli appellativi utilizzati per indicare il popolo dei siculi. 

La presenza umana nel territorio di Scicli risale addirittura al periodo eneolitico[1] come dimostrano i ritrovamenti della  Grotta Maggiore situata vicino all’Ospedale Maggiore, datati fra l’età del rame e l’età del bronzo antico (III-II millennio a.C – XVIII-XV sec. A.C) [2].

 La caratteristica conformazione del territorio con la presenza di “cave” e grotte carsiche, ha favorito la nascita di numerosi insediamenti rupestri. Oltre a quello preistorico di Grotta Maggiore, ricordiamo anche l’insediamento tardo bizantino del VII sec. d.C sito in località Castellaccio, e l’insediamento rupestre bizantino (VIII sec. d. C.) e medievale (X-XI sec. d.C.) in località Chiafura, visibile sino ai nostri giorni.

Ritrovamenti archeologici, in particolare i resti di un abitato greco presso la foce dell'lrminio, testimoniano la presenza, o comunque dei contatti di primaria importanza con i greci. Così come Comiso e Ispica, Scicli  vanta la propria discendenza dalla Città greca-siracusana Casmene, fondata nel VII sec a.C . Per motivi topografici l'ipotesi che Scicli possa discendere da Casmene è da considerare comunque non realistica. Oltre ai resti greci sono state trovate tracce che testimoniano la presenza dei cartaginesi, presenti nell’isola fino alla conquista romana avvenuta nel III sec. A.C.  Sotto il dominio romano Scicli divenne città "decumana", ovvero città sottoposta al tributo della "decima" consistente nel pagamento di un decimo del raccolto[3].

Dopo la caduta dell’impero romano Scicli passò ai bizantini è subì, come altre città dell’Isola, le incursioni dei Barbari.

La città antica sorgeva sul colle di San Matteo, dove ancora oggi si trovano i resti di un Castello che rendeva l'antico abitato  difficile da espugnare. Una struttura fortificata doveva comunque esistere già nel periodo bizantino come si evince da fonti arabe:

“ l'anno duecentocinquanta (864-65)… I Musulmani, assediata Scicli, la presero”[4]

L'assedio da parte degli arabi fa presupporre la presenza di un sistema di difesa fortificato a salvaguardia dell'abitato. Verso la metà del XIV secolo esistevano due Castelli: il Castellaccio  “castrum magnum” ed il Castello dei tre Cantoni “castrum parvum” ambedue in contrada Castellaccio (vedi Scheda). Sotto il dominio Arabo, Scicli conobbe un periodo di notevole sviluppo agricolo e commerciale e lo storico arabo Edrisi nella prima metà del XII secolo, esaltò la prosperità economica di Scicli con queste parole:

“rocca di Siklah, posta in alto sopra un monte, è delle più nobili, e la sua pianura delle più ubertose. Dista dal mare tre miglia circa. Il paese prospera moltissimo: popolato, industre, circondato da una campagna abitata, [provveduto] di mercati, a’ quali vien roba da tutti i paesi. [Qui godesi] ogni ben di Dio ed ogni più felice condizione: i giardini producono tutta sorte di frutte; i legni arrivano di Calabria, d’Africa, di Malta e di tanti altri luoghi; i poderi e i seminati sono fertilissimi ed eccellenti sopra tutt’altri; la campagna vasta e ferace: ed ogni cosa va per lo meglio in questo paese. I fiumi [del territorio], abbondanti di acqua, muovono di molti molini.”[5]

Si fa risalire all’anno 1091 la liberazione definitiva di Scicli dal dominio saraceno per opera di Ruggero d’Altavilla e il passaggio al dominio normanno. A questa battaglia, avvenuta nella Piana dei Milici è legata la leggenda della Madonna delle Milizie (vedi scheda). Si narra che la battaglia finale, avvenuta nel marzo 1091, fu vinta dai Cristiani per l'intercessione della Vergine Maria scesa su un bianco cavallo a difesa di Scicli.  Nella località dell’avvenimento venne costruita la chiesetta della Madonna dei Milici.

La battaglia è ricordata ogni anno con la Festa delle Milizie, una delle principali attrazioni folcloristiche di Scicli. I festeggiamenti, che hanno inizio ogni anno, a fine maggio, durano una settimana. Il momento più significativo della festa è la rappresentazione teatrale a ricordo della battaglia del 1091, dove si fronteggiano  i Turchi (i Saraceni) e i  Cristiani (i Normanni). Nella rappresentazione, vengono ricreati gli ambienti suggestivi della lotta e attori popolari con abiti d’epoca e armi, recitano sulle strade ripercorrendo i momenti più importanti della battaglia, che si conclude  con l'intervento miracoloso della Vergine Maria, che, scesa dal Cielo in groppa ad un Bianco Cavallo, libera la città dall'assedio straniero.

I Normanni (1090-1195) introdussero il sistema feudale già diffuso altrove, e Scicli ed altre città vicine, furono considerate cittá demaniali. Nel 1093 Scicli viene ricordata come dipendente dalla diocesi di Siracusa[6]

Ai Normanni successero gli Svevi (Arrigo Imperatore di Svezia si impossessò del trono di Sicilia nel 1195). Nel 1255 durante la lotta dei Papi contro la casa Sveva, Papa Alessandro VI concesse alcuni territori tra cui Scicli, Modica e Palazzolo, a titolo di Feudo, a Ruggiero Fimeta “Rogerio Finente de Leontino” che si era ribellato agli Svevi. Ruggiero non arrivò mai a prendere il possesso della città perché fu sconfitto[7].  

Anche sotto gli Svevi, Scicli conservó il privilegio di cittá demaniale. La sua storia segue quella della Sicilia, per cui con la caduta dei Svevi avvenuta nel 1266,  passò sotto la dominazione Angioina, mal tollerata, a causa della politica di Carlo D’Angiò che, diversamente dai suoi precedessori normanni e svevi, considerava il Regno di Sicilia territorio di conquista  e di vantaggi economici e finanziari. La politica di Carlo D’Angiò fu causa di un’insurrezione in tutta la Sicilia, nota come i Vespri Siciliani[8]. Il 5 aprile 1282 Scicli, insieme a Modica e Ragusa insorge contro le guarnigioni francesi  del luogo cacciandole e ponendosi sotto la protezione di Pietro d'Aragona.

Fu sotto la dominazione aragonese che si formò la contea di Modica, e Scicli ne venne a far parte, seguendone le sorti sotto i Mosca (1283- 1296), i Chiaramonte (1296-1392), i Cabrera (1392-1477) e gli Enriquez-Cabrera (1477-1702). Dal 1535 al 1754 Scicli fu anche capoluogho di Sede d’Armi (circoscrizioni militari che erano dieci in tutta la Sicilia) e nel 1860, con un plebiscito, proclamò la sua annessione al Piemonte.

Scicli, con un passaggio graduale dal colle al piano, assunse la sua forma topografica tra il XIV ed il XVI secolo. La popolazione era aumentata notevolmente ma la peste del 1626 la ridusse drasticamente di quasi due terzi portandola da 11000 a 4000 abitanti circa. Dopo la peste, anche grazie ad agevolazioni economiche a favore di chi decideva di risiedere in città,  si ebbe un nuovo sviluppo demografico, ma il tremendo terremoto del 1693  causò  3000 morti e la distruzione di gran parte della città. Da quelle macerie, Scicli  rinacque in chiave barocca, e oggi è caratterizzata da numerosi edifici settecenteschi.

 


[1] Il periodo eneolitico (3000-2400 a.C.), denominato anche età del rame, segna l’inizio dell’età dei metalli; in questo periodo l’agricoltura progredisce notevolmente grazie ad una serie di innovazioni quali l’uso della ruota, del carro e dell’aratro a trazione animale.

[2] Giovanni Di Stefano: Piccola Guida delle Stazioni Preistoriche degli Iblei pag. 135.

[3] Con la conquista romana  la Sicilia venne divisa in un certo numero di comunità (“Civitates”)  dove ogni “civitas” non corrispondeva neccessariamente ad un singolo centro urbano ma ad un settore amministrativo a cui faceva capo una città vera e propria o semplicemente una entità amministrativa. Tra le “civitates” vi erano dei grossi centri urbani come Siracusa o Agrigento. Le entità dei tributi a cui erano sottoposte le varie comunità dipendeva dallo “status” in cui queste venivano a trovarsi. Cicerone nel suo “Verrine” il libro che descrive il processo contro Verre, il  governatore romano che amministrò la Sicilia dal 73 al 71 a.C., distingue le città in: censorie, federate ed indipendenti, libere ed immuni e decumane. Le città censorie, erano pochissime (Verrine, lib III,13); queste città erano soprattutto quelle che durante le guerre puniche erano state sottomesse dai romani con la forza, e quindi per punizione  il loro territorio era stato confiscato ed era diventato demanio statale (ager publicus). In alcuni casi il territorio fu restituito ai proprietari e la riscossione delle imposte veniva data in appalto a dei censori. Le città federate erano quelle libere di governarsi ed esenti da imposte, grazie ad uno speciale accordo con Roma. Al tempo di Cicerone queste città erano tre: Messina, Taomina e Noto. Le città libere ed immuni erano quelle libere da qualsiasi imposta così come le federate, ed erano, al tempo di Cicerone, cinque: Centuripe, Alesa, Segesta, Alicie e Palermo. La maggior parte delle altre città erano invece “decumane” ossia soggette al tributo della decima.  La decima consisteva nel pagamento, di un decimo del raccolto. L’uso della decima è molto antico. Probabilmente fu introdotto dai Cartaginesi e regolamentato da Ierone II. Un’altra decima straordinaria chiamata “seconda decima” per acquisto forzoso ad un prezzo fissato unilateralmente da Roma, veniva imposta a seconda delle necessità del caso: fu imposta nel 190 a.C. per foraggiare l’esercito romano in Grecia e nel 175 durante le azioni militari di Roma nella Macedonia. Una legge del 73 a.C., anno in cui iniziò il discusso triennio del governo di Verre in Sicilia, trasformò questa imposta occasionale in imposta annuale. Della seconda decima parla Cicerone (Verrine lib. III,101) a proposito del fatto che i coltivatori del territorio di Modica  furono costretti a comperare altrove il grano da corrispondere per la seconda decima, perché non ne avevano più.


[4] Ibn al-Athir, in Biblioteca Arabo-Sicula di Michele Amari 1880-81, I, p. 383.

[5] Edrisi, in Biblioteca Arabo-Sicula di Michele Amari 1880-81, I, p. 74-75. (Nel testo di Amari le parole e le frasi mancanti o illeggibili vengono ricostruite dallo stesso Amari e poste tra parentesi quadri)

[6] Rocco Pirri -  Sicilia Sacra  1733

 [7] Raffaele Solarino: La Contea di Modica 1885-1905 II, p.31. e anche in:  Monumenta Germaniae Historica VII,3, p-370

[8] La ribellione inizio a Palermo all’ora del Vespro del 29 marzo 1282, il lunedì di Pasqua e si diffuse in tutta la Sicilia

 

 

 

 

 

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