PARTE PRIMA
LE FONTI
La vita di S. Pellegrino o Peregrino, primo vescovo di Triocala, l’antica Caltabellotta, mandato da S. Pietro da Roma, ci è stata tramandata in alcuni manoscritti latini e italiani. Quelli latini, molto più brevi, in forma di lezioni compendiate come quelle del Breviario Romano, sono tre e sono riportati dal Gaetani o Caietano e dagli Acta Sanctorum: due, quasi identici, riguardano la “Vita di S. Pellegrino Confessore”, e il terzo è il “Martirium” o “Passio” di Libertino Vescovo di Agrigento e di S. Pellegrino”. Ma la fonte più ampia e completa è il manoscritto italiano del 1794, scoperto e pubblicato nel 1963 da A. Daneu Lattanzi. A questi testi bisogna aggiungere il riferimento a S. Pellegrino contenuto nel codice greco dell'“Encomio” di S. Marciano, protovescovo di Siracusa.
Cominciamo col Gaetani, mal citato e non letto dagli studiosi; lo traduco per la prima volta integralmente dal latino. Inoltre traduco anche, in modo da poter fare il confronto, il testo originale manoscritto delle “Avvertenze”(Animadversiones) del Gaetani, databile a prima del 1620, anno della sua morte, più ampio ed importante del testo a stampa, rimasto ignoto agli studiosi posteriori fino ai nostri giorni! Per distinguere la traduzione dei codici latini e di quello greco ed il testo del ms. del 1794 dall'introduzione e note del Gaetani, degli Acta Sanctorum e degli altri, riporto le fonti in corsivo e con un corpo maggiore.
Cap. 1°
VITA DI S. PEREGRINO CONFESSORE
DAI CODICI MANOSCRITTI DI CALTABELLOTTA
(Traduco dal latino da: O. Caietano, Vite dei Santi Siciliani, vol. I, p. 37)
Dall’Ascensione in cielo di Cristo Nostro Signore, non subito fu estinta la potenza degli spiriti immondi, che prima avevano occupato il mondo, ma ancora molte regioni erano afflitte dall’iniquo dominio di serpenti e dragoni, da quei maligni spiriti posseduti, per terrorizzare il genere umano.
In quei tempi l’Apostolo Pietro aveva la dignità della Cattedra Episcopale [di Roma], e alcuni uomini illuminati da Dio erano famosi in Grecia, nel cui numero c’era Peregrino, uomo di vita venerabile. Essendo la loro fama giunta all’Apostolo, li fece venire da sé e, riconosciuta la loro virtù e santità, li mandò qua e là per le diverse regioni del mondo, per cacciare gli spiriti dannosi agli uomini. Dunque Peregrino, fatta la preghiera a Dio, fu mandato in Sicilia dall’Apostolo Pietro.
Con la guida di Dio pervenne nella città il cui nome [oggi] è Caltabellotta. Qui allora un immane e dannoso Drago viveva in una caverna con sommo terrore degli abitanti; al quale ogni giorno veniva offerto un fanciullo tirato a sorte, come miserando alimento. Perciò la città a poco a poco cadeva nella devastazione.
Un giorno fu condotto un fanciullo, unico figlio di sua madre, che con cuore puro serviva il Signore. A costei che sperava in Dio, prima che il figlio venisse offerto al drago, avvenne questo fatto. Peregrino, entrato in città e facendo la questua per il cibo, le aveva chiesto un pezzo di pane. La pia donna, poiché non aveva alcun pane in casa da dare al richiedente, corse dal-
la sua vicina per averlo in prestito. Ma costei, pur avendone in abbondanza, giurò di non averne. Così Peregrino se ne andò a mani vuote. Ma dopo un po’ di tempo la donna menzognera, recatasi nel posto dove teneva il pane e constatò che i pani che aveva negato di avere erano mutati in marmo. Alla vista di ciò, fu fortemente atterrita e comprese che quello era il castigo del suo spergiuro e disumanità verso il povero; e correndo subito per il vicinato, mostrava il pane di marmo a tutta la gente piena di meraviglia, e narrava apertamente il miracolo che era avvenuto.
Di poi, fatto giorno, era uscito dalla sua tana il Drago e si recava nel luogo dove al solito riceveva il cibo. Parimenti quelli che servivano il Drago, come si usava, sottratto il fanciullo alla madre, glielo portavano. La madre, quando vide che il figlio le era strappato dal seno e le era cavata dagli occhi la sua pupilla, irruppe in quelle miserande grida comuni alle madri in tali casi; e implorava aiuto a Dio con grandi clamori. Mentre i ministri portando il fanciullo, spaventati si avvicinavano al drago, ecco si avvicina, per divina volontà, un vecchio, che aveva un bastone in mano (era Peregrino) e disse: Date a me il fanciullo per condurlo; e ricevutolo, passo passo il vecchio procedeva verso la belva. Questa, appena lo vide venire, con grande strepito esultava, ma vedendo il vecchio che si avvicinava, ebbe paura e fremendo in modo terrificante batteva la terra, né osò strisciare avanti. Il Beato Peregrino, avvicinandosi senza timore, offriva spontaneamente il fanciullo al dragone, il quale tentando di afferrare quel pasto con la bocca spalancata, rimase ingannato; infatti, mentre il vecchio faceva finta di offrirgli il fanciullo, mise dentro le sue fauci spalancate il bastone che portava e lo tenne infisso finché il dragone, correndo indietro, giunse nella spelonca dove aveva la
sua tana. Subito Peregrino chiuse il buco dove il drago precipitò e da quel giorno non si vide più.
Il popolo vedendo queste cose esultava per la gioia, lodava Dio, onorava e venerava Peregrino. Il piccolo fu ridato alla madre che esultante narrava il miracolo fatto da Peregrino il giorno precedente; e mostrava anche lo stesso pane mutato in sasso. Perciò maggiormente tutti quanti con liete grida esclamavano: Benedetto il Signore Dio che ci ha liberato dall’immane e mortifera bestia, per mezzo del suo servo Peregrino. Egli invero, per non sembrare che avesse abbandonato quella gente povera e rozza, scelse come abitazione la stessa caverna dove si nascondeva il dragone, nella quale visse in grande santità fino alla fine della vita.
Invero dopo la morte fu reso illustre da tanti miracoli, che da molte regioni lontane gli ammalati, condotti colà acquistavano la guarigione. Gli abitanti onorano la memoria del Patrono benemerito nel terzo giorno prima delle calende di febbraio (30 gennaio).
OTTAVIO CAIETANO (GAETANI) (Vite dei SS. Siciliani, I, p. 35s.)
VITA DI S. PEREGRINO CONFESSORE
S. Peregrino, Patrono della città di Caltabellotta in Sicilia, nacque in Grecia, ma non ci è noto il nome della sua patria, e quello che più dispiace gli illustri esempi delle virtù e le fatiche sopportate per il Vangelo di Cristo, quasi tutte sostenute a beneficio dei Siciliani mentre visse, sono state dimenticate. Resta soltanto nelle cronache della sua città una breve storia di un insigne miracolo e beneficio, che noi ivi abbiamo trovato, un tempo distribuita in fogli scritti (lectiones) e recitata nell’ufficio solenne. Da questa noi ricaveremo quello che si può dire su questo tanto grande uomo, poco aggiungendo per confermare il racconto.
Avendo dunque Peregrino guadagnato presso i suoi stima di santità per l’esimia integrità dei costumi, Pietro, Principe degli Apostoli, che era allora a Roma, lo fece venire da lui assieme ad altri degnissimi uomini del-
la Grecia. L’Apostolo infatti a cui, come Vicario di Cristo, gravava soprattutto la cura di provvedere a tutto il mondo, perché la messe cristiana non soffrisse per mancanza di operai [cfr. Matt. 9,37: “La messe è molta ma gli operai sono pochi..”] quelli che sapeva ripieni dei divini benefici, li mandava in un luogo o in un altro, secondo la necessità. E dopo aver riconosciuto le vestigia mirabili dei celesti doni nell’animo di Peregrino, lo mandò in Sicilia principalmente col fine di incutere terrore e ordine di fuggire ai demoni che infestavano gli antri e uccidevano gli abitanti. Capiva infatti che i demoni diventavano soprattutto rabbiosi quando non solo era abbattuto il loro dominio ma ormai era impedito e cadeva in rovina; e nulla c’era di meglio per aprire la porta al Vangelo che ordinare l’esilio ai demoni nel nome di Cristo. Infatti la forza divina pienamente risplendeva sia abbattendo gli spiriti superiori alle umane forze, sia perché non solo era riconosciuta ma anche attraeva fortemente al suo amore coloro che aveva liberato da tanti mali.
Quando Peregrino venne in Sicilia, cosa abbia fatto, quale sia stata la successione degli eventi, quale la diffusione della fede per opera sua, come dicevo, lo ignoriamo. [Quello che il Gaetani ignorava della vita e le opere di S. Pellegrino, ce lo racconta nei particolari proprio il manoscritto italiano, che dimostra di non aver conosciuto].
Questo solo trovo, che guidato da Dio giunse nella città che ora ha nome Caltabillotta. Da qui invero irrompe la prima difficoltà che sembra rovinare completamente la restante storia di Peregrino e lasciare solo la conoscenza del suo nome. Infatti questa città col nome saracenico che porta si crede costruita dai Saraceni, che invasero la Sicilia dopo 800 anni almeno dopo Cristo. Dunque la città dove fu mandato Peregrino da S. Pietro, il quale, come abbiamo narrato, beneficò in modo singolare gli abitanti, lo chiamano col nome saracenico di Caltabillotta, ma io credo che sia invece la vecchia città o parte della vecchia città. I Saraceni diedero questo nome nuovo perché abitarono quel piccolo sito o, se preferisci, perché già distrutto lo ricostruirono. Infatti da quel monte dove ora si trova Caltabellotta a breve distanza dalle abitazioni, si vedono i resti di un’antica città, che un tempo era chiamata Triocala2. L’origine del suo nome, come ricorda Diodoro (lib. 36), fu questa: essa aveva soprattutto tre cose bellissime: sorgenti dolcissime e perenni, campi fertilissimi ben coltivati specialmente con vigneti e oliveti e infine il sito ben difeso dalla natura
con rupi. Durante la guerra servile Servio, duce dei ribelli, circondò la città con un fossato molto profondo lungo otto stadi [1 S. = 178 mt. Tot. 1424 mt. ca.], stabilì la sua reggia nella sua rocca e la ornò con eleganti edifici.. E sebbene in quella guerra la città fu distrutta, venne in seguito ricostruita e durò per molto tempo; infatti fra le lettere di Papa S. Gregorio una è mandata a Pietro vescovo di Triocala, un’altra riferisce che allo stesso Pietro fu affidata la visita della Chiesa di Agrigento. Queste lettere furono invero spedite circa l’anno 600 dopo Cristo. Inoltre rimane ancora traccia del nome; infatti in quel campo che è detto dai Siculi Troecoli dal Re Ruggero, per la vittoria sui Saraceni, fu eretto il Priorato chiamato S. Giorgio di Triocalis, con lieve cambiamento della voce.
In questa città dunque di Triocala, di parte della quale, o come vicina o come erede fu Caltabillotta, credo che sia giunto Peregrino. E stimo che in questi “atti” ci sia il nome di Caltabillotta perché furono scritti dopo che i Saraceni vennero cacciati dalla Sicilia, quando il nome di quella città antica era stato dimenticato, o era ignoto alla maggior parte.
Non vedo dunque nulla che allontani Peregrino dai primi tempi della nascita della Chiesa. Alla città infatti in cui si dice che sia venuto Peregrino, non allora ma in seguito fu dato il nome di Caltabillotta; lo scrittore invero per prolessi la chiama Caltabillotta, cosa che capita non raramente presso altri scrittori.
Allora in una cavità di un antro vicino dimorava un grande drago, che senza dubbio era un demonio nascosto sotto quella specie oppure era di solito soggetto al comando di un demonio. I cittadini atterriti per la paura di mali maggiori, gli portavano, a tempo stabilito, un crudele tributo, cioè un fanciullo in dolcissimo cibo, estratto a sorte, come leggiamo nelle storie essere avvenuto in altri luoghi. Quando dunque dall’urna scossa fu estratto il nome del fanciullo destinato a saziare la voracità del dragone, figlio unico di una donna povera e pia, ella, pur non sperando nessun aiuto se non dal cielo, tuttavia sperava e con grande ardore lo chiedeva. Avvenne per divina disposizione che, poiché Peregrino mendicava da lei del cibo sufficiente al suo bisogno, ella subito per meritare l’aiuto di Dio grazie all’elemosina e all’opera di misericordia, dato che non aveva nemmeno un pezzo di pane in casa, corse nelle case vicine per chiederne in cambio; ma lì non ricevette il pane ma mancanza di benevolenza; l’amica infatti spergiurò di non averne, e si dice anche che abbia imprecato dicendo
che se avesse avuto del pane sarebbe diventato pietra. Così Peregrino se ne andò a mani vuote, ma non senza punizione (della seconda donna) e gratitudine (per la prima). Infatti quando la donna menzognera volle tirar fuori il pane che aveva nascosto, trovò sassi, nei quali per virtù divina si erano mutati quei pani conservandone la forma. Stupisce la donna prima per la novità della cosa, poi riconoscendo la lieve ma salutare punizione divina per la sua disumanità, narra il fatto alle vicine e mostrando il pane di pietra, che ancora oggi i Caltabellottesi conservano, ammira la santità di quel poverello che Dio volle confermare con un miracolo tanto grande.
Il giorno successivo, mentre i ministri trepidanti portavano dal dragone il fanciullo strappato dalle braccia della madre, si avvicinò Peregrino e disse: Date qua il fanciullo, perché avete recato offesa (a questa donna)? Io volentieri lo offrirò al dragone né lo temo. Ricevuto dunque il fanciullo passo passo procedeva verso la belva; ma quella appena vide il vecchio che veniva, con grande strepito si torceva, si infuriava e sbatteva le membra sui sassi. Peregrino allora, facendosi più vicino, gli presentava senza timore il fanciullo, ma deluse il drago che rizzatosi apriva la bocca; infatti, mettendo il bastone dentro la terribile cavità della sua bocca, abbatté la belva e non cessò di tirarlo fuori finché lo spinse facendolo retrocedere finché non precipitò in una profondissima voragine7.
Non si può spiegare facilmente con quanto plauso fu accolto Peregrino dai cittadini, con quale lieto animo fu accolta e propagata la religione cristiana, e quante grazie egli e gli altri resero a Dio. Peregrino poi per rendere sicuri in futuro i cittadini, non solo ostruì il buco dell’antro doveva aveva precipitato la belva, ma abitò quella caverna finché visse.
Sebbene gli Atti non aggiungono nulla a questo racconto, non dubiterei tuttavia che Peregrino vi abbia abitato come gli eremiti, dedito solo a sé stesso e a Dio, ma che si sia interessato anche, come poteva, della salvezza degli altri. E certo non mancano coloro che credono che dal Beato Pietro Apostolo gli sia stata data la carica di primo Vescovo; e che da lui ebbe inizio l’episcopato triocolitano, di cui, come abbiamo detto, si fa menzione in S. Gregorio Magno e a lungo dopo quei tempi .
Il santissimo vecchio, dopo la sua morte risplendette di tanti miracoli, che spesso anche da remote città accorrevano i malati bisognosi del divino
aiuto; ed anche oggi accorrono a quel felicissimo antro che ospitò un uomo
tanto grande e carissimo a Dio.
Gli abitanti festeggiano la memoria del loro assai benemerente Patrono il terzo giorno prima delle calende di febbraio [30 gennaio] e (venerano) la reliquia dell’omero o di una parte del santissimo corpo di Peregrino.
Aggiungo infine che sono dipinte come ricordo del singolare beneficio, antichissime icone del Santo col dragone morto.
Credo che non sarà cosa sgradita al lettore se riporto gli Antichi Atti di S. Peregrino Confessore, che qui aggiungo.
LE “ANIMADVERSIONES” DEL GAETANI NELLE VITE DEI SANTI SICILIANI (Animadversiones, p. 26)
Grecia.
Alcuni affermano che S. Peregrino fu nativo di Lucca; ma diede occasione a questa opinione il corpo che si dice esserci a Lucca; ma io sono del parere che il Peregrino di Lucca è diverso dal nostro.
Triocala.
In un’antichissima moneta trovo scritto Tricala. Stefano [bizantino] (nel libro) De Urbibus (Sulle città): Tricalon, poi Tricala; il nome della gente, Triclini. Cicerone (In Verrem, /): Nel Triclino, luogo che i fuggitivi occuparono …ecc.”. Diodoro (lib. 36) frequentemente, Triocala. Così anche Silio (lib. 14). Triocalini sono detti gli abitanti da Plinio (lib. 3, c.8). Dunque la voce “Triacala” in Tolomeo (lib. 3,c.4) è corrotta. Silio ci dice che la città di Triocala fu distrutta e devastata nella guerra servile.
Caltabellotta per Triocala.
Negli atti di S. Nicone è detto che andò a Costantinopoli, mentre andò a Bisanzio, che poi fu chiamata Costantinopoli.
L'antro del drago.
E' distante sia dalle antichissime rovine di Triocala che dalla piccola città di Caltabellotta ora abitata.
Il dragone.
Serpenti di straordinaria grandezza sono attestati da (Cassio) Dione, (nella Vita di) Augusto, (lib. 50); Plinio (lib. 8, c. 11 e 14); Strabone (lib. 16) e da altri. Luca Tudense narra che al tempo dell’Imperatore Teodosio vi fu un serpente che a stento tirarono otto gioghi (di buoi). E’ celebre anche il Drago di Rodi, presso Bosio (nel libro) Sulla religione gerosolimitana; si può leggere nel Baronio (Ann. Eccl.) anno 324, n. 97ss:
Vittime in pasto ai serpenti.
A Roma, come tramanda Metafraste (Vita di S. Silvano, 19 Agosto), c’era un dragone nascosto sotto il Campidoglio al quale nelle singole calende [primo del mese] erano offerte come vittime delle Vergini. Anche ad Antiochia ci fu un drago a cui ogni anno sacrificavano un uomo estratto a sorte secondo l’uso dei Greci; quando però, come tramandano Metafraste e i Menei dei Greci, fu estratta a sorte la figlia di un uomo cristiano, per essere immolata al drago, il padre presente nel giorno stabilito per il sacrificio della vergine, gettò con grande fede il pollice di San Giovanni Battista nelle fauci spalancate della belva e la uccise. Presso i Tespiensi, sotto il monte Elicona, poiché un drago di grande ferocia infieriva contro i cittadini, ogni anno gli veniva offerto un fanciullo estratto a sorte; (così dice) Pausania Sulla Beozia. Dispiace però in questi “Atti” questo drago triocolitano sia troppo vorace; infatti riferiscono che ogni giorno gli veniva offerto un fanciullo, mentre a quello di Antiochia e Tespi ogni anno, e al romano ogni primo del mese era data la vittima da divorare. Come avrebbe potuto quella città soddisfare tanta voracità? Sono del parere che questa notizia sia stata aggiunta dallo scrittore degli Atti oppure che il fanciullo venisse offerto nella ricorrenza di singoli giorni del mese o dell’anno.
La pia donna.
Negli atti è detto che “serviva Dio con cuore puro”, dal che si può dedurre che era già prima convertita alla fede cristiana o dallo stesso Peregrino o da altri.
Il pane di pietra.
Questo pane viene esposto nella chiesa di S. Pellegrino a Caltabellotta ancora oggi, nel giorno della festa del santo. Sozomeno attesta che una donna dell'eresia macedoniana simulava di avere un pane di pietra.
L’uccisione del serpente.
Si tramanda che molti uomini prestanti per santità in molti luoghi uccisero simili immani serpenti per divina virtù, o con le preghiere o col segno della croce o con la maledizione: A Roma S. Silvestro chiuse un dragone nel Campidoglio, come dicono i suoi Atti; in Gallia S. Marcello, teste Fortunato, in Surio, 1 Novembre; S. Arsazio, in Sozomeno, lib. 4,c.15; S. Ilarione in Epidauro, come dice S. Girolamo nella sua Vita; S. Donato in Epiro, da Sozomene (7,25); S. Teodoro, in Metafraste; S. Crescenzio di Urbino, nei suoi Atti; S. Vittore presso Verdun, da Monandro , tomo 7, e Surio 6 novembre; Leone Papa IV da Anastasio Bibliotecario.
La fede della donna.
Che la fede in Cristo era stata già introdotta nella città è indizio non solo la pietà della donna, il cui figlio fu liberato, ma anche le voci di quelli che lodavano Dio e gli rendevano grazie, come attestano gli Atti.
LE “ANIMADVERSIONES” PIÙ AMPIE SULLA VITA DI S. PEREGRINO CONFESSORE NEL MS. ORIGINALE DEL GAETANI (pp.78-83)
La vita di S. Peregrino Confessore.
La Vita di S. Peregrino Confessore è scritta nei manoscritti membranacei conservati nella città di Caltabellotta. Sono del parere che questa storia, scritta in rozza lingua e corrotta in alcuni punti o forse ricevuta dal volgo già corrotta, sia stata redatta molti anni dopo la venuta di S. Peregrino in Sicilia e la sua morte; probabilmente dopo la cacciata dei Saraceni dall'Isola. Perciò ho ripulito la lingua ma senza mutare i fatti, e ho portato qualche chiarimento su quelli che considero errori ed incertezze del racconto.
Erano tormentati dai serpenti.
Molte cose abbiamo detto nelle note alla Vita di S. Pancrazio, che possono dar luce su questo fatto; altre le aggiungeremo più oltre.
I Demoni li affliggevano.
Per quale motivo i demoni possedevano le statue e i serpenti, l'abbiamo detto nelle note dell'Encomio di S. Pancrazio di Gregorio monaco.
In quel tempo Pietro teneva la dignità della Cattedra Episcopale.
Lo scrittore ha reso così intricata questa storia che senza un aiuto divino non è possibile distinguere il vero dal falso. Molte cose sono da lui rese incerte: in quale anno Peregrino giunse in Sicilia; in quale città pervenne, che cosa fece. Alcuni fatti sono sospetti: all'inizio si dice che Peregrino fu mandato in Sicilia dall'Apostolo Pietro; è questa una notizia degna di fede? Invero nelle vite di alcuni santi, il Presbitero Filippo, Calogero, Paolino e altri, diversi scrittori cadono in errore, affermando falsamente che furono mandati in Sicilia dall'Apostolo, come abbiamo dimostrato nelle loro Vite. Ma dubito che la stessa cosa riguardi Peregrino, perché il fatto che sia stato mandato da S. Pietro mi fa pensare che sia giunto dall'Oriente per la fede, dal momento che non solo la città dove pervenne, ma tutta la Sicilia adorava le false divinità. In verità gli uomini apostolici, che erano mandati qua e là dal Beato Pietro, venivano mandati a causa del Vangelo, com'è ben noto riguardo ai singoli Vescovi, Marciano a Siracusa, Pancrazio a Taormina e Berillo a Catania. Ora come si spiega il fatto che in questa storia di Peregrino non c'è nessuna menzione della propagazione del Vangelo e della conversione degli abitanti alla fede di Cristo, per il quale scopo principalmente era stato mandato in Sicilia dal Beato Pietro? Invece di Peregrino, che avrebbe dovuto porre ogni cura nella conversione degli abitanti, si dice che visse tranquillo in una vicina spelonca. Non sembra verosimile che in quei tempi si potesse trascorrere quietamente la vita, fino alla morte, in una spelonca, vicino ad una città, perché agli inizi la nostra religione era combattuta in tutto il mondo e contro gli uomini apostolici venivano spesso suscitate crudeli persecuzioni. Del resto la notizia data dall'autore di questa storia che Peregrino fu mandato dal Beato Pietro nella città di Caltabellotta, invece che confutarla mi provoca il sorriso. La città infatti non è molto antica, perché si sa che fu fondata dai Saraceni, come dimostra il suo nome, 800 anni circa dopo la morte del Beato Pietro Apostolo. Perciò i tempi della storia di Peregrino sono tramandati in modo errato e sono sospetti di errore. Tuttavia non rigetto del tutto questa storia, e ora dirò il motivo per cui la ritengo vera.
[Questi dubbi e obbiezioni, osserviamo noi, in parte il Gaetani li risolve da sé, mentre se avesse letto attentamente il manoscritto italiano, avrebbe superato i rimanenti e considerata certa la missione petrina di Peregrino da Roma e non dalla Grecia, come fa per Marziano, Pancrazio e Berillo].
Uomini giusti onorati in Grecia
Alcuni dicono che Peregrino era abitante di Lucca. Ma forse il motivo di questa opinione errata è il corpo di un S. Peregrino che si dice conservato a Lucca. Questa notizia comunque conferma che la storia ci è giunta dalla Grecia.
Pervenne nella città il cui nome è Caltabellotta.
Le parole del testo manoscritto sono queste: “Peregrino mandato nell'Isola di Sicilia, guidato da Dio, pervenne a Caltabellotta”. Ma ho già detto che questo passo della storia è corrotto; com'è infatti possibile che Peregrino, mandato da Pietro sia giunto a Caltabellotta, che fu fondata 800 anni dopo la morte di S. Pietro? Ma, dirai, la vecchia città cambiò il nome in Caltabellotta sotto la dominazione saracena. E con quale testimonianza lo proverai? Dimmi il nome della vecchia città; mi risponderai che se n'è perduta la memoria. Ma ecco io fornisco una fiaccola che può rischiarare queste tenebre.
A circa mille passi dalla città di Caltabellotta sita su un alto monte, verso mezzogiorno, ci sono le vestigia di un'antica città, chiamata per fama e dai nostri scrittori Triocala, città mediterranea. L'origine del nome, come ricorda Diodoro, si spiega perché aveva tre cose belle: le sorgenti dolcissime, i campi mirabilmente adatti per le viti e gli oliveti e il sito difeso dalla natura in un inespugnabile rupe. Nella guerra servile, Salvio duce dei ribelli lo fortificò con una cerchia di mura di otto stadi e un fossato molto profondo, e stabilì in quel castello la sua regia. Inoltre la ornò con magnifiche costruzioni, un palazzo regale e un grandissimo foro. Ma quella stessa città, ingrandita in quei tempi, fu “subito devastata nella Guerra Servile” come attesta Silio [Italico, Bellum Civile, l. 14]. In seguito invero fu ricostruita, come ricorda Cicerone nelle Verrine: “Nel Triocalino, il qual luogo avevano prima occupato i fuggitivi ecc.”. Stefano ha “Tricalon” e anche Tricala ed il nome degli abitanti Tricalini. Forse indotto da Stefano, Lorenzo Rodomanno nelle Ecloghe di Diodoro, traduce “Tricala”. Più correttamente Enrico Stefano ha “Triocala”. Invero Diodoro ha costantemente “Triocala”, in tutti i luoghi. Triocala e Triocalini gli abitanti anche in Silio e in Plinio; è perciò da correggere in Tolomeo “Trocala” in Triocala. Ma in una antica moneta, che riportiamo, “Triakala” [E' disegnata nel ms. la medaglia con una protoma equina e la scritta “Trokala”; nel verso un uomo seduto sul dorso di un cane.]. Oggi il nome del campo è “Troccoli”, corrotto dall'antica città, che riteniamo distrutta dai Saraceni; e poi dalle sue rovine fu fondata Caltabellotta.
Perciò si può pensare che Peregrino, mandato in Sicilia da S. Pietro, sia giunto nella città di Triocala e per errore del volgo sia stato attribuito alla successiva Caltabellotta quello che riguardava la distrutta Triocala. La cosa si può facilmente spiegare anche per il fatto che la spelonca dove si dice che si nascondeva il drago è vicina sia all'antica Triocala sia a Caltabellotta, fondata al tempo dei Saraceni sulle rovine di Triocala. Si aggiunga il fatto che lo scrittore scrive questa storia molto tempo dopo i fatti narrati, dopo la cacciata dei Saraceni dall'Isola; al suo tempo la memoria della città di Triocala era scomparsa e c'era la città di Caltabellotta. Perciò il volgo credeva che Peregrino fosse giunto a Caltabellotta e lo scrittore segue questa tradizione popolare. E invero Triocala, città della Sicilia di antica origine, nobile anche per la religione cristiana, ricevette forse fra le prime la nascente fede evangelica di Gesù Cristo? Certo lo scrittore della storia ( voglia il cielo che egli sia veritiero!), fa capire che prima della venuta di Peregrino c'erano dei cristiani nella città. [Questa opinione del Gaetani è errata, perché dal ms. italiano risulta che erano pagani e furono convertiti tutti, compresi i loro sacerdoti e le autorità, dalla predicazione di S. Peregrino.]
Certo Triocala da tempi antichi fu decorata dalla sede episcopale; infatti S. Gregorio I Papa ricorda un Pietro Vescovo Triocolitano e a lui il Santissimo Pontefice affidò l'incarico della Visita della Chiesa Agrigentina; ma quella sede fiorente da più di 500 anni, fu estinta dalla distruzione saracenica. Ti avverto che nelle lettere di S. Gregorio il Vescovo Pietro è detto erroneamente Tricalitano invece di Triocolitano.
D'altronde se qualcuno non approva quanto io affermo, può fornire un'altra ragione per difendere la verità del racconto. Invero S. Peregrino potrebbe essere stato mandato da qualche altro Romano Pontefice in Sicilia, per portare aiuto alla città di Triocala, afflitta dai demoni col nefando pasto del dragone. Ma da quale Pontefice? In quale tempo? Non oserei immaginarlo. Ma per lo stesso motivo S. Filippo, che la tradizione popolare dice che fu mandato dall'Apostolo Pietro ad Agira in Sicilia, fu mandato certamente da un Romano Pontefice, come tramanda S. Eusebio, autore della sua Vita, ed è scritto nel Martirollogio Romano; ma da quale Papa fu mandato non sappiamo con certezza. Perciò S. Peregrino e S. Filippo vennero in Sicilia per un motivo simile: entrambi mandati da un Pontefice Romano; l'uno per aiutare gli Agirensi, l'altro i Triocolitani, anche se i tempi ci rimangono oscuri e sconosciuto il Papa che li mandò.
Argomenti migliori di quelli che noi abbiamo addotto per difendere la veridicità degli Atti, porteranno studiosi più autorevoli. [Questi dubbi ed incertezze, ripetiamo, risultano chiariti dal ms. italiano, il quale non contiene contraddizioni e inverosimiglianze e conferma la missione da Roma di Peregrino in Sicilia e probabilmente proprio a Triocala, afflitta come Siracusa dal demoniaco serpente; del qual fatto, diciamo noi, S. Pietro poteva essere stato informato proprio dal “maestro” di S. Peregrino, San Marciano. Oppure da un angelo, come dice il manoscritto italiano; e agli scettici bastano (o dovrebbero bastare) le apparizioni dell'angelo allo stesso S. Pietro negli Atti degli Apostoli (5,19. 12,7s.) ].
Un immane dragone.
Che siano esistiti serpenti di straordinaria grandezza è attestato da Dione nella Vita di Augusto, da Plinio, da Strabone e da altri. Luca Tudense (nel Cronicon) ricorda che al tempo dell'Imperatore Teodosio c'era un serpente che a stento otto gioghi di buoi potevano trascinare.
Ogni giorno gli veniva dato in pasto un fanciullo estratto a sorte.
E' a stento credibile questo drago devastatore e questo atroce rito di offrirgli ogni giorno un fanciullo tirato a sorte, perché vivesse sazio e non devastasse il territorio; era così assuefatto che si recava al pasto e al luogo stabilito e poi si ritirava nel suo rifugio. Ma facilmente si crede tutto se si capisce che questo dragone era posseduto da un demonio.
In molti luoghi sono esistiti simili dragoni ai quali venivano offerti sacrifici umani. Infatti a Roma, come tramanda Metafraste, c'era un drago nascosto nel Campidoglio al quale ogni primo di mese venivano offerte come vittime delle vergini. Anche in Antiochia ci fu un drago a cui ogni anno offrivano un uomo scelto a sorte secondo l'uso greco; ma quando, come dicono il Metafraste ed i Menei dei Greci, fu estratta a sorte la figlia di un cristiano per essere immolata al dragone, il padre, presente nel giorno stabilito del sacrificio, gettò nelle spalancate fauci della bestia con grande fede il pollice di S. Giovanni Battista e lo uccise. Presso i Tespiensi, sotto il monte Elicona, infieriva sugli abitanti un drago di straordinaria ferocia, al quale ogni anno veniva offerto un fanciullo estratto a sorte; lo attesta Pausania nella Beozia .
Questo drago di Triocala era troppo vorace, perché a quello di Antiochia e di Tespi veniva offerta la vittima ogni anno e a quello di Roma ogni primo del mese, mentre a questo ogni giorno; ma allora per quanti anni sarebbe stata sufficiente la gente di Triocala per questo dragone? Ma non c'è da meravigliarsi se si considera che ciò avvenne quando quel Dragone del grande mare con gran superbia illudeva il genere umano [c'è qui un chiaro riferimento al dragone dell'Apocalisse (12,3ss.), simbolo (questo sì!) del Demonio]. La grazia di Gesù Cristo lo ha scacciato da questo mondo e chiuso nelle caverne infernali. Da questa superstizione ed empio rito si deduce che Peregrino venne in Sicilia nei tempi in cui l'idolatria spadroneggiava e o la superstizione o il timore dominava gli abitanti, per evitare una più grave rovina. [Questa spiegazione del Gaetani non è certo appropriata; si tratta invece di una facile esagerazione del manoscritto o anche della tradizione popolare: ogni giorno al posto di ogni anno o al più di ogni mese!]
La donna serviva il Signore con cuore puro.
Dunque prima della venuta di Peregrino molti abitanti avevano aderito alla fede di Cristo, come dimostra la pietà di questa donna, la quale serve Dio con cuore puro, in Lui spera e a Lui chiede aiuto. Invero nel resto della storia, dopo l'uccisione e la fine del dragone ad opera di Peregrino, non si fa alcun cenno alla successiva conversione della città; si sentono solo le voci di coloro che lodano Dio, che certamente conoscevano già da molto tempo. [Dal manoscritto italiano risulta invece che Peregrino predica il Vangelo e converte gli abitanti pagani. La pietà della donna e le lodi della gente ancora pagana verso un Dio “ignoto”, e non verso Cristo, si potrebbe spiegare come la fede del centurione romano verso Cristo (cfr. Atti, 17, 23. Matteo, 8,5ss.). Ma nello stesso ms. è detto che la donna invoca prima inutilmente l'aiuto dei suoi dei e, dopo il prodigio, lei e gli altri credono e lodano Cristo vero Dio che Pellegrino annuncia e fa loro conoscere].
Il pane mutato in marmo.
Ne è prova lo stesso pane di pietra che ancora oggi nella città di Caltabellotta, nella chiesa di S. Peregrino nel suo giorno festivo viene mostrato al popolo. Sozomeno (Storia Eccl.,6,3), dice che una donna dell'eresia di Macedonio fingeva di avere un pane cambiato in pietra.
Subito Peregrino sprofondò il serpente in una cavità.
Si tramanda che molti uomini illustri per santità, in varie regioni abbiano ucciso immani serpenti, per virtù divina, o con le preghiere o col segno della croce o con la maledizione. A Roma S. Silvestro nel Campidoglio chiuse un dragone, come è scritto nei suoi Atti; S. Marcello nella Gallia, da Fortunato nel Surio; S. Arsacio a Nicomedia da Sozomeno; S. Teodoro nel M etafraste; S. Crescenzio di Urbino nei suoi Atti; S. Vittore presso Verdun da Mosandro; Papa Leone IV a Roma, in Anastasio Bibliotecario.
Peregrino prese dimora nella stessa caverna del drago.
Si mostra una spelonca non lontano dalla città di Caltabellotta, molto venerata. E' fama che il corpo di S. Peregrino si trova a Lucca e in questo si deve dar credito alla fama; ma io sono del parere che il Peregrino di Lucca sia diverso dal nostro. A Caltabellotta resta un omero non integro di S. Peregrino, che è il Patrono della città.
E' vietata qualsiasi riproduzione senza l'autorizzazione esplicita dell'autore Melchiorre Trigilia.
(Trigilia Prof. Melchiorre, Via Raffaello 80, Ispica (Rg.) 97014. email: mtrigilia@gmail.com)
E-mail: info@centrostudihelios.it
In collaborazione con l'Associazione Culturale "Heritage Sicilia"