Cap. 4°

PASSIONE DI LIBERTINO E PEREGRINO

IL CODICE ORIGINALE

Il codice di questo “Martirium” o “Passio”, custodito nella Biblioteca Aniciana del Monastero di S. Maria “in agro Agutio”, come dice il Gaetani, dell’Abbazia di Farfa (provincia di Rieti) non è stato più rinvenuto dallo Scorza Barcellona, che ha riprodotto la copia manoscritta (da ritenere fedele all’originale perduto) mandata da Costantino Gaetani al fratello Ottavio; è contenuta nel primo volume della prima copia manoscritta delle Vitae SS. Siculorum, conservata nella Biblioteca Centrale della Regione Siciliana sotto la segnatura XI G.1-2. Ometto perciò il testo del “martirium” delle Vitae Sanctorum del Gaetani, segnato nella BHL (Biblioteca agiografica latina) (II, p. 729,n. 4909) e riprodotto negli Acta Sanctorum: Novembris (3).

Ma né il Van Hoof, né lo Scorza Barcellona hanno conosciuto la Dissertazione di Cesare Gaetani della Torre (Roma 1748), che per primo riprodusse il testo di questa copia dell'originale, allora “custodita”, come egli dice, “nella biblioteca del Collegio imperiale dei Gesuiti di Palermo, fra i mss. originali del P. Ottavio, con alcune correzioni al margine, fatte dal medesimo Gaetani”. La mia traduzione si basa sul testo pubblicato dallo Scorza, che riporta a piè pagina le correzioni degli errori (solecismi) di lingua, fatte al margine dal Gaetani.

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[f. 152r] III None di Novembre (3) Natale di S. Peregrino. Da un manoscritto in pergamena, antico codice del Museo (bilioteca) di Don Costantino Caetani, Siculo Siracusano, monaco benedettino di Cassino

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Per volere della misericordia di Dio Onnipotente e invocando il suo patrocinio, manifestiamo i miracoli che il Signore operò per mezzo del suo santo martire. Un certo uomo di nome Liberato abitante nel foro, nel luogo che è detto Lilibeo, da molto tempo era afflitto da malattia. Perciò avvenne che per la miserabile infermità che soffriva, si recò a Roma nella chiesa del Beato Pietro Apostolo, affinché grazie ai suoi benefici il Signore gli concedesse la salute di prima.

Mentre perseverava davanti all’altare del beatissimo Apostolo Pietro, alla fine dell’anno, giorno e notte chiedeva di poter sfuggire alla persecuzione del nemico [il diavolo]. In una notte profonda, mentre lo pregava e giaceva con grandi sospiri presso la sua tomba, faceva questa preghiera: “O beatissimo Pietro, Principe degli Apostoli, liberami da questo legame; esaudisci la mia preghiera e fammi ritornare a casa mia incolume, perché sia manifestato il tuo nome nei secoli dei secoli. Amen”. Mentre rivolgeva questa preghiera nello stesso luogo sentì una voce che gli diceva: “ Sei liberato dal tormento del nemico, ma vai in Sicilia e recati al monte che è detto Crotaleo, dov’è posto il corpo del beato Peregrino, e colà chiedi e fai digiuno per novanta giorni; ed egli pregherà per te Dio e per tuo figlio Abondanzio che è paralitico, affinché ormai nessun permesso o potere abbia l’insidiatore del genere umano; ed egli ti ridarà la salute.”

Avendo sentito queste cose dall’Apostolo, obbedendo al suo ordine, ritornò in Sicilia a casa sua nel luogo del mercato che è detto Lilibeo, trovò suo figlio paralitico, che aveva sedici anni, e lo fece portare sul monte Crotaleo, e fatto metà [il “divisio” del testo, va certo corretto in “dimidio”] cammino, giunse nel monastero che è detto “Triginta” dove vivevano(?) con regolare disciplina sotto l’abate chiamato Agatone, uomo egregio, istruito nelle sacre lettere, che comprava il cibo con l’opera delle sue mani e lo prendeva nell’ora vespertina con rendimento di grazie. In chiesa invero non c’era nessuno più diligente fra gli stessi frati nel dar lode all’Onnipotente Dio, come questo santissimo uomo. Nel medesimo monastero abitò per sette anni, e mai nessuno degli stessi frati si ritirò da lui triste; restava sempre ilare e mite. Vedendo dunque i frati tanta conversazione e tanta pazienza che il Signore gli aveva donato, lo divulgarono per tutta la città di Siculana.

In quei tempi il Vescovo Marziano era a capo della città di Siracusa. Avendo sentito tanta grande e nobile fama di Peregrino servo dell’Onnipotente Dio, subito si recò al monastero chiamato Triginta, in cui dimorava il servo di Dio. Avendo dimorato per alquanto tempo con lui, nelle ore adatte e nei singoli momenti davanti ai loro occhi fluiva la sacra dottrina, perché anelavano di andare nella patria celeste. C’era poi nello stesso monastero un monaco per l’abito ma perverso nelle opere, di nome Pelagio, agitato da maligni stimoli, il quale cominciò a tendere insidie al vescovo Marciano. Come già abbiamo detto, poiché Valerio e Gallio avevano dato disposizioni che dovunque fossero stati trovati Cristiani, dovevano piegare il collo agli idoli, avvenne che i loro ordini pervenissero in Sicilia.

Nella stessa isola c’era un uomo pestifero, di nome Silvano, che era stato incaricato per ordine del console Quinziano di tormentare i cristiani. Essendo giunto il persecutore Silvano nella città dei Driganteni [Agrigento] dal vescovo Libertino, lo costrinse [tentò di costringerlo] con forza ad abbandonare Cristo e servire agli idoli. Si trovava il detto pontefice nella chiesa del beato Stefano Protomartire, sita nella predetta città, mentre rendeva lode all’altare all’onnipotente Dio e finita la preghiera esalò lo spirito. Fu sepolto nel foro della stessa città dei Driganteni (Agrigentini), dove Dio mostra molti benefici agli ammalati che si recano al suo sepolcro fino al giorno d’oggi.

Dopo ciò il predetto Silvano pervenne nel monastero dove abitava il servo di Dio Peregrino per cercare anche colà i Cristiani. Il monaco Pelagio, come abbiamo detto sopra, si recò da lui e gli disse: “Un Africano venerato dai frati rimane in questo monastero, ha voltato le spalle a molti dei nostri che con animo ardente vogliono aderire alla vostra dottrina, e insegna anche ai vostri dicendo così: “O miseri siete destinati all’eterno tormento”.

 

Anche Marziano presule della città di Siracusa per questa fede, è stato condannato a bruciare nel fuoco in questa città. (Marcianus praesul Siracusanae civitatis propter hanc fidem traditus est ad combustionem ignis in hac urbe).

Perciò, se vi piace, sia preso anche questo Peregrino, e colpitelo con una sentenza simile”. Avendo sentito queste parole il predetto Silvano da Pelagio, infelicissimo monaco, fece venire alla sua presenza il martire, e quando gli fu presentato gli disse Silvano: “Riconosco che tu sei forestiero, come indica il tuo nome, per quale motivo hanno voltato le spalle i cittadini che desiderano obbedire agli ordini degli imperatori e offrire libagioni agli dei?” E il santo: “ Le vostre orecchie non vogliono ascoltare nessuna verità che riguarda la vita eterna. Confesso che io e i miei concittadini non siamo estranei alla fede del Signore Nostro Gesù Cristo e in verità credo che né tu né alcun uomo potrà persuadermi (a rinnegare) la mia fede”. E Silvano: “Pelagio, tuo concittadino, mi ha raccontato molte cose su di te, che può testimoniare anche davanti a te.” E il santo: “ Venga e testimoni quello che vuole”.

Mentre Silvano sentiva queste cose da S. Peregrino, ordinò ai suoi ministri di condurre Pelagio, e quando fu portato in mezzo, disse Silvano: “ Ecco questi è il tuo testimone”. Allora Pelagio Questo Peregrino venne dall’Africa dal nostro monastero e non sappiamo in qual modo ha sedotto Agatone nostro padre e anche noi, a rigettare le parole degli imperatori e a non credere affatto alla vostra fede. Se dunque insiste in vostra presenza, se a voi piace, riceva anche costui una sentenza uguale a quella di coloro che hanno disprezzato gli ordini degli Imperatori.”.San Peregrino rispose: “ Ho dissuaso e dissuado chi vuole offrire libagioni agli dei fatti ad opera degli uomini”. Silvano rispose: “ Come vedo, la testimonianza di Pelagio è vera, che ti opponi agli ordini degli imperatori.” E il santo: “ Noi testimoniamo per quanto riguarda la fede del Signor nostro Gesù Cristo, ma rifiutiamo i vostri dei che non giovano né a noi né agli altri; e tutti quelli che offrono loro sacrifici sono nell’errore e avranno il fuoco perpetuo assieme al diavolo e ai suoi ministri. Io invece sacrifico all’eterno Re che è onnipotente e verace e rimane nella Trinità e persiste nell’Unità, al quale sono sottomessi tutti gli elementi del mondo e tutte le virtù dei cieli”. Silvano rispose: “Ignori quante e quali pene ha sofferto il presule Marciano?.” E il santo: “ Ho saputo che il beatissimo Marciano ha sofferto per la fede del Signore Nostro Gesù Cristo ed è passato alla vita eterna ed è stato fatto partecipe dell’eterno riposo con gli altri santi. Perciò anche io indegno desidero per la fede di Cristo subire tale morte e diventare partecipe con Lui dell’eterna requie.”. E Silvano: ”Sappiamo che voi Cristiani sopportate diversi supplizi perché i vostri corpi siano venerati da tutti gli uomini. Perciò tu vorresti essere da me colpito con diverse pene affinché il tuo corpo sia venerato dai Cristiani. Ma tuttavia ascolta la tua scellerata sentenza. Ordiniamo che tu che sei forestiero per il nome e per le opere, che hai disprezzato le parole degli imperatori e ha recato offesa al nostro dio Saturno e alla dea Minerva, e credi in Cristo che fu crocifisso dai Giudei, sia portato sulla cima del monte Crotaleo, e lì venga condannato all’incendio del fuoco, come è stato bruciato il corpo di Marziano, in modo che per questo esempio non presumano gli altri Cristiani di credere nella vostra stoltezza, ma temano e diano onore agli dei che gli stessi imperatori venerano”.

Ascoltate queste cose, il beato martire, rese grazie all’onnipotente Dio dicendo: “ Ti benedico Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ti sei degnato di chiamare me tuo servo al martirio che per il tuo nome e col tuo aiuto sopporto, e ti chiedo di farmi stare in presenza della tua gloriosissima maestà; e quando l’anima mia uscirà da questo corpo, l’antico nemico non presenti qualche ostacolo ai miei occhi, né essi possano vedere lo stesso tetro principe né il terrificante suo complice; ma i luminosissimi e serenissimi tuoi servi [angeli e santi] accolgano la mia anima, perché tu sei Dio benedetto nei secoli dei secoli. Amen”.

Dicendo queste preghiere gli fu dato fuoco dai persecutori nel predetto monte, mentre raccomandava a Dio il suo spirito. Ma il corpo del beatissimo martire non subì alcuna ustione dal fuoco, ma incolume e senza alcun danno, fu preso da una donna religiosa di nome Donnina e posto con ogni onore nello stesso luogo e sopra il suo sepolcro edificò una chiesa.

Perciò fino ad oggi molti afflitti da varie malattie che accorrono colà grazie alle preghiere al Signore del martire Peregrino ricevono la salute e danno gloria all’onnipotente Dio, a cui spetta l’onore e la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Si celebra pertanto la festività di questo santo martire il terzo giorno del mese di Novembre. Lode a Dio e alla Beata Vergine Maria Madre di Dio (L.D.B.q.V.M.D.M.)

 

NOSTRE NOTE

IL TESTO

La data della composizione. E’ valida l’ipotesi del Barcellona (238), secondo il quale “questa Passione si pone verosimilmente entro il VII sec.”, anche se i limiti cronologici, ante e post, non sono sicuri. Secondo noi, è da considerare non solo probabile ma certo che questa Passio costituisce “un rifacimento tardivo di un originale latino più antico.”

Infondata è invece l’opinione del Mercurelli (26-27), secondo cui non sarebbe anteriore alla conquista normanna. “Ancora meno probabile” quella di E. De Miro (131-38), secondo cui sarebbe “una memoria dedicata ai due santi, Peregrino e Libertino, ed eretta sul luogo del loro martirio, la

basilichetta paleocristiana contenente due sepolture simmetriche, rinvenuta sul versante occidentale del fiume Akragas; “ciò non corrisponde”, osserva giustamente il Barcellona, “ai dati della Passione, in cui i luoghi del martirio e della sepoltura dei due santi sono distinti”.

L’autore della narrazione originale. Secondo l’opinione comune (AA.SS. Nov.; Lancia di Brolo, Amore e altri) l’anonimo si baserebbe sulla testimonianza scritta proprio da S. Pellegrino; anche se, secondo il Di Brolo (43-48; 49-101), non si può ammettere che Pellegrino abbia scritto di una persecuzione di cui egli stesso è stato vittima. Ma il Barcellona fa notare che all’inizio del racconto dell’Encomio di Marciano è detto “secondo la confessione scritta dei confessori e gloriosi martiri” (AA.SS. Iunii II, p. 790 B; Amore, p.80); dopo (AA.SS. 788; Amore, 75) si dice: “secondo la testimonianza scritta (marturikòn syngramma) del valoroso martire Peregrino, di cui s’è detto all’inizio”. Si può perciò intendere nell’espressione del proemio, uno“scritto martiriale”, e nel secondo passo invece di “Peregrini” genitivo soggettivo (= scritta da Peregrino), un genitivo oggettivo (la testimonianza scritta da altri riguardante Peregrino). L’ipotesi del Barcellona si basa sul fatto che all’inizio dell’Encomio non si parla di “un confessore o glorioso martire” (identificabile con Peregrino), ma al plurale di “confessori…”; quindi non “uno scritto martiriale”, ma più scritti.

Il rapporto con l’Encomio di S. Marciano. Osserva bene il Barcellona (239), che, discordando i due testi riguardo alla morte di Libertino, è da escludere la dipendenza della Passio dall’Encomio, come riteneva il Lanzoni (Le diocesi…, 640), o viceversa (Amore, 43, n.57); e quindi anche un rapporto tra i due testi. A meno che si ipotizzi che “entrambi interpretino autonomamente, supplendo con la fantasia o rifacendosi a tradizioni divergenti, una fonte comune che, a proposito di Pellegrino e Libertino, metteva in relazione il martirio del primo con quello di uno dei vescovi, eventualmente senza neanche specificare quale dei due”. Secondo noi è proprio questa l'ipotesi più verosimile: S. Pellegrino ha scritto veramente questi Atti e la contraddizione che Peregrino narrerebbe il suo martirio (Di Brolo) si può togliere, per il fatto che, secondo il ms. italiano edito dalla Daneu L., Peregrino fu martire per i tormenti subiti, ma scampò al fuoco e morì diversi anni dopo.

 

 

LA FORMA.

Il Gaetani apportò qualche lieve modifica al testo latino per pubblicarlo in una forma più decorosa, dato che l’autore si dimostra assai poco esperto di latino; e tale ci è pervenuto nella edizione postuma del 1657.

Queste le modifiche più significative, ma non rilevanti, apportate dal Gaetani. Al posto di “un certo Liberato lilibetano” del Gaetani, nella Passio c’è “un uomo di nome Liberato, abitante nel foro, nel luogo che è detto Lilibeo”. Al posto di “asceterio che ebbe nome Triginta” del G., c’è “nel Monastero che è detto Triginta”. Il perfido monaco Pelagio, nella Passio non è detto “africano”, diversamente dal testo del G. Il racconto della persecuzione ha nella Passio due volte l’intercalare “come già abbiamo detto”; il che fa pensare a un racconto più lungo secondo il Barcellona. Quinziano nella P. è detto “console” ed Agrigento è chiamata “civitas Drigantenorum”, che è un evidente errore perché toponimo inesistente, e perciò giustamente corretto nel ms. in “Agrigentinorum”. Nella P. è detto che Marciano è stato bruciato “in hac urbe”, che il G. corregge in “ea urbe”, intendendo “la città di Siracusa”, come dice la tradizione siracusana, e non Agrigento. Ma, notiamo noi, si può conservare il dimostrativo “hac”, perché riferito al termine precedente più vicino, che è appunto Siracusa e non Agrigento (v. il testo). Nella P. i confratelli di Peregrino sono detti suoi “concives”, e quindi “africani”; ma questo può riferirsi, secondo noi, o alla città di residenza (Triocala o Agrigento) o più probabilmente è una errata supposizione e aggiunta dell’autore. Infine al termine del Martirio nell’originale è detto che i miracoli dopo morte di Pellegrino durano “fino ad oggi”, come nel ms. del 1794, nell’edizione del Gaetani è detto “per molti secoli”; ma il significato non cambia.

 

IL CONTENUTO.

Anzitutto è da rilevare che poco dopo l’inizio del racconto, dopo aver parlato del sepolcro di Peregrino, l’autore, con stridente anacronismo, senza avvertire il lettore, fa un brusco passo indietro nel tempo e parla della vita di Peregrino. Questo ha fatto pensare ad una lacuna ed all’inizio mutilo del racconto relativo a Peregrino; e quindi a due fonti o tradizioni diverse, mal connesse dall’anonimo (cfr. Gaetani, 20). Il Gaetani aveva poi rilevato altri gravi errori cronologici contenuti nel codice: in particolare i nomi dei due imperatori persecutori Valeriano e Gallieno (IIIsec.), che espunge, e nelle osservazioni, considerandolo un frequentissimus lapsus nelle antiche vite dei Santi, sostituisce con Domiziano oppure con Nerone. Inoltre i due magistrati Quinziano e Silvano sono gli stessi che intervengono nella passione di S. Agata, martirizzata sotto Decio nel 251 (BHL 133).

Il Papebroch invece (AA.SS. Junii, f.786ss.) seguito dall'altro Bollandista Van Hoof (AA.SS. Novembris) e dalla maggior parte degli studiosi di oggi, da credito alla datazione al III sec. dei tre santi, Pellegrino, Libertino e Marziano e considera una conferma la presenza del consolare Quinziano, sotto il quale pochi anni prima era stata martirizzata S. Agata.

Ma si obbietta giustamente che, anche a giudizio di altri studiosi, il testo mescola dati veritieri con errori dell’autore, dovuti alla scarsezza e incertezza di notizie orali e scritte che lui ha, ed anche alla sua difettosa e confusa conoscenza delle persecuzioni dei primi tre secoli. Dalle tante indeterminatezze, dice il Barcellona (p.235) di “un racconto così approssimativo …sembrerebbe confermarsi l’impressione che non sia altro che un documento agiografico creato per dare più consistenza alla memoria di martiri locali di cui forse non si conosceva molto più del nome”.

Ma già lo studioso D. Giovanni Lanza (citato da Gaetani della Torre, p. 41), andando al di là dei dubbi e correzioni del Gaetani, non riconosceva attendibili questi Atti: “Quello che viene raccontato in questi atti sono semplici favole. Chi dunque mi può indurre a prestar loro fede? E' perciò azzardato negare i fatti ricavati da questi Atti falsi o almeno ritenere che sono stati interpolati da mano certamente assai inesperta?” Dello stesso parere negativo è anche il Lancia di Brolo. Il Pace invece dà un giudizio più moderato (IV,12): “Il problema critico riguarda il valore della Passio dovuta a Peregrinus. Che possa trattarsi di uno di quei romanzi elaborati nell’VIII-IX sec., non sembra possibile perché è citata a principio del sec. VIII con manifesta consapevolezza di antico documento. Dubbio resta solo se vada riguardata come narrazione autentica del martirio, dovuta ad un testimone – quali non mancano come tutti sanno nella tradizione della Chiesa – o piuttosto uno scritto di pia edificazione…”.

Il Della Torre (p. 42) nota inoltre che Quinziano, poco dopo il martirio di S. Agata, cadde e morì nel fiume Psemistio, come si ricava dalla vita di S. Nicone Vescovo di Taormina, scritta da S. Cheromeno, pubblicata dai Bollandisti (Appendice al tomo III di marzo). Dunque come a Decio erano succeduti Valeriano e Gallieno, al consolare Quinziano era succeduto Tertullo. Quindi errato il nome di Quinziano ed errati quelli di Valeriano e Gallieno (cfr. sopra).

Possiamo aggiungere che certamente l'anonimo autore non conosceva la tradizione più completa della Vita di S. Pellegrino e nemmeno quella di Marciano!

Il Rizzo (Un raro syngramma…) fa un esame della Passio molto intricato, ricorre ad interpretazioni, supposizioni ed ipotesi così sofisticate, cavillose e confuse che risulta molto difficile per non dire impossibile capire quello che ha voluto dire o non dire o sottendere o inventare l’anonimo autore, e ancor meno chiara risulta l’opinione del Rizzo! Egli, seguendo l’Amore, sposta le vicende al periodo vandalico (V secolo) ma la presunta prova principale, il riferimento di un passo del Martirium a una lettera di Papa Leone, non è valido (v. sotto “Il Credo di Pellegrino”). La provenienza poi di Peregrino dall’Africa, invece che dalla Grecia, è un errore dell’anonimo dovuto alle sue limitate e difettose conoscenze, come riconosce il Barcellona (v. sotto “Cataudella”).

 

 

MARTIRIO DEI SANTI PEREGRINO E LIBERTINO VESCOVO DI AGRIGENTO

AUTORE OTTAVIO CAIETANO DELLA COMPAGNIA DI GESÙ

(Traduzione integrale dalle Vite dei Santi Siciliani)

In quell’encomio che un grave e antico autore siracusano scrisse su S. Marciano primo Vescovo di Siracusa, e noi abbiamo pubblicato dopo la sua vita come singolare ornamento, c’è memoria dei Santi Peregrino e Libertino, vescovo della città di Agrigento. Infatti, dopo aver detto che la vita di S. Marciano fu scritta da Peregrino, aggiunge: “ Questi, fra gli altri predicatori di Dio, ripieno della dottrina di Marciano, divenne un testimone perfetto di Dio, sacrificio accettabile e volontario a Dio e olocausto in odore di soavità, nel monte che è detto Cima del Crotalo, riportò lo stesso trionfo della morte del santo martire Libertino Vescovo della Chiesa degli Agrigentini”.Di questi Santi Martiri , presso il Monastero di S. Maria nel territorio di Acuzie nei Sabini, si trovano alcuni Atti manoscritti, che mio fratello germano Don Costantino Caietano, Abate di S. Baronte a Cassino mi ha mandato. In essi sono scritte alcune cose in modo più chiaro, e sebbene cadono in gravi errori sui nomi del Prefetto e del Proconsole, anzi in modo più grave sui nomi degli Imperatori, non c’è tuttavia motivo per rigettarli del tutto subito. Questo errore (lapsus) è frequentissimo negli Atti dei Santi, e con gran prudenza il Cardinal Baronio, nelle note del Martirologio Romano al giorno 7 ottobre (nonas), parlando di S. Dionigi Aeropagita, ha detto: “Se per uno o altro errore che si trova nelle Vite dei Santi, diremo che le cose rimanenti non sono degne di fede, certamente metteremo in dubbio quasi tutte le vite dei Santi; dal momento che quasi in tutte si può rilevare qualcosa che si possa correggere. Inoltre poiché gli Atti più antichi dei Santi sono scritti molto brevemente, avvenne spesso che nel trascriverli da altri furono fatte alcune aggiunte che essi, pur ignorandole, stimavano utili per una più piena conoscenza. Si aggiunga anche il fatto che nei primi tempi della Chiesa i fatti erano tramandati più a memoria che con gli scritti e mentre il ricordo degli eventi è più sicuro dei nomi, più facilmente invece su questi nomi errarono coloro che per primi scrissero gli Atti. Specialmente quando si basano su congetture nell’indicare tempi già trascorsi da molto. Invero c’è meno possibilità di errore nei fatti stessi che nell’indicazione di tempi, luoghi e altre circostanze, perché l’errore in essi è ritenuto cosa meno grave dal punto di vista religioso.

Dunque in questi Atti dispiace il fatto che la morte di questi martiri è assegnata al tempo dei Consolare della Sicilia, Quinziano, e al Giudice Silvano; costoro infatti sotto l’Imperatore Decio afflissero i Cristiani in Sicilia, nell’anno duecento circa [d.C.], come risulta dagli Atti di S. Agata, molto più sicuri (di questi). Che se a qualcuno viene in mente di supporre qualche altro Consolare e Giudice dello stesso cognome vissuto nel primo secolo, i nomi degli Imperatori causano un’altra più grave difficoltà: infatti questi Atti affermano che Peregrino e Libertino soffrirono le pene estreme sotto Valeriano e Gallieno, la cui ottava persecuzione contro i Cristiani cominciò nell’anno di Cristo 259, mentre San Marciano fu mandato da S. Pietro da Antiochia intorno all’anno 40. Peregrino suo discepolo non poté vivere fino al tempo di Valeriano e Gallieno.

Tolte dunque queste macchie (errori) dei nomi, che non dovevano essere nascoste, in breve riassumo gli stessi Atti, affinché sia evidente ai lettori quanto i singoli fatti siano veramente degni di fede.

 

Nei confini di Agrigento c’era un Cenobio chiamato “Triginta”, nome desunto o dalla distanza del luogo in miglia [ca. 45 Km.] o dal numero dei Cenobiti o da altro. Era a capo degli asceti Agatone, insigne per religiosità e pietà ed istruito nella Sacra Scrittura. Egli guidava i suoi cenobiti soggetti a severa disciplina con tanta fama di virtù, dolcezza di modi e incredibile familiarità, che a buon diritto per tutta la Sicilia era celebrata con ammirazione la stima di lui e dei suoi. Ma in questi Atti la narrazione è così complicata che non si capisce se Agatone era a capo del Cenobio, quando vi giunse Liberato, di cui ora dirò, o piuttosto mentre c’era Peregrino. Comunque sia Peregrino, dedito a una vita più santa, dimorò nella famiglia religiosa di questo Cenobio e risplendeva sui compagni e sugli altri per gli esempi della sua piissima vita. Frattanto, infuriando la rabbia degli Imperatori contro il nome cristiano, si recò ad Agrigento il Prefetto o il Giudice per la causa dei Cristiani. Ma un certo Pelagio, che come un altro Giuda dimorava in quel collegio di uomini religiosi nascosto sotto l’apparenza di una simulata virtù, stimolato dall’invidia e dalla perfidia, riferì al giudice il nome di Peregrino. Egli, arrestato, pubblicamente con volto ed animo costante confessò di essere cristiano, a schernire e confutare la vanità degli idoli a subire i dolori e il furore di tutti i tormenti; pronto non solo a persistere nella fede di Cristo alla quale col favore di Dio aveva convertito molti, ma anche a confermarla con l’esempio della sua costanza. Il giudice allora, dopo aver capito che dopo molti diverbi non otteneva nulla, lo condanna alle fiamme. Dunque portato nel Monte Crotaleo, viene gettato nel fuoco e l’anima trasvolò in cielo verso i beati incendi del divino amore. Ma il corpo che non poté essere ridotto in cenere fu lì seppellito con onore da una donna religiosa di nome Donnina. Coi suoi beni in quel posto fu costruito un tempio diventato luogo di culto famoso da molti secoli per i suoi miracoli. Ma ci dispiace che da tempo i Siculi ignorano quale sia quel monte che allora fu chiamato Crotaleo, per ricercare con più cura i resti del tempio e del sepolcro.

Fra i miracoli poi celebrati con ammirazione da molti, ci dovette essere quello al quale gli stessi Atti accennano e di cui forse avremmo più ampia descrizione se gli Atti ci fossero pervenuti integri. Narrano dunque che un cittadino di Lilibeo, di nome Liberato, essendo a lungo posseduto e tormentato da un demonio, si sia recato a Roma per supplicare S. Pietro.

Dopo giornaliere preghiere fatte per un anno, mentre pregava in una notte tempestosa, sentì queste parole: Hai già ricevuto la grazia, ritorna in Sicilia nel Monte Crotaleo dove è posto il corpo del Martire Peregrino; ti devi presentare al suo sepolcro e fare il digiuno, secondo il solito per novanta giorni. Quando adempirai ciò, Peregrino farà sì che il demonio non ti tormenti più e nello stesso tempo guarirà il figlio Abondanzio, colpito da paralisi. Non dubito che così sia felicemente avvenuto, sebbene gli Atti dicano solo che fosse ritornato per nave e avesse riportato il figlio. Infatti, oltre la parola degna di fede data dal Principe degli Apostoli, gli Atti cominciano con questo racconto di Liberato, da cui prendono occasione per proseguire fino al martirio di Peregrino. Non vorrei che alcuno mettesse in dubbio quello che abbiamo detto di Peregrino, sebbene colui che poco prima abbiamo visto essere stato discepolo di Marciano Vescovo di Siracusa e nunzio del Vangelo, questi Atti lo presentano nei confini della Diocesi di Agrigento come monaco e quasi eremita. Infatti in quella prima età della Chiesa nascente non c’è da meravigliarsi che uomini illustri per dottrina e fede si recassero in altre diocesi e visitassero molte città, per spargere con forza più ampiamente il seme del Vangelo; tanto meno le leggi umane potevano imporre limiti allo Spirito Divino da cui essi erano soprattutto mossi. Anzi gli stessi Atti narrano che S. Marciano sia pervenuto nella Diocesi di Agrigento, a cui era a capo Libertino. Del resto anche nel primo secolo ci furono moltissimi che, poiché conducevano una vita singolare separata dal tumulto delle cure mondane e dedita al culto divino, e la manifestavano anche con l’abito, erano chiamati Terapeuti, cioè cultori di Dio e Monaci, come attestano in modo chiarissimo S. Dionigi ed altri. E nella nostra Sicilia ci furono collegi di Vergini consacrate a Dio, istituiti da Pancrazio Vescovo di Taormina, com’è detto nei suoi Atti.. Perciò chi può ragionevolmente dubitare che alcuni, specialmente per ordine dei Vescovi a cui erano soggetti, o spinti dal desiderio della salvezza degli altri, siano usciti fuori come dai fortini della pietà per istruire nella fede? Non vedo perciò alcun motivo per cui si possa considerare cosa difficile che Peregrino, nunzio del Vangelo, si fosse ritirato in quel suo monastero poco prima di subire la morte.

Infine, sebbene gli Atti riferiscono che Peregrino era un martire africano, per cui si era diffuso fra quegli asceti il suo soprannome di Peregrino, tuttavia, dato che questo fatto è riferito durante il contrasto fra il Giudice e il Martire, in cui, secondo l’ingegno degli scrittori, per ornare la storia sono dette molte cose, non raramente in modo più ampio di quello che richiede la somiglianza del vero, non facilmente sarò distolto dal credere che Peregrino sia siracusano, in quanto istruito nella fede a Siracusa da Marciano.

E ora vengo a Libertino, Vescovo degli Agrigentini, di cui brevemente parla quell’Encomiaste siracusano sopra mentovato e assai poco riportano questi Atti di Peregrino. E invero la fama giunta fino a noi e la costante tradizione ci conferma che egli fu preposto alla Chiesa Agrigentina. Io credo che ciò avvenne l’anno 44 dopo Cristo, quando il Principe degli Apostoli, venendo a Roma, passò da Pancrazio Vescovo di Taormina in Sicilia, teste il Metafraste, come abbiamo detto nella sua vita. Colà infatti l’Apostolo provvide con sollecitudine alle cose della Sicilia, consacrò vescovo Massimo e lo designò come successore di Pancrazio, e mandò a Catania come Vescovo Berillo. Perciò più facilmente si può credere che allora abbia dato per Vescovo agli Agrigentini Libertino e forse altri ad altre città, i cui nomi si sono perduti. Che Libertino abbia dedicato con gran diligenza la sua opera alla salvezza degli Agrigentini e la sua Chiesa sia stata florida, è indicato dal fatto che i Ministri degli Imperatori siano pervenuti in quella Chiesa per abbatterla e abbiano infierito soprattutto contro di Lui. Ma poiché né con inganni né con minacce l’animo dal Santo Pontefice poté essere vinto, sottoposto ad acerbissimi tormenti, rese l’anima a Dio. Se poi esaminiamo le parole dell’Encomiaste il quale dice che riportò lo stesso trionfo di Peregrino, dovremo pensare che anche Libertino fu gettato nel fuoco. Ma gli Atti spesso citati affermano che egli esalò lo spirito mentre levava a Dio la preghiera presso l’altare. E secondo i più è fama che fu colpito da pietre e trafitto da spada e alcune sue antichissime immagini lo confermano. Fu sepolto onorevolmente vicino al foro di Agrigento e dicono che per molti anni al suo sepolcro furono ricevute grazie.

Questi Santi Martiri sono venerati il terzo giorno prima delle Nona di Novembre [3 Nov.] . In nessun luogo trovo segnato con certezza l’anno della morte, ma facilmente lo assegnerei al tempo di Domiziano; non sembra infatti che lo abbia preceduto di molto Marciano, Vescovo di Siracusa che gli Atti indicano che abbia subito il martirio a Siracusa e non ad Agrigento; se non vogliamo protrarre più a lungo la sua vita , come pensano altri scrittori e vogliamo interpretare benignamente gli Atti. Se poi qualcuno vuole riferirli alla persecuzione di Nerone, non ho obbiezione da fare. Del resto se il lettore preferirà il mio giudizio e la mia interpretazione degli Atti non mi dispiacerà associarmi.

Nell’Isagoge ad historiam siculam, il Gaetani ribadisce (p.148): “L’Encomio siracusano considera Libertino, primo vescovo martire di Agrigento, contemporaneo del Santo martire Peregrino, il quale fu discepolo di S. Marciano vescovo di Siracusa, ordinato dall’Apostolo Pietro” e cita il passo dell’Encomio. “Da questo passo si può ricavare il tempo in cui visse il vescovo Libertino e morì martire per Cristo; sembra infatti evidente che egli e S. Peregrino, il quale ricevette la fede dal vescovo Marciano, discepolo del Beato Pietro, siano vissuti al tempo dello stesso Apostolo Pietro. Dunque il vescovo Libertino subì il martirio con Peregrino, discepolo di Marciano, non molto tempo dopo la morte del beatissimo Pietro Apostolo, o durante la persecuzione di Nerone, dopo S. Marziano, o in quella di Domiziano. Quantunque non senza timore oso affermare questo; ricavare dati più certi, da tanta oscurità di fatti antichi è difficile”.

La patria di S. Pellegrino. Nel cap. 38 il Gaetani dice “S. Pellegrino, Patrono di Caltabelloltta in Sicilia è nato in Grecia, ma il nome della patria [città di nascita] ci è ignoto. Alcuni dicono che fu nativo di Lucca [in Toscana], alla cui diceria diede occasione il corpo [del santo] venerato a Lucca; ma io sono del parere che sia un altro Peregrino diverso dal nostro”.

 

LE AVVERTENZE DEL GAETANI NELLE VITE DEI SANTI SICILIANI AL MARTIRIO DEI SANTI PEREGRINO E LIBERTINO

A p. 18 il Gaetani riporta queste “animadversiones”.

[Il Manoscritto.] Grazie alla misericordia di Dio Onnipotente, il codice è conservato nella Biblioteca Aniciana dell’Abate Don Costantino Gaetani. La storia, come sospetto, è tradotta dal greco in latino da un uomo poco esperto sia nella lingua greca che nella latina. Perciò è stato necessario fare attenzione a ciò che il racconto ci vuol dire più che alla proprietà delle parole.

[Peregrino morto e poi vivo.] All’inizio, quando si dice che Liberato si reca al sepolcro di Peregrino, si afferma che “ in quel tempo il prefetto [capo] degli asceti era Agatone”; e fra questi asceti c’è Peregrino ancora vivente.

 

Perciò le parole “in quel tempo” devono riferirsi non al tempo del pellegrinaggio al sepolcro, ma al tempo in cui visse Peregrino.

[Marciano morto a Siracusa e non ad Agrigento.] Così anche quando si afferma che Pelagio ad Agrigento ha detto che “Marciano vescovo di Siracusa, condannato per la stessa superstizione [la fede cristiana], “fu consumato dalle fiamme in questa città”, se le parole sono intese come suonano, cioè che Marciano è morto ad Agrigento, esse sono false e vengono confutate come menzognere da quello che abbiamo scritto su Marciano. Io piuttosto interpreto “in questa città di Siracusa” ecc., in modo da togliere più facilmente l’errore dell’aggiunta “in quella città”.

[Il Monastero detto “Triginta”. Il Gaetani porta altri esempi di luoghi indicati con numeri.]

“ Nel Metafraste e nei Menei Greci, nella Vita dei Santi Andronico ed Atanasia, si parla di un Cenobio detto “Decimottavo”. Il diacono Ponzio racconta che S. Cipriano, essendo giunto nel luogo detto “Sesto”, a quattro miglia dalla città [Cartagine], si tolse il copricapo e lo diede al carnefice. Nel Concilio di Calcedonia si parla della Chiesa consacrata al martirio di S. Giovanni Battista, che si trova nel settimo, cioè nel settimo miglio dalla città di Costantinopoli.

[Il nome Peregrino]. Così sempre è scritto il nome negli Atti, mentre nell’Encomiaste [di S. Marciano] si legge “Pelegrino”.

[I solecismi della lingua del Martirium e le correzioni del Gaetani].

“Quantunque invero in quello che ho scritto sul Vescovo Libertino e su S. Peregrino Martiri, ho riportato quello che è contenuto negli Atti a me trasmessi, mi è sembrata cosa opportuna riportarli integralmente, perché forse molti ne sono desiderosi. Ma poiché l’esemplare è depravato da innumerevoli solecismi, abbiamo mutato leggermente le parole, perché lo stile della lingua non fosse del tutto sgradevole e potesse ‘ muovere lo stomaco’. Invero non ho spostato nessun periodo né ho aggiunto nulla che non dicono gli stessi Atti. Il contenuto delle espressioni improprie resta nelle stesse vicende narrate e nello stesso ordine della storia.”

 

 

LE “ANIMADVERSIONES” DEL MS. ORIGINALE DEL GAETANI

SUL MARTIRIO DEI SANTI PEREGRINO E LIBERTINO

Il martirio dei santi Peregrino e Libertino Vescovo, che comincia “Grazie alla misericordia di Dio Onnipotente ecc.” lo abbiamo ricevuto da Don Costantino Caietano, mio fratello, Abate Cassinese di S. Baronte, che me lo ha mandato trascritto da antiche membrane manoscritte del Cenobio di S. Maria in Campo Acuziano, nei Sabini. Questo codice oggi si conserva nella biblioteca dello stesso mio fratello germano. Mi dispiace il fatto che l'esemplare è molto corrotto, senza alcun decoro nella lingua e senza nessi nella narrazione; le notizie false sono miste alle vere, molte sottintese, altre corrotte e confuse, o connesse fra loro altre che per l'intervallo temporale sono molto distanti fra loro; né a questi difetti ci sono possibili rimedi; infatti non ci sono altri manoscritti con cui confrontare quest'unico esemplare. La storia, come sospetto, è stata tradotta dal greco in latino, ma da un uomo poco esperto sia di greco che di latino; ma io non sarei facilmente in grado di giudicare se lo stesso scrittore abbia deformato con tanti errori il racconto o se invece questo interprete abbia aggiunto molto di suo. Abbiamo mutato le espressioni sconvenienti, lasciando tuttavia immutati i fatti e l'ordine della storia e lasciando ogni giudizio al lettore erudito.

E ora mettiamo davanti agli occhi i motivi delle lamentele. Premettiamo due o tre fatti sicuramente certi: il primo è che Peregrino martire fu discepolo del Beato Marciano, Vescovo di Siracusa, e che egli superstite scrisse gli Atti del suo martirio subìto per la fede. Sappiamo poi dall'Encomiaste siracusano, uomo di provata e antica fede, nella sua lode di S. Marciano che non molto tempo dopo Pellegrino, assieme al vescovo di Agrigento Libertino, fu coronato dal martirio sul monte Crotaleo. Il secondo dato certo è che Marciano fu ucciso per Cristo nella persecuzione di Nerone a Siracusa, come è stato da me già confermato, mentre in ciò questi Atti di S. Peregrino risultano errati e del tutto corrotti. Ed ecco l'errore: L'Apostolo Pietro ammonisce Liberato abitante di Lilibeo di recarsi al monte Crotaleo, in cui si trovava il corpo del martire Peregrino. Appena Liberato vi pervenne, eccoti Peregrino, non ancora morto, che vive in un Monastero. E non molto dopo è detto che è dato alle fiamme dal giudice Silvano; né si può trovare alcun nesso che possa spiegare questo racconto , e certamente chi lo legge sarà dello stesso parere. Inoltre si afferma che Marciano, vescovo siracusano, sia giunto da Peregrino nel monastero, quasi nello stesso tempo in cui Peregrino fu martirizzato e bruciato per la fede; questo avvenne nel monte Crotaleo al tempo degli Imperatori Valeriano e Gallieno! Questa affermazione ha del prodigioso! Marciano, mandato dall'Apostolo Pietro a Siracusa nell'anno 40 d.C. Sarebbe vissuto fino al tempo di Valeriano e Gallieno? Falsissimo! Infatti avrebbe dovuto vivere quasi 250 anni! Inoltre non si accordano né il luogo né il genere di morte né il tempo. Infatti Marciano non morì né fu bruciato ad Agrigento sul monte Crotaleo, né nello stesso tempo di Peregrino; ma a Siracusa cessò di vivere prima di Peregrino, soffocato dal laccio.

Per quanto riguarda la cronologia c'è la stessa difficoltà riguardo a Peregrino. Infatti è assolutamente incredibile che il Beato Marciano sia vissuto circa duecento anni fino al 256, anno in cui diventarono imperatori Valeriano e Gallieno. Lo conferma il già lodato Encomiaste, il quale afferma che Peregrino visse negli stessi tempi di Marciano e ottenne la corona del martirio assieme al vescovo di Agrigento, Libertino; fatto che noi crediamo sia avvenuto o nella persecuzione di Nerone o in quella di Domiziano. E lo stesso Encomiaste dice che Libertino, Vescovo della Chiesa di Agrigento riportò simile trionfo sulla morte di Peregrino, cioè nello stesso luogo, tempo e tormenti, mentre negli Atti è diverso sia il luogo sia il genere di morte; narrano infatti che Libertino

morì ad Agrigento e Peregrino sul monte Crotaleo; quello davanti l'altare alla fine delle preghiere e non nei tormenti, questo rese a Dio lo spirito nel fuoco. Aggiungi il fatto che non è possibile che Peregrino abbia sofferto sotto Quinziano, consolare della Sicilia ed il giudice Silvano. Infatti questi magistrati perirono in malo modo sotto Decio, cosa ben nota dagli Atti di S. Agata. Trascuro altre discordanze per non essere troppo lungo. Aggiungo solo che importa poco sapere se Peregrino il quale fu convertito alla fede di Cristo da Marciano a Siracusa, sia siracusano o africano, com'è detto negli Atti (nei quali stoltamente si fa allusione al nome, [Peregrino= forestiero]).

Ma dirai: forse sono esistiti due Peregrini, uno siculo, discepolo di Marciano, di cui parla l'Encomiaste siracusano; l'altro di cui parlano gli Atti, che soffrì in Sicilia al tempo dei Principi Valeriano e Gallieno; la loro storia poi è stata confusa da uno scrittore inesperto. Io non voglio considerare inverosimile questa ipotesi, che cioè siano esistiti due martiri con lo stesso nome Peregrino, ma resto fermo in quello che non si può mettere in dubbio, perchè tramandato con certezza dall'Encomiaste siracusano, cioè che Peregrino, che fu seguace di Marciano, e Libertino Vescovo morirono martiri assieme nel Monte Crotaleo, su cui gli Atti dissentono e non ammetto un altro Libertino che andò incontro alla morte sul monte Crotaleo. Cosa obbietti? Che la storia è stata corrotta e depravata o dallo scrittore degli Atti o dall'interprete: verissimo; ma che cosa ne consegue? Ammetterai un altro Libertino, cosicché ci saranno due Peregrini, uno siuracusano l'altro africano e anche due Libertini entrambi vescovi di Agrigento e martiri! Ma c'è di più: il Consolare Quinziano ed il suo assistente Silvano, finirono la vita in modo pessimo prima di Valeriano e Gallieno, come ho detto prima; dovrai perciò supporre un altro Quinziano Consolare della Sicilia e un altro suo assistente Silvano! Che rimane? Ammetterai due Marciani Vescovi di Siracusa, per mettere tutto d'accordo, secondo la tua interpretazione! Ma io non sono di stomaco così forte da cuocere una simile pentola!

NOTE PARTICOLARI del Gaetani

La chiesa del Beato Pietro Apostolo. Fu costruita dal Papa S. Anacleto, al tempo dell'Imperatore Traiano [98-117]. Dice infatti Anastasio Bibliotecario, nella Vita di Anacleto: “Questi eresse la memoria del Beato Pietro”, col quale nome secondo l'antico uso intende la Chiesa. Vogliamo notare questo fatto, perché gli Atti dicono che questo Liberato di Lilibeo si recò a Roma nella chiesa di S. Pietro Apostolo, e da ciò ne segue che la partenza di Liberato avvenne dopo l'età traianea; è invero cosa notissima dalla Storia Sacra che i Cristiani erano soliti visitare i sepolcri degli Apostoli Pietro e Paolo al tempo degli Imperatori pagani, anche durante le persecuzioni.

[Queste notizie del Gaetani sono in parte inesatte. Infatti Anacleto, secondo il Duchesne, può aver pontificato dal 77 all'88, o al più, secondo altri studiosi, fino al 91; quindi sotto Domiziano e prima di Traiano. La visita a Roma di Liberato può essere perciò anticipata o prima o dopo il 90 d.C., anno della morte di S. Peregrino, secondo lo stesso Gaetani e gli AA. SS. di gennaio. E' il “Liber Pontificalis”, erroneamente attribuito ad Anastasio Bibliotecario (820 ca.-878),che attribuisce ad Anacleto la costruzione di un monumento “memoria” sulla tomba di S. Pietro (cfr. E.I.T.,III,68). Sarebbe questo “martirium” la chiesa visitata da Liberato. Comunque, anche se si mette in dubbio la sua erezione ad opera di Papa Anacleto, sappiamo da fonti sicure, Ireneo, Eusebio, Ignazio, Clemente, Tertulliano e altri, che i pellegrini cristiani si recavano a Roma per venerare il sepolcro di S. Pietro in Vaticano, dopo il suo martirio.]

Il Monte Crotaleo. Del monte Crotaleo fa memoria anche l'Encomiasta siracusano; esso a me è sconosciuto, ma dagli Atti sembra trovarsi non molto distante da Agrigento. In esso si trovava il corpo di Peregrino. E come si spiega che prima si parla dei miracoli di Peregrino dopo la sua morte e in seguito del suo martirio?

L'Asceterio chiamato Trenta. Presso il Metafraste ed i Menei, nella vita di S. Andronico ed Atanasia, si parla di un cenobio detto decimo ottavo. Nel Concilio di Calcedonia, il Martirio di S. Giovanni Battista è collocato nel Settimo, che indica la distanza in miglia dalla città di Costantinopoli. Forse l'Asceterio distava trenta miglia o da Agrigento o dal litorale ( dagli Atti risulta che esso era sito all'interno), sebbene ciò non sempre è vero. Infatti il Diacono Ponzio scrive che S. Cipriano,essendo pervenuto nel luogo detto “Sesto”, al quarto miglio distante dallo o dal litorale ( dagli Atti risulta che esso era sito all'interno), sebbene ciò non sempre è vero. Infatti il Diacono Ponzio scrive che S. Cipriano,essendo pervenuto nel luogo detto “Sesto”, al quarto miglio distante dalla città [Cartagine], si tolse il copricapo e lo diede ai carnefici.

In quel tempo. Qui, secondo me, c'è un brusco salto nella storia; infatti male si accorda quello che è stato detto di Liberato, mandato da S. Pietro nel monte Crotaleo al sepolcro di Peregrino, col fatto che S. Peregrino viva nell'Asceterio presieduto da Agatone. Sembrano mancanti i fatti riguardanti Liberato e l'esito della guarigione di Abondanzio. Forse in occasione del miracolo dopo la morte di Peregrino, veniva narrato il suo martirio dallo scrittore, che fa confusione in tutto, riguardo all'anno, a chi lo tradisce, al genere di morte, agli Imperatori e al Giudice. Aggiungi il fatto che dopo che Liberato pervenne al Monte Crotaleo per obbedire al comando del Beato Pietro, affinché presso il corpo di Peregrino, che lì era sepolto, potesse ottenere dopo lunghi digiuni e preghiere la salute del figlio, non c'è alcun menzione della recuperata salute, al cui scopo aveva fatto il pellegrinaggio al sepolcro di S. Peregrino nel monte Crotaleo. E' evidente che qui c'è una lacuna nel racconto.

L'uomo santissimo. Non è abbastanza chiaro dagli Atti se questo riguarda Agatone o Peregrino. Se si riferisce a Peregrino, non meravigliarti che all'inizio della predicazione evangelica in Sicilia, vi furono nell'Isola dei Monasteri; noi nell'Isagoge abbiamo dimostrato che sin dai tempi Apostolici, assieme al Vangelo, essi sorsero e si diffusero.

In quel tempo capo della Chiesa Siracusana era Marciano. Riteniamo che ciò non sia verosimile, anzi secondo noi è falso, perché contraddice apertamente all'Encomiaste il quale afferma che Peregrino fu superstite a Marciano; perciò ho ritenuto opportuno espungere queste righe, come ho detto nella premessa alle “Avvertenze”.

Dimorava nell'Asceterio Pelagio Africano. Non so chi sia questo Pelagio, né mi è noto da altra fonte; ma possiamo ritenere che la persecuzione contro Peregrino sia stata provocata dalla denuncia di questo monaco; si ricordi la sentenza di Cristo Signore, il quale predisse che i suoi seguaci sarebbero stati traditi dai loro parenti e congiunti [cfr. Matteo, 10,21].

Per invidia verso Marciano Penso che qui manchi qualcosa riguardo al martirio di S. Marciano; infatti poco dopo si dice che fu bruciato sul Monte Crotaleo. Ma essendo ciò contrario alla verità, sono del parere che in questo luogo sia da sostituire Peregrino a Marciano, e lo prova il racconto in cui è detto che Peregrino fu denunziato da Pelagio.

Gli Imperatori Valeriano e Gallieno. Il codice aniciano manoscritto ha Valerio e Gallio che avrebbero ordinato la persecuzione, ma io stimo che abbiano voluto scrivere Valeriano e Gallieno o l'autore degli Atti o il suo interprete; ma si tratta di un'aggiunta errata, come ho già dimostrato. Che Marciano e Peregrino siano vissuti fino al loro principato non è credibile. Infatti Valeriano mandò le sue lettere ai Presidi delle Provincie, con le quali era resa più severa la persecuzione contro i Cristiani, nell'anno 260.

Quinziano consolare della Sicilia. Si tratta forse di Quinziano consolare della Sicilia e del suo consigliere Silvano che martirizzarono S. Agata sotto l'Imperatore Decio e perciò bisogna correggere gli Atti e al posto di Valeriano e Gallieno mettere l'Imperatore Decio e un prefetto Valeriano? Oserei anche farlo se tuttavia riuscissi a ricavarlo dagli altri recessi del racconto; cosa che non mi riesce, né d'altronde la correzione giova. Infatti Peregrino non poté arrivare fino a Decio, che suscitò la persecuzione contro la Chiesa nel 253. Non nego però che vi furono altri consolari della Sicilia dello stesso nome e oltre il Quinziano uccisore di S. Agata vi fu un altro Quinziano Prefetto della Sicilia che condannò al martirio Babila, Agapio e Timoteo, come si legge nei loro Atti; si tratta forse dello stesso Quinziano? C'è poi un altro Quinziano consolare della Sicilia sotto gli Imperatori Valente e Valentiniano, come attesta un'iscrizione su pietra di Lilibeo.

[Ignoro donde il Gaetani abbia tratto queste notizie che non mi risultano vere. Infatti nel Martirologio Romano del 1584 e segg., il 24 gennaio, c'è prima memoria del vescovo Timoteo, discepolo di S. Paolo, Vescovo di Efeso, morto lapidato nel I sec., e dopo è commemorato S. Babila, vescovo di Antiochia, morto anche lui martire in catene, sotto Decio nel 250, assieme a tre fanciulli, Urbano, Prilidiano ed Epolonio. Non ci sono nel Martirologio altri S. Babila e non furono perciò martiri con lui Agapio e Timoteo. Di Agapio,Timoteo e Tecla c'è poi nel M.R. memoria il 19 agosto, ma martirizzati in Palestina sotto il Preside Urbano, nella persecuzione di Diocleziano (303-311). Mi meraviglio come il Gaetani abbia potuto fare confusione. Il consolare Quinziano del “lapis lilibetanus” è vissuto al tempo degli Imperatori Valente e Valentiniano, imperatori dal 364 al 375, più di 50 anni dopo la fine delle persecuzioni. In conclusione, tenuto anche conto che non è verosimile che Quinziano e Gallieno abbiano avuto la stessa carica otto anni dopo circa e in Agrigento invece che a Catania, resta valida, anzi viene confermata l'ipotesi dello stesso Gaetani che si tratta di un grossolano errore cronologico dell'autore degli Atti: Valeriano e Gallieno al posto di Nerone! A. Holm (III,646,n.240), da Gaetani, VV. SS. 1,44 annovera come “proconsole di Sicilia” solo il Quinziano di S. Agata.

Il Vescovo Libertino. Ne abbiamo parlato nelle note all'Encomio di S. Marziano.

Nella chiesa di S. Stefano. L'Encomiaste invece dice che Peregrino e Libertino subirono lo stesso genere di morte sul monte Crotaleo.

Marziano Vescovo di Siracusa. Ritengo che qui manchi qualcosa negli Atti; infatti prima si ricorda Marciano vivente e poi morto e la questione del suo martirio è passata sotto silenzio. Inoltre il Marciano di cui qui si parla fu bruciato ad Agrigento o sul monte Crotaleo? Ho già detto che si tratta di una menzogna e perciò considero falsa questa notizia.

Peregrino straniero. Negli Atti è scritto più volte che Peregrino è straniero, per l'allusione al suo nome che fa il giudice. Ma nel codice greco dell'Encomiaste è scritto “Pelegrinos”, nel qual luogo abbiamo spiegato perché anche noi abbiamo scritto Peregrino invece che Pelegrino.

 

PELLEGRINO DISCEPOLO DI MARCIANO

Lo Scobar, il Gaetani, il Pirro, gli Acta Sanctorum, Cesare Gaetani e Alessio Narbone fanno succedere a S. Marziano S. Cresto. Ecco quanto scrive il Pirro: “A Marziano successe nel pontificato S. Cresto nell’anno della salvezza circa 74, al tempo dell’Imperatore Vespasiano. Dai codici manoscritti che ha il Gaetani, risulta che fu compagno del Beato Peregrino martire, il cui “dies natalis” ricorre il 3 novembre. Egli fu martirizzato sotto l’Imperatore Domiziano nell’anno 90 ed entrambi furono discepoli di S. Marziano, come attestano le stesse Tavole siracusane”. (cfr. Vitae SS. Siculorum, I, f. 19).

Il Narbone riprende le importanti notizie del Pirro e aggiunge in nota (27,n.1) che la Chiesa Siracusana commemora fra i suoi santi anche S. Pellegrino il 3 Novembre:

Questa memoria era confermata nella prima edizione del 1703 del Kalendarium Sanctorum del Mancaruso, dove S. Peregrino era detto Africano di patria, martirizzato ad Agrigento. Ma il Gaetani della Torre e l’editore G. Puleo decisero di espungerlo, nella seconda edizione del 1764 (p.5), seguendo il Bollando. Probabilmente il Narbone, che non cita in nota la fonte, ricava questa notizia, oltre che dal Mancaruso anche dal cap. XXXVII del De divinis siculorum officiis di Giovanni Di Giovanni, in cui è riportato “l’elenco dei giorni festivi nella Città e Diocesi di Siracusa, promulgato dal Vescovo M. Bologna nel suo sinodo diocesano, titolo XXI” (Narbone, p. 34s.,n. 2).

Noi invero, poiché affermiamo che è esistito un solo Pellegrino, quello di Triocala, riteniamo vero il fatto che fu discepolo di S. Marziano di Siracusa, ma non la sua origine africana né il suo martirio nè a Siracusa né ad Agrigento (errore dovuto all’errata lettura del citato “Martirium-Passio”), essendo invece morto a Triocala.

 

 

 

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