Cap. 5°
IL MANOSCRITTO IN ITALIANO DEL1794
Il manoscritto cartaceo inedito, custodito nella Biblioteca Comunale di Sciacca, è stato pubblicato per la prima volta in edizione diplomatica da A. Daneu Lattanzi nel 1963 e porta la data 1794 (non 1791). Secondo la studiosa si tratterebbe di una copia di uno dei dodici mss. citati da A, Narbone (Bibl. Siculo Sist., p. 402) o di un manoscritto diverso. Invero il Narbone distingue, seguendo il Gaetani, fra il Peregrino Martire siracusano ed il Peregrino Confessore di Grecia, riguardo al quale cita la Vita di Antonio Sapone, Palermo 1699, e una “altra breve cavata da 12 mss. di Caltabellotta. Palermo 1711”. La citazione del Narbone è ricavata in parte dal Mongitore, che ha: “SAPONIO ANTONIO S.J., Vita di S. Peregrino confessore, cavata dalli codici manoscritti della città di Caltabellotta. Apud Felicem Martinum. Panormi 1699. La seconda edizione del 1711, verosimilmente dello stesso Saponio, è un’aggiunta del Narbone, perché la Bibliografia del Mongitore è anteriore, 1708. Purtroppo il libro del Saponio non si trova nelle biblioteche di Palermo; ma poiché, a dire del Mongitore, questo gesuita era un uomo molto dotto, è da escludere che il ms. italiano pieno di errori ed espressioni dialettali, sia una copia del testo del Saponio; è invece una copia con qualche aggiunta e modifica di uno o più dei citati 12 mss.
Che a loro volta questi manoscritti derivano da altri più antichi manoscritti latini, è provato chiaramente dal titolo stesso ed anche “ da alcune particolarità, linguistiche e grafiche” (Daneu L.); ma ci sono alcune poche note e toponimi recenti, aggiunti certamente nel sei-settecento. Né si può escludere che anche questi manoscritti latini “siano dipesi da altri più antichi in lingua greca”.
Certamente un altro manoscritto simile è stato posseduto e letto dal Di Vita nel 1871 (v. dopo).
Rispetto ai mss. del Gaetani e degli Acta SS. non ci sono notizie contrarie ma molti altri interessanti particolari, che risolvono i dubbi del Gaetani, degli Acta e degli studiosi posteriori e, secondo noi, non sono aggiunti “elementi leggendari”. C'è però un errore cronologico: la distruzione di Triocala molti anni dopo la morte di Peregrino, mentre avvenne durante le guerre servili, ma fu poi ricostruita. La seconda distruzione avvenne invece ad opera dei Saraceni, nel IX secolo.
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Ragguaglio della vita e morte dell’Apostolo di Sicilia Santo Pellegrino Primo Vescovo Triocalitano e Protettore di Caltabellotta. Cavato d’alcuni antichi codici manoscritti di detta città e trasportato dal latino in volgare.-- 1794.
(Le immagini del ms. originale sono prese dal Libro “La Leggenda di S. Pellegrino” (Ribera 2006), curato dall’Associazione Culturale Daedalos di Caltabellotta, che ha avuto la concessione dell’acquisizione digitale e della pubblicazione dalla Biblioteca Comunale di Sciacca, proprietaria del manoscritto).
Cap. 1°. S. Pietro Apostolo manda S.Pellegrino in Sicilia per piantare la santa e vera fede di Gesù Cristo e distruggere il dragone che danneggiava la città di Triocala
Nel tempo che Nostro Signore Gesù Cristo se ne ascese glorioso e trionfante al cielo, e dopo la gloriosa assunzione di Maria Vergine, tutto l’inferno sconvolse il genere umano e molti infedeli insorsero contrariando la nuova santa fede e legge…Molti demoni signoreggiavano diversi paesi del mondo e principalmente la Trinacria nella quale si pompeggiavano in orrende e spaventevoli forme, ora di bestie ora di serpenti ed insaziabili dragoni, seminando terrore e spavento a quella misera gente. In tali burrascose tempeste, maneggiava il timone della nave della Chiesa il santo Apostolo Pietro, il quale aveva mandato per diverse parti del mondo i santi Apostoli per predicare il Vangelo e piantare la fede cristiana… Si trovavano a Roma convertiti alla fede uomini di vita religiosa e integrità di costumi, rendendosi venerabili a tutti per il savio e santo comportamento con Dio e con i prossimi, tra i quali s’annovera il nostro Santo Pellegrino nato in Lucca della Grecia13. Avvisato dall’angelo, l’Apostolo Pietro li fece chiamare alla sua presenza e osservata di ognuno la sincerità e la santità nell’osservanza della divina legge, li mandò in altre parti del mondo, infettati dall’idolatria e pieni di spiriti perturbatori della nostra pace, dove ancora non erano andati i santi Apostoli a disseminare la divina parola e la fede di Gesù Cristo. A Pellegrino fu assegnata la Sicilia, dopo lunga orazione e somma istanza fatta per provvederla di un uomo insigne e speciale. Questi, umiliato ai piedi del Sommo Pontefice, con tutto genio e spirito di perfezione cristiana, volentieri ne accettò la carica, ed assieme ad altri suoi compagni, che si dice essere stati Macario, Massimo e Marciano14, ne domandò la pontificia benedizione; la quale ottenuta, ricevette per mano del santo Apostolo il libro del santo Vangelo per predicarlo. Fu anche avvisato come nella città di Triocala, vicino ad una montagna, dimorava in un’oscura caverna un voracissimo dragone, grande non solo per la corporatura ma anche per i malanni che apportava, essendo di massimo terrore agli sfortunati abitanti, i quali, per placarlo, non pensando alla terribile distruzione quotidiana lo alimentavano con carni di innocenti fanciulli, che l’iniqua sorte traeva ad essere pascolo di sì vorace dragone15.Consapevole Pellegrino, uniformandosi al divino volere, si mostrò umile ed ubbidiente. Risolse di intraprendere quel lungo faticoso viaggio per amore di Dio e per convertire le anime al cristianesimo, al lume della santa fede cattolica.
Cap. 2° S. Pellegrino parte da Roma e viene in Sicilia per convertire i Saraceni alla fede cristiana, e sbarca alla Verdura.
Chiesta la pontificia benedizione e licenziatosi il santo Pellegrino dall’Apostolo Pietro, dal quale essendo fatto sacerdote e consacrato vescovo, ottenne anche tutta quella autorità ed ampia potestà concernente ad una tale carica, con l’aiuto del Signore s’imbarcò con altri compagni e, dopo pochi giorni prosperamente pervenne a spiaggia del mare di Sicilia. Sbarcò, come vogliono alcuni, a lato del (fiume) Verdura, ma altri dicono che sbarcò alla città della piccola Cartagine, oggi chiamata “Capo Bianco”. Lì fece residenza per alcuni giorni, predicandovi la fede di Gesù Cristo e il suo santo Vangelo. Oggi ancora si vedono le vestigia di quella città, la quale fu distrutta poi dai Romani con quella anche di Triocala di cui pure si osservano le antiche vestigia, essendo rimasta solamente la terra di Caltabellotta e il casale di S. Anna, due miglia circa distante da quella. Non mancò frattanto al demonio invidioso di tentare ed assaltare il santo vecchio Pellegrino, or con mali intoppi e sinistri accidenti nel cammino, per impedirgli il viaggio di andata a Triocala, sapendo che doveva ridurre alla fede quella gente idolatra e distruggere quel serpe infernale; or con persecuzioni, maltrattamenti e percosse di gente barbara, spietata, infedele, idolatra e ignorante; or con continue veglie, mortificazioni ed astinenze, l’affliggeva nel corpo; ed or suscitava liti e questioni, impedimenti ed ostacoli ed altri infiniti malori contro il santo. Ma egli, tutto umile e paziente, soffriva ogni cosa per l’amore di Dio, e zelante qual altro Elia predicava la fede di Gesù Cristo ed il suo santo Vangelo e che col suo prodigioso bastone, che sempre in mano teneva, qual altro Mosè, a gloria di Dio operava portenti e miracoli, per i quali molti credettero in Gesù Cristo ed abbracciarono la fede cristiana.
Era allora la Sicilia posseduta e governata da Greci idolatri in molte parti e città soggette al Romano Impero…Dopo, come dicono alcuni, nell’ottavo secolo18, furono distrutti i Greci e subentrarono i Saracini. Ma quando venne il santo Pellegrino in Triocala, non erano propriamente Saracini, ma Greci idolatri ed infedeli, e quando dico in questa storia che Triocala era abitata da Saracini, intendo dire che questa nazione era Idolatra e saracina, cioè senza lume e senza fede. Da Capo Bianco ove si dice essere stata la piccola Cartagine e che ivi avesse sbarcato il nostro S. Pellegrino, di rimpetto a quella, quasi a sedici miglia circa di distanza, vi è la terra di Caltabellotta, dove un tempo era la vasta città di Triocala, a lato di cui dalla parte di Oriente e mezzogiorno vi sono due ponticelli chiamati Ghiaghiari ed Hargione che vogliono dire presidio e guardiola. Sopra più distanti vi è un’altra montagna grande di pietra massiccia chiamata Ghuagnola, che vuol dire fortezza; collaterale a questa in mezzo vi è un pizzone alto e grande, che sin oggi si chiama castello ove si ascende per mezzo di una porta ed una scala di pietra e sono fabbriche antichissime. Infine poi dalla parte di Occidente vi è un altro pizzone o sia collina chiamata Xgulegno che vuol dire monte d'oro, e dalla rupe e caverna di questo monte usciva e si nascondeva il serpe divoratore, poi discacciato da Pellegrino e subissato per sempre.
Cap. 3°. Nella città di Triocala donano a divorare i fanciulli vivi ad un feroce dragone
Era allora abitata la città di Triocala da perfida gente Saracina idolatra e per divino castigo di Dio erano vessati da un orribile dragone, che giornalmente usciva dalla caverna di quel monte, facendo strage e vendetta a chi per caso incontrava … piena fronte … fece gran danni agli animali e al bestiame e col tempo, inoltratisi vicino alla città, prese in preda gli abitanti, cibandosi delle loro carni, con spavento, confusione ed orrore di quei miseri e disgraziati cittadini. Non sapevano i meschini trovar modo ed arte per poterlo abbattere e distruggere. Fatto consiglio, Prefetto, Governatore e Magistrato di quella città, decisero d’imbussolare con polise tutti i fanciulli sia uomini che femmine, e quel misero pargoletto del quale a sorte nel giorno usciva la polisa, si andava a dare in cibo all’insaziabile dragone, il quale con urli spaventosi faceva rimbombare quell’aria e quei confini riempiendoli di spavento e confusione. E così chetavano l’insaziabile fame di quel maligno serpe; non accorgendosi quei miseri che col decorso dei tempi doveva far preda di tutti e distruggere anche tutti gli altri abitanti in Sicilia. Ma mossosi a pietà il misericordioso Dio di quella gente anche se idolatra, a riguardo di quei innocenti bambini, ispirò all’Apostolo Pietro di mandare in Sicilia quel gran campione e valoroso Pellegrino, per abbattere, vincere e distruggere la perfidia del paganesimo, sprofondare l’iniquo serpe, e piantare la vera fede di Gesù Cristo Signore e Redentore nostro. Questo si dice essere avvenuto l'anno quaranta dopo la morte di Gesù Cristo.
Cap. 4° S. Pellegrino fa viaggio per la città di Triocala
Mentre ardeva di desiderio nel suo cuore il buon vecchio Pellegrino per andare con premura alla città di Triocala, fattone consapevoli i suoi compagni e ad altri suoi affezionati, domandò licenza e postosi in barca venne a sbarcarsi nella spiaggia di Verdura, da dove per giunger in Triocala, vi era la distanza circa a dodici miglia di via. Fra tanto, confidando nella divina clemenza e bontà di Dio, si pose in cammino ed appoggiatosi al suo bastone, che in mano teneva, alla premura si partì per quella città. Nel mezzo quasi del cammino, il santo vecchio si vide accompagnato da un bellissimo giovane, il quale gli faceva di guida, e venne a pernottare vicino ad una mandria di pecore, che alcuni dicono essere stata nel feudo del pioppo. Lì quegli indiscreti ed infidi pecorai non vollero accoglierlo, anzi facendogli dei maltrattamenti, cercarono di farlo mangiare dai cani; ma il santo Pellegrino con somma pazienza offriva ogni cosa al Signore e stette tutta quella notte in continua orazione. Fattosi giorno intraprese Pellegrino il suo cammino verso la città e non volle andare dalle parti di sotto da dove gli veniva più vicina, ma volle andare dalle parti di sopra, per entrare vicino al monte Xghulegha, dove era il covile del maligno e diabolico serpe. Era ivi vicino alla città un folto bosco, dove giunto Pellegrino stracco e lasso dal viaggio si pose a sedere per riposarsi e pigliare un poco di respiro; nel mentre sopraggiunti alcuni ragazzi indomiti e senza fede, istigati dal Demonio invidioso che fremeva contro il suo rivale, avventandosi contro il pellegrino, come è solito fare ad alcuni maligni giovinotti, incominciarono a maltrattarlo ed ingiuriarlo e con pietre e con verghe gli diedero dei colpi; ma il Santo, sorridendo con pazienza, gli diede luogo, ed alzatosi con gran modestia e mansuetudine, uniformato al divino volere, entrò nella vasta città di Trincala.
Cap. 5° S. Pellegrino questua e chiede per carità un pezzetto di pane ad una donna e gli viene negato
Entrato che fu il buon vecchio e santo Pellegrino nella città di Trincala a lui destinata, stracco del cammino e carico degli anni, pervenne alla fine in quel luogo dove accadde un certo giorno questo
deplorabile infortunio ad un picciolo fanciullo, unico sollievo della madre, la quale unicamente lo amava. A questa donna, prima che il figlio fosse buttato per essere divorato da quell’in-
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saziabile dragone, avvenne un gran prodigio. Pellegrino aveva domandato ad essa, quando entrò nella nominata città, la limosina a nome di Gesù Cristo, perché mendicava di porta in porta il vitto, che per amore di Dio si procurava.
Cap. 6° La donna viene per sfornare il pane e lo trova in sassi convertito
La pietà e devozione di quella, ancorché non avesse trovato del pane per soccorre e sovvenire la necessità di Pellegrino, la spinse a portarsi frettolosa ad una vicina per prestarselo. Questa però, benché abbondantissimamente ne avesse, sentendo che doveva darlo al pellegrino, disse di non averne, autenticando la negativa con un falso giuramento; perciò, privo dell’elemosina, Pellegrino fu licenziato e se ne andò. Dopo poco intervallo di tempo, la spergiura femmina ritornò al luogo dove riposava il pane e quel medesimo che aveva con falso giuramento negato di avere, lo ritrovò cambiato in durissimi sassi, ancorché ritenesse la forma di pane.
Altri per antica tradizione dicono che Pellegrino chiese un poco di pane per elemosina allorché entrò la città, non da quella medesima donna a cui dopo giorni aveva liberato il figlio dalla morte del Dragone, ma che fosse stata un’altra donna la quale aveva fatto il pane in quel giorno e lo riteneva nel forno per cuocerlo. Nell’atto stesso che stava per sfornarlo ed uscirlo fuori, intese bussare la porta, dove andata trovò Pellegrino tutto umile e mansueto, che le domandò un pezzetto di pane per carità e la pregava a nome di Dio a fargli l’elemosina; quella gli negò di averne; ma importuno il vecchio le disse di averlo nel forno, che stava per uscirlo, e che gliene desse un pezzetto, che il suo Dio l’avrebbe remunerata. Ciò sentendo, la donna, gli disse: ma che Dio e Dio, va via vecchio insensato che io non ho pane da darti e così cacciatolo con poche parole, gli chiuse la porta in faccia e frettolosa se ne andò al forno. Allora il santo vecchio, avutane la negativa, senza nulla conturbarsi alzò gli occhi al cielo, uniformato al divino volere e se ne andò altrove.
Ritornata che fu al forno l’iniqua femmina, chiamò la serva per sfornare il pane che ivi era racchiuso per cuocerlo. Allora la serva con altri di casa, aperta la bocca del forno, invece di calore, videro uscirne umido e freddo. Non sapendone la causa, prese la pala e stendendola nel forno per tirarne un pane, stentò a metterlo sopra perché era assai pesante, onde steso il braccio dentro al forno, ne trasse uno fuori e lo vide in durissimo sasso mutato; e così tirati tutti gli altri si trovarono convertiti in perfettissime forme di pietra. Osservato il prodigio e grandissimamente confusa ed atterrita, la misera donna, conobbe essere questo castigo della falsa attestazione a Dio fatta e per i disprezzi e la negativa fatta al mendicante Pellegrino. Tutti quelli della casa, storditi e meravigliati dei fatti incominciarono a gridare e, correndo tutti i vicini, si riempì la casa di molta gente stupita ed ammirata dell’accaduto. D’un subito la donna, portandosi di casa in casa nella città, mostrava il pane fatto sasso con tutti i segni e le fessure fatti dal coltello; tutti si meravigliavano ed ella manifestava pubblicamente la causa del miracolo.
Or tanto il primo quanto questo secondo fatto che si racconta del pane convertito in duri sassi, sono d’opinione taluni che fossero successi ambedue a distanza di un giorno in diverse parti della città e che fosse stato fatto due volte questo miracolo del Santo pellegrino. Ma sia come si voglia, si vedono fino al giorno d’oggi, esposti alla venerazione dei fedeli, qui in Caltabellotta al nobile santuario di detto santo, nei giorni festivi, quattro di detti pani, con ammirazione anche di forestieri che vi concorrono. Anche nella felice città di Palermo ve ne sono altri quattro che si tengono in venerazione dei fornai, i quali tengono per protettore del loro lavoro questo santo vescovo Pellegrino.
Fu sufficiente motivo questo cambiamento del pane in pietra, con altri portenti operati dal santo vecchio, per convertire tutta quella gente idolatra alla fede di Gesù Cristo; e fu tutta disposizione di Dio di servirsi di questo mezzo per chiamare quella gente pagana ed idolatra al grembo di Santa Chiesa ed avere più credito il santo Pellegrino nelle sue apostoliche predicazioni che poi fece a quel popolo triocolitano.
Cap. 7° Stupiti del portento fanno cercare il Pellegrino e non lo trovano
Si diffuse quasi per tutta la città di Triocala il portentoso evento del pane convertito in duri sassi operato da uno scalzo e malconcio Pellegrino mendicante, nei riguardi di una indiscreta e bugiarda donna; e affollandosi per curiosità ogni ceto di persone venivano a vedere quel pane e se ne tornavano stupiti e meravigliati del fatto. Ne giunse la notizia alle orecchie del Prefetto e Governatore della città e di altri ministri e grandi della Corte. Informatisi chi fosse quella donna di cui era il pane, la fecero chiamare con detto pane alla loro presenza. Lì giunta, quella donna assieme con la sua serva, mostrarono, alla presenza di quel consesso, il pane mutato in pietra. Quelli, ammirandolo restarono stupiti e quasi fuori di sé e non sapevano darne spiegazione: chi diceva essere magia, chi diceva essere miracolo stupendo, chi diceva essere opera dei suoi dei e chi diceva una cosa e chi un’altra; alla fine parlò il Prefetto e domandò alla donna come era avvenuto il fatto e quella rispose: “Sappi o Signore che io mentre stavo al forno per tirar fuori il pane, intesi bussare alla mia porta che tenevo chiusa; andai ad aprirla e trovai un venerando vecchio, scalzo, con abito lungo ruvido e rappezzato, con un bastone alla mano; mi chiese del pane e, negandogli io di averne, egli mi disse che stavo di uscirlo dal forno e mi pregò insistentemente a nome del suo Dio di fargliene la carità. Io, in collera ed intrepida, gli dissi ma che Dio e Dio va via vecchio insensato, e chiusagli la porta in faccia, andai al forno e trovai tutto il pane convertito in duro sasso, come già stai vedendo. Rispose il Prefetto: “Ah questa non è magia né altro come voi sinistramente pensate; questo è un grande uomo; olà ministri ministri andate a cercare il Pellegrino e trovatolo portatelo alla mia presenza”. Allora ministri e satelliti andarono frettolosi a cercarlo, girando per tutta la città e per quanto fecero di diligenza non poterono ritrovarlo; credendo perciò che già se n'era andato altrove, tutti si calmarono e non se ne davano pensiero. La donna con la sua serva si ritirò nella sua casa, ma non cessò mai di reclamare e dir male del Pellegrino, facendo vive istanze di tribunale in tribunale, perché voleva giustizia e pagato il danno.
Cap. 8° Pellegrino si fa consegnare il bambino che doveva essere dato in pasto al dragone.
Arrivato il giorno stabilito nel quale doveva essere dato in cibo all'immane bestia un meschino fanciullo; e per disgrazia a sorte era stato scelto il figlio unico di quella madre a cui nel giorno prima, come dicono alcuni, il santo aveva chiesto un po’ di pane per l’amor di Dio. Quel mostro infernale era già uscito dalla sua tenebrosa dimora, tutto pavoneggiandosi, gonfio d’alterigia e dominio, con le pupille che vibravano minacce e spavento, con la voraginosa bocca aperta arsiccia di sanguefamelica di carne umana. Con le irsute squame, con l’avviticchiata coda e col superbo andare, si portava al determinato luogo dove soleva soddisfare l’insaziabile fame ed estinguere l’ardente sete di carne e sangue di bambini innocenti.
Già secondo il costume o per dir meglio secondo l’abuso, i ministri esecutori di una tale crudeltà, avendo con violenza strappato l’amato pegno dal seno materno, lo menavano con finte carezze per consegnarlo nelle branche di morte sì orrenda, qual’era l’essere divorato vivo. Or pensate voi le grida e i gemiti nei quali allora proruppe l’afflitta genitrice nel vedersi strappata l’unica pupilla degli occhi suoi e il diletto ed unico amore della sua anima quel pargoletto, che alcuni dicono essere stato di anni tre; e con quali singulti e lacrime scongiurava i suoi dei che non potevano darle nessun aiuto; comportamento confacente alle tenerezze delle viscere di una madre e madre d’unico figlio. Frattanto, quando quei crudeli ministri stavano per partire e portare via il fanciullo, tutti ripieni di timore e spavento nel vedere la bruttezza e agilità feroce di quel dragone, ecco l’aiuto di Dio pronto a chi veramente di cuore lo chiede: si presenta il venerabile vecchio e santo Pellegrino col suo bastone nella destra, giunge innanzi dell’afflitta donna piangente e mesta, e con animo generoso le dice: Non temere o donna; credi nel mio Dio che tutto può ed è onnipotente Creatore del cielo e della terra e vedrai oggi a suo nome distrutto il serpe e liberato tuo figlio; e se Davide con una pietra abbatté e vinse il gigante Golia, io col mio bastone conculcherò e vincerò l’inferno; e poi fattosi in mezzo a quei ministri, disse loro: “Di grazia, date a me questo fanciullo che porterò e darò a divorare a quel dragone”. Quelli allora contenti gli consegnarono il pargoletto nelle mani, e fra loro guardandosi l’un l’altro dicevano: “Chi è mai costui così ardito e coraggioso; forse è quel Pellegrino che ieri coi suoi incanti fece convertire il pane in vivi sassi? Vedremo a che gioverà oggi la sua magia. Allora il pargoletto, vedendosi diviso dalla madre, piangeva ed era confuso e non potevano calmarlo dai singulti e grida che faceva . Ma il santo vecchio, dandogli animo e speranza gli disse: “Deh taci o anima innocente che oggi vedrai la portentosa mano di Dio quanto potrà in tua difesa e di questo popolo miscredente e senza fede”.
Cap. 9° S. Pellegrino col fanciullo alla mano va ad incontrare il feroce dragone.
Pigliatosi S. Pellegrino il fanciullo per la mano e con la destra appoggiatosi al suo bastone, s’incamminò per andare incontro al gran dragone, il quale si dice essere invasato di un demonio chiamato Rufo o sia Raphael, e di chiunque faceva strage e vendetta, apportando terrore e spavento non solo agli uomini ma anche agli animali di quella terra, che al solo urlo spaventoso fuggivano tremanti e si nascondevano. Veniva accompagnato il santo vecchio da soldati armati, da ministri e concorso di altre persone e fra gli altri l’afflitta madre del fanciullo e parenti che piangevano la disgraziata morte che doveva succedere al piccolo e grazioso pargoletto. Alcuni lo seguivano da lontano per pura curiosità e dicevano: “Oh che insensato Pellegrino; or vedremo al cimento come il grande e forte dragone preda farà e del vecchio e del fanciullo; e guardando da lontano erano spettatori del fatto. E mentre il santo vecchio si avvicinava a passi lenti, con magnifica presenza e con volto sereno, risplendente, giulivo e sorridente, scendeva dal monte il maligno serpente, credendosi già sicuro di divorare il delizioso e desiderato alimento, com’era solito in quell’ora destinata; e per allegrezza tripudiava e con i salti che per la festa faceva, causava grandissimi strepiti e rumori. Ma fattosi poi più da vicino e scorgendo il santo vecchio, si cambiò la scena, poiché s’intimorì talmente che incominciò a tremare e spaventandosi si rivolse a terra e, fremendo, spumando e urlando, con l’ali ribatteva e percuoteva il suolo, causando col suo rumore timore e confusione agli spettatori; ed ivi trattenutosi non ebbe più ardire di passare più oltre. Ma Pellegrino, intrepido e sempre fidando in Dio, procedendo avanti, al dragone liberamente offriva il fanciullo in cibo; e il dragone urlando strepitosamente pareva che buttasse fuoco dagli occhi e dalle narici e, ritornandosene indietro per quella salita del monte, portò il santo fino alla grotta ov’era il suo covile. Allora quelli che lo seguivano, pieni di terrore e nel medesimo tempo stupiti e meravigliati come il feroce dragone alla sola veduta di Pellegrino aveva perduto il suo solito vigore e fortezza, lo seguivano da lontano; altri, stupiti, fuggirono e parlavano fra di loro pensando che là nella grotta il serpente avrebbe non solo fatto strage di Pellegrino e del fanciullo, ma anche divorato i circostanti e quanti sarebbero intervenuti. La madre del fanciullo ad altri parenti, animati e incoraggiati dal santo Pellegrino, gli furono sempre appresso seguendolo, non curandosi delle grida, ferocia e bruttezza del serpe; l’amore che portava al figlio faceva immemore la madre del pericolo e della morte.
Cap. 10° S. Pellegrino sprofonda il Dragone e libera il fanciullo.
Quando il gran dragone condusse il suo nemico Pellegrino fino nella sua grotta e si rifugiò nel fondo di quella spelonca, il santo, col piccolo fanciullo alla mano , s’avvicinò al dragone, che con la bocca aperta mostrava le rabbiose e acute zanne e i denti molari, e con le zampe voleva tentare di sbranarlo. A questo spettacolo per il terrore molti se ne fuggirono, ma altri più coraggiosi si fermarono all’entrata della caverna per vederne la fine, credendo che il serpente pieno di furore dovesse divorare il Pellegrino e il fanciullo e quanti erano presenti. Il serpente, facendo in questa lotta gli ultimi tentativi, con lo sforzo della bocca spalancata, sperava di afferrare per divorarlo il bramato fanciullo che quello gli mostrava. Ma restò in tutto deluso, perché allora il santo Pellegrino, segnandosi col segno della santa Croce, a nome di Dio, nell’aperta bocca gli conficcò il bastone che teneva nella mano, e con l’altra protesse il fanciullo, il quale atterrito e spaventato mandò dalla bocca un forte grido. Il santo vecchio conculcò col piede e abbatté col bastone il gran dragone, che strisciò velocemente nella spelonca, e lo precipitò da un buco, gettandolo giù da quella scoscesa balza e serrando poi quell'apertura. D’allora innanzi il serpente non ebbe più ardire d’uscire a far pompa di sé.
La povera madre del fanciullo, che ivi poco distante con altri parenti si trovava, al rumore strepitoso, ai ruggiti del dragone che rimbombavano per quella grotta e al grido spaventoso del figlio suo unico bene, credendo che il dragone l’avesse divorato, gridò anch’essa dicendo: “Figlio mio, mia cara gioia, mio caro pegno, mio unico bene, e così dicendo quasi svenne, graffiandosi la faccia, tirandosi i capelli e battendosi con pugni il petto; fu trattenuta dai parenti, i quali anche con singulti e sospiri piangevano dirottamente per questa sì spaventosa tragedia. Tutti gli altri che ivi erano venuti e che stavano da lontano per vedere la fine della vicenda, credendo che già certamente il serpente avesse sbranato il vecchio, il fanciullo e quelli che là vicino si trovavano, giudicandoli come estinti e morti, si diedero velocemente a correre per quelle balze e monti. Vedendo questo gli altri cittadini si misero quasi tutti in subbuglio, atterriti e confusi. Molto più li faceva dubitare la dimora di quei parenti che erano andati col fanciullo e non erano discesi in città da diverse ore; e perciò timorosi stavano in aspettativa e sollecitudine di conoscere la fine della vicenda.
Cap. 11° S. Pellegrino consegna il fanciullo liberato alla madre
Allora il santo vecchio Pellegrino dopo aver sprofondato quel diabolico dragone e salvato la vita a quell’innocente fanciullo e nello stesso tempo liberato quel popolo dalla devastazione dell’iniquo serpente, postosi ginocchioni in quello stesso luogo ed innalzando le mani al cielo, rese grazie al grande Dio, baciando molte volte la terra in segno di ringraziamento. Poi si alzò e col fanciullo liberato andò a ritrovare la madre e i suoi parenti, che si erano allontanati da quel luogo e che senza contenersi piangevano la perdita del fanciullo credendolo già morto. Allora il santo Pellegrino chiamò quella donna e le consegnò il figlio vivo, dicendole: “Donna ecco il tuo figlio liberato; non più lacrime non più sospiri, non più timori. E voi gente rallegratevi, è morto il dragone, né ha più possanza Raphiel; rendete grazie al mio grande Dio e ad Egli solo date l’onore e la gloria.
Vedendo l’afflitta e sconsolata donna consegnarsi da Pellegrino il figlio vivo e senza alcun danno, corse con le braccia aperte ad abbracciarlo; e così anche il fanciullo abbracciò il collo della madre e mostrava sentimenti di giubilo e consolazione. Anche tutti gli altri erano pieni d’allegrezza, attoniti e stupefatti d’un sì gran portento, sia per la liberazione del fanciullo a cui restò il nome di Liberato, sia anche per la distruzione del drago; e umiliati tutti si buttarono ai piedi del santo liberatore e con veemenza di cuore lo ringraziarono. Allora Pellegrino sciolse la lingua per lodare Dio e, ringraziandolo di tanti benefici ricevuti, fece un sermone, istruendoli nella fede e legge di Gesù Cristo e poi li licenziò, dando loro la sua benedizione; e i primi che si convertirono e ricevettero il santo battesimo furono Liberato, la Madre e gli altri suoi parenti.
Il santo Pellegrino rimase in quella stessa montagna che sin oggi si chiama Ghulega, che scelse per sua abitazione; e salendo sopra quella grotta ove sprofondò il dragone, trovò un’altra grotta più piccola, ed ivi si pose a fare orazione e vita santa eremitica. La madre col figlio accompagnata da servi e parenti se ne scesero alla città tutti lieti e contenti e raccontarono il prodigio meraviglioso operato da Pellegrino. Corsero molti in folla per sentire il fatto accaduto; specialmente quei curiosi spettatori, i quali credevano che il dragone avesse fatto preda ed eccidio di Pellegrino, il fanciullo, la madre, i parenti e gli altri ancora che erano rimasti nel monte; restarono quindi storditi e quasi immobili in sentire raccontare tutto ciò che era successo per virtù del gran Pellegrino ed in vedere liberato e vivo il fanciullo.
Cap. 12° S. Pellegrino converte i “Saraceni” infedeli e li battezza.
Non si può dire quale fosse la consolazione di quella madre per la liberazione del suo unico amato figlio; né spiegare si potrà il giubilo e la contentezza che provò il popolo Triocolitano per essere liberato ed esente dall’orribile giogo ed invasione di quel feroce dragone e dalla morte. Le madri coi loro figli e i bambini di tenera età facevano festa, sentendo il successo vittorioso di Pellegrino, che riempì i petti di quella città e di quei popoli d’allegrezza indicibile. Corsero quasi tutti a ringraziare e gridare “viva” a Pellegrino, e sicuri e senza timore salirono quel monte e si accertarono che il drago veramente era morto e sprofondato nel cupo abisso. Vennero a ritrovare il santo Pellegrino che si era ritirato in quella grotta, la quale di dentro e fuori era piena di uomini e donne, allora a folla accorsi. Il santo vecchio, presa la croce in mano, incominciò a predicare la fede ed il Vangelo di Gesù Cristo, istruendoli bene nei dogmi della religione cattolica; e sentendo che quelli costantemente credevano tutto quello che egli predicava, li battezzò e fece cristiani.
Venne la madre col figlio Liberato e si portò ai piedi del santo assieme ad una moltitudine di persone, uomini e donne, grandi e piccoli, i quali convertiti alla fede furono battezzati e fatti cristiani. Ed i primi che si battezzarono fu la madre col figlio Liberato, la quale portò un po’ di pane ed altre cosette da mangiare per ristorare le indebolite forze del santo Pellegrino, che non prese altri doni e regali che alcuni gli volevano dare, offrendoglieli in segno di gratitudine e beneficenza, eccetto qualche piccolo pezzetto di pane, che accettò per elemosina e carità. Accorse poi il rimanente del popolo a buttarsi ai piedi di Pellegrino, ringraziandolo di sì gran beneficio, ed il santo, rivolgendosi a loro, disse: “Non ti meravigliare o popolo mio diletto di ciò che avete veduto e del pane di pietra e del dragone distrutto; non sono stato io che l’ho fatto, ma è stata la virtù dell’invocazione del solo nome potentissimo del mio Signore Gesù Cristo, il quale nacque da una Vergine, patì e morì in croce per redimere il mondo. Il mio Dio è onnipotente vivo e vero e colui che crederà in lui e si battezzerà sarà salvo”. Ciò detto, li istruì bene nella santa fede, li battezzò e si fecero cristiani.
Cap. 13° S. Pellegrino nell'eremitorio fa penitenza e parla con l'Angelo
Avendo dato loro licenza il santo Pellegrino di ritirarsi nelle proprie case, fece ringraziare il grande e misericordioso Dio, diede ad essi la sua pastorale benedizione, e contentissimi ritornarono. Non lasciavano frattanto di giorno e di notte di visitarlo in quella grotta ove egli si era ritirato, e che aveva destinato per sua abitazione. Non faceva altro il santo vecchio in quella aspra ed umida grotta che stare in continui esercizi di orazione, di penitenze e di profonda meditazione, davanti ad una croce, che ivi aveva collocato ed eretto come un altare; e tante volte, venendo quelli a visitarlo, lo trovavano rapito in estasi e sollevato da terra, ed altre volte si trovava circondato di lume divino, e lo sentivano parlare con uno che quelli non vedevano, e che si giudica essere l’Angelo di Dio. Dormiva sulla dura terra, in continui digiuni, mortificazione ed asprezze del suo proprio corpo. Amava la solitudine, era umile, prudente, caritativo col prossimo, paziente nelle avversità, affabile nel conversare, dolce nel parlare, dotto, santo ed adorno d’ogni virtù. Era di buona statura, di bella e splendida faccia, di bella presenza, venerabile e degno di essere amato da tutti.
Si dice che quando capitò nella Sicilia fosse stato in età di anni quaranta circa, e che sia morto in età di anni settanta circa; perciò vi dimorò quasi trent'anni, sempre predicando, catechizzando e convertendo anime a Dio.
Si vede ancora fino al giorno d’oggi che in quella grotta, ove il santo Pellegrino sprofondò il dragone, vicino al buco, nella viva pietra vi è l’impronta della pianta del piede del santo, con tutti i lineamenti, come se fosse stato impressa in morbida creta; ed in venerazione gli antichi gli costruirono una cappelletta, e sin al presente dì si venera dal popolo e da chiunque vi accorre, per ammirare quell’impronta miracolosa di piede ignudo stampato nel duro sasso. Ancora si vede il buco ove fu sprofondato il serpente; questo buco fu poi ostruito dagli antichi, decorato con intagli e trasformato in una sepoltura con grata di ferro e chiuso con una lapide.
Cap. 14° S. Pellegrino confuta gli infedeli e li converte alla santa fede
Corse la fama della santità e dei prodigi operati da Pellegrino per tutta la città di Triocala e in altre parti vicine, e fra gli altri, avendone sentore Tribuno, Prefetto, Ministri e Sacerdoti dei loro dei, mandarono su il monte a prendere Pellegrino, che con fasto e vittoria, come loro liberatore, si portasse alla loro presenza. Il Santo vecchio, umilissimo ed obbediente, non volle andarci con fasto e tripudio, perché quell’onore si doveva a Dio solo da cui tutto dipende; prese il suo bastone alla mano e, com’era suo solito, a passi lenti e scalzo, accompagnato da soldati ed altra gente, si portò alla corte, ove essendo giunto, umilmente riverendoli, alla loro presenza s’inginocchiò. Avendo il Prefetto e i Ministri osservato la gran santità ed umiltà di Pellegrino, stupiti e sopraffatti dal suo andamento e comportamento, lo fecero alzare e sedere assieme a tavolino. Interrogato della nascita, patria, legge e come vi era venuto pellegrino, rispose essere nato gentile in Lucca della Grecia, abitante in Roma, seguace dell’Apostolo Pietro, Principe e capo della Santa Chiesa, da cui ricevette il lume della santa fede, fu battezzato e diventò cristiano. Fui mandato, disse egli, dal Santo Apostolo Pietro illuminato dallo Spirito Santo, in questo regno di Sicilia, per predicare la nuova e vera fede di Gesù Cristo, annunciare il suo santo Vangelo, distruggere i demoni e piantare la croce e i misteri di nostra redenzione. E chi crederà e osserverà tutto ciò che vi dico, in fine avrà la vita eterna. Fatto poi un sermone alla presenza di tutti, spiegò loro il mistero della SS. Trinità, Dio uno in essenza e trino nelle persone, onnipotente Creatore del cielo e della terra, remuneratore del bene col paradiso e punitore del male con l’inferno. Disse che la seconda di queste tre divine persone si fece uomo nel purissimo seno di Maria Vergine, concepita senza colpa originale, nacque, patì e morì in croce per redimere il genere umano; il terzo dì dopo la morte resuscitò e salì al cielo e siede presentemente alla destra del suo Eterno Padre. Ciò sentendo, tutti ammirati, tocchi dello Spirito Santo e della divina parola e compunti di vero cuore, credendo tutto ciò che diceva loro Pellegrino, buttatisi ai suoi piedi, chiesero di vero cuore perdono, si battezzarono e fecero cristiani.
Cap. 15° S. Pellegrino guarisce molti infermi ed ossessi da demoni
Era il santo Pellegrino vestito di ruvida e lacera tonaca di lana, cinto di corda, con piedi scalzi, di capelli e barba canuta, umile, macilento e di poche parole; portava nel petto una piccola croce e il libro del santo Vangelo scritto dagli Apostoli e datogli da S. Pietro, ed alla mano sempre teneva il suo bastone. Fu accolto con applausi e tripudi da tutto quel popolo che lo ringraziava incessantemente dei benefici che gli aveva fatto e del lume ricevuto della vera e santa cattolica fede. Alcuni però miscredenti ed ostinati, ministri dei falsi dei e amici del diavolo, si opposero a tutto ciò che predicava Pellegrino e cercavano di screditarlo presso il popolo e mandarlo via vituperosamente da quella città, sebbene avevano l’obbligo come loro liberatore dalla morte, non solo dico dalla temporale, ma anche dall’eterna. Ma Iddio che mai lascia perire o abbandona i suoi servi, fece più e più accrescere la fama, virtù e santità di Pellegrino. Si trovarono in quello stesso tempo in mezzo a quella moltitudine di persone due ossessi dei demoni, che scoprirono chi era Pellegrino e che aveva detto la verità, onde facendo gran fracasso e rumore e gridando ad alta voce dicevano: “Il Pellegrino ci caccia, il Pellegrino ci caccia”. Allora il santo vecchio fece il segno della Santa Croce e da quei corpi tormentati uscirono i diavoli, che dicevano: “Il vero Dio è quello che adora e predica Pellegrino. A questo spettacolo accorsero i ciunchi e stroppiati (paralitici) e ne ricevettero la sanità; così anche gli infermi ed ammalati ricorsero a Pellegrino ed ebbero la pristina salute; i ciechi, sordi e muti anche ebbero fatta la grazia, a confusione di quei maldicenti, dei quali molti compunti si convertirono alla santa fede di Gesù Cristo; e quelli che ebbero recuperata la sanità, ne ringraziarono il Signore Dio ed assieme a tutti gli altri del popolo gridarono “viva Pellegrino nostro santo padre e liberatore”. Trascorso quasi il giorno, i Ministri e il Prefetto, fatto sedare il tumulto del popolo che a folla veniva a chiedere grazie da Pellegrino, li fecero tutti ritirare nelle loro case e poi con soldati verso sera, fece accompagnare il santo eremita Pellegrino fino al monte ove era la sua abitazione. Tutti restarono stupiti e meravigliati dei miracoli e portenti operati in un solo giorno, che furono motivi in più per confermarsi nella santa fede cattolica e cristiana.
Cap. 16° S. Pellegrino distrugge gli idoli, i sacrifici e le vane osservanze.
Un giorno, poiché correva dappertutto la fama della santità e dei prodigi operati dal santo vecchio Pellegrino, fu chiamato dal sommo sacerdote dei falsi dei, per conoscerlo e parlare con lui. Fu condotto il santo in quell’infame e vituperoso tempio, ove si davano incensi, si facevano sacrifici agli idoli e ai falsi numi. Entrato che fu Pellegrino, prima che si incontrasse col sommo sacerdote ed altri ministri, alzando il suo portentoso bastone, al solo comando a nome di Dio, fece cadere a terra in pezzi tutti gli idoli, infami ed ingannatori di quel tempio, dal quale cacciò via i demoni, che confusi gridando se ne andarono, restando spaventati ed atterriti tutti quanti ivi erano; poi, voltatisi al sommo sacerdote lo rimproverò dicendogli: “Ecco distrutti i vostri dei, demoni fallaci ed ingannatori, e gli idoli opera di mano d’uomo. Ecco che, a nome del mio Onnipotente Signore, sono buttati a terra e ridotti in cenere”. Allora il sacerdote tremante e confuso gli rispose: “Vedo o Pellegrino quanto sei possente nella tua virtù e quanto è grande e onnipotente il tuo Dio, mentre i nostri dei sono demoni bugiardi e ingannatori, ai quali vanamente abbiamo prestato fede e dato incenso e culto; or dimmi di grazia chi ti rivelò e diede cognizione di questo vero Dio che adori e per mezzo del quale operi tanti portenti e miracoli”. Gli rispose Pellegrino: “Sappi che io nacqui gentile nella Grecia come sei tu e la divina misericordia mi illuminò e chiamò al grembo della santa fede cristiana per mezzo della predicazione dei Santi Apostoli, il di cui capo è l’Apostolo Pietro oggi pontefice e vicario di Cristo in Roma e uno dei di lui discepoli che apprese la legge e fede che io predico; egli mi mandò in questa Trinacria e mi consacrò vescovo di questa Triocala di cui ho cura, per distruggere gli idoli, cacciare i demoni, debellare le eresie, piantare la fede e dare culto al vero Dio il quale è onnipotente Creatore del cielo e della terra. Nel suo nome ho distrutto il feroce serpe, e fatto altre opere che hai inteso e sentirai; tutte sono opere di questo Dio che adoro e venero”. Allora prostrato ai piedi del santo quel sacerdote, assieme agli altri che erano in quel tempio, umiliati e contriti, lo pregarono di spiegare loro i misteri della fede.
Cap. 17° S. Pellegrino pianta la Santa Fede e dona il vero culto a Dio.
Sentendo il popolo che Pellegrino col solo tocco del suo bastone aveva distrutto gli idoli del tempio, accorsero lì specialmente quelli che si erano convertiti alla santa fede. Vedendo che anche i sacerdoti, i ministri e i capi dei loro templi e “moschee” erano convinti e quasi convertiti alla santa fede, ne provarono piacere e ancor di più s’animarono ed accesero nell'amore di Dio. Nello stesso tempo Pellegrino animosamente e pieno di Spirito Santo, salì sopra di un altare e incominciò a predicare a quel popolo la fede e legge di Gesù Cristo vero Messia. Disse loro anche che era nato e cresciuto nella gentilità (paganesimo), com’era stato di tanti, avvolti nelle tenebre dell’ignoranza, dell’idolatria e della morte, ignorando il vero grande Dio. Ma per mezzo della predicazione dei santi Apostoli, assieme a molti altri, aprì gli occhi al vero lume, e si convertì alla fede santa, vera e stabile di Gesù Cristo. unico Figliuolo di Dio, il quale sceso dal cielo prese carne umana, fu concepito per opera dello Spirito Santo nel sacro ventre d’una Verginella, nacque al mondo, patì e morì in croce per redimere il genere umano dalla schiavitù del peccato. Risuscitato dai morti, glorioso e trionfante salì al cielo e da lì dovrà venire un'altra volta da Giudice alla fine del mondo, per giudicare li buoni e i cattivi, alla di cui presenza dobbiamo tutti risorgere in anima e corpo immortale; e dopo i buoni Cristiani e servi di Dio andranno per sempre a goderlo in paradiso ed i cattivi che non seguono la legge e la fede di Cristo andranno per sempre ad ardere con i diavoli nell’inferno. Pellegrino spiegò molte altre cose e i misteri della nostra santa Fede, per cui tutti si convertirono a Dio, abiurarono e detestarono gli idoli, l’infedeltà, la vana osservanza, le eresie, le superstizioni ed ogni altro errore; e distrutti gli altari e le false cerimonie degli idoli abbracciarono la fede cristiana e la legge di Gesù Cristo, e si fecero veri fedeli Cristiani. Allora Pellegrino fece fabbricare nuovi altari e nuove cappelle e nuove chiese, li benedisse ed in ognuna collocò l’immagine di Gesù Cristo Crocifisso. Così piantò la vera e santa fede e diede il culto al Dio del cielo e della terra, Padrone, Signore e Creatore di tutto. Poi il sommo sacerdote venerò e offrì incenso al Crocifisso e poi, spogliatosi dalle sue vesti, lasciò la carica a Pellegrino, il quale come vero e legittimo sacerdote, offrì l'incenso a Dio e al Crocifisso, immagine del suo figlio morto sulla croce. Espose anche una figura (icona) di Maria Vergine Madre di Dio al culto e venerazione di tutti, che si fece fare da un pittore. Così, lasciati tutti contenti e consolati, egli se ne salì al monte per ivi ritirarsi nella sua grotta, ove fece orazione ringraziando incessantemente la misericordia e bontà di Dio.
Cap. 18° S. Pellegrino nella grotta è tentato e percosso dai demoni.
Ritiratosi nuovamente il santo Pellegrino in quell’aspra grotta, tutto stracco e lasso per le gran fatiche e i travagli sofferti a pro e beneficio del suo popolo triocolitano, si pose ginocchioni ringraziando Dio per aver illuminato le tenebre della mente e la durezza del cuore di quei ciechi ed infedeli “Saraceni”, aver operato tanti portenti e meraviglie per mezzo del suo servo ed averli chiamato e condotto alla santa fede cattolica e fatti cristiani per mezzo del lavacro del santo battesimo. Si pose in profonda orazione, pregando Dio per l’aumento della santa fede ed esaltazione della santa Chiesa Apostolica e Cattolica Romana. Il Diavolo superbo ed invidioso fremeva contro di Pellegrino, vedendo che gli aveva tolto tante anime, conducendole per la via del cielo, e si mordeva per rabbia; e non sapendo che fare contro il santo vecchio, convocò tutti gli spiriti infernali, al fine d’assaltarlo e farlo cadere in disperazione, giacché non aveva potuto vincerlo mai con altre tentazioni e cattive suggestioni suscitate nella sua mente. Perciò sotto varie forme di donne ignude e lascive, di brutte fantasie e sotto specie di orribili dragoni e spaventosi serpenti, vennero ad insidiarlo in quella grotta. Ma il santo, forte e costante, si voltò verso la croce che ivi fissa teneva e poi presa la disciplina alle mani, incominciò a battersi così fortemente che giunse fino allo spargimento del proprio sangue; ciò vedendo i demoni che non potevano resistere di fronte a Pellegrino, confusi e tremanti e come disperati si partirono lasciandolo solo. Andarono l'indomani secondo il solito alcuni devoti ed affezionati per visitare il Santo Pellegrino e lo trovarono prostrato a terra quasi morto. Non sapendo qual'era il motivo e non potendo avere spiegazione dalla sua bocca, lo costrinsero a portarsi in città; il che egli ricusando, sopraggiunsero degli altri buoni fedeli ed a forza se lo portarono in città, dove giunto il santo si mise a predicare ed esortare il popolo ad essere forte e costante nella fede e fuggire le tentazioni e gli assalti del Demonio. Dopo che poi comunicò ad uno de sacerdoti ciò che aveva patito in quella notte combattendo coi demoni, ancor più si rese manifesta la santità del nostro forte e costante Pellegrino.
Cap. 19° S. Pellegrino è fatto Vescovo ed ordina sacerdoti e li fa ministri degli altri sacramenti
Si portò Pellegrino alla nuova chiesa che egli aveva fabbricata, benedetta e consacrata, dove convocò tutti i grandi e maggiori della città; ivi fu vestito con abiti ed insigne vescovili e col consenso, piacere e volontà di tutto il popolo triocolitano, fu accettato per loro degnissimo prelato. Egli adornò il tempio le chiese e gli altari di utensili e addobbi sacri. Distinse gli ecclesiastici dai secolari; aumentò i ministri della chiesa e gli assistenti al santuario; insegnò le cerimonie e le funzioni della chiesa. Decretò e stabilì i sette sacramenti istituiti da Gesù Cristo, ordinò sacerdoti con altri ordini sacri; e decretò molte altre cose a favore della chiesa e dello stato ecclesiastico, servendosi dell’ampia potestà datogli dal Pontefice ed Apostolo S. Pietro. In questo modo accrebbe il culto e l'adorazione del vero Dio e condusse quel popolo alla fede cristiana.
Essendo dunque Pellegrino prelato, fece fare i sacri vasi d'argento per uso dell’altare e per il santo sacrificio, ed egli quasi giornalmente celebrò la santa messa devotamente, con assistenza e venerazione dei novelli fedeli, i quali, essendo fermi e stabili nella fede, si andavano a confessare con i sacerdoti ai quali aveva delegato la potestà il santo vescovo, mentre egli dava loro la santa comunione.
Non cessava frattanto ogni giorno di predicare e ammonirli nella esatta osservanza della divina legge e comandi di Dio, cosicché col suo saggio comportamento e il dolce parlare, e con l’aiuto del divino Spirito estirpò affatto il paganesimo e le vane osservanze, distrusse tutti i loro vizi e peccati e li portò a tale stato che di vile piombo che erano li ridusse e perfezionò in finissimo oro.
Li infiammò poi nell’amore di Dio e nella devozione e adorazione del divinissimo sacramento eucaristico. Si dice anche che il santo prelato Pellegrino aveva fatto fare un quadretto della Santissima Vergine Maria Madre di Dio, che espose alla venerazione di tutti, fissandolo all’altare; onde il santo Pellegrino fu il primo che rispettò e venerò quella Signora e ne introdusse la devozione dei fedeli in questo nostro regno ed isola di Sicilia.
Cap. 20° S. Pellegrino da Prelato predica ed istruisce il suo popolo.
Cresceva di giorno in giorno il fanciullo Liberato alla madre, la quale trasecolava per la consolazione e divenne qual fama di più oricalchi (come una sonora tromba) nel divulgare la liberazione del figlio avuta per mezzo del santo vecchio Pellegrino, e similmente nel raccontare la totale mutazione del pane in perfetti marmi e gli altri prodigi e miracoli operati dal medesimo a favore e bene del suo popolo, da cui era acclamato come un gran santo e uomo di Dio degno d’infiniti meriti. Maggiormente aumentandosi il giubilo di quelli, con mille benedizioni esclamando ringraziavano Iddio a cui erano nati per mezzo del santo Battesimo, e che tanto si era compiaciuto nel suo servo Pellegrino, dicendo pieni di lacrime di allegrezza: “Benedictus Dominus Deus, qui nos ab immani bestia et mortifera liberavit per suum servum Peregrinum”.
Il motivo poi per cui il Santo Pellegrino si scelse quello stesso luogo ove dimorava il maledetto dragone per sua abitazione, ed ivi volle stare consumando il rimanente della sua vita, fu primariamente per levare via il timore di quelli assicurandoli della già fatta liberazione. Il secondo motivo fu per ritirarsi dal mondo e stare solitario e non essere distratto dalle pie e sante meditazioni, le lunghe e fervorose orazioni, le ardue frequenti penitenze, i continui digiuni e mortificazioni e le quotidiane astinenze e lacerazione del suo corpo.
Fu sempre Pellegrino vigilantissimo pastore delle sue pecore ed ebbe cura di difenderle dalle branche dei lupi; non cessò mai di predicare, d’ammonirli, catechizzarli e d’istruirli sempre nei rudimenti di nostra santa fede e nelle verità eterne. Andava anche di giorno con un Cristo alle mani predicando e convocando i fanciulli, grandi e piccoli; e tutti accorrevano, seguendo il loro santo Pellegrino che ascoltavano con attenzione e devozione e poi se ne tornavano a casa contriti, umiliati ed infiammati di amore di Dio.
Si dice che Pellegrino fu prelato in Triocala per lo spazio di anni trenta ed altri dicono più, e dopo di lui ebbe quella città altri cinque vescovi, uno dei quali si dice essere stato quel fanciullo Liberato dalla distruzione del drago scacciato dallo stesso Santo, e che fatto vescovo morì da santo.
Non si fa menzione del padre di Liberato, che forse si pensa essere morto in quel tempo nel paganesimo; ma la madre, i parenti e gli altri convertiti alla fede si crede essere morti da buoni Cristiani.
Cap. 21° S. Pellegrino è maltrattato e tormentato dai nemici invidiosi
Nello stesso tempo che governava da vescovo in Triocala il Santo Vecchio Pellegrino e mentre la città godeva la pace e quiete d’una vera santità, il santo vecchio com’era suo solito se ne stava solitario nella grotta. Ma il diavolo invidioso che superbamente fremeva di sdegno e di furore non solo contro Pellegrino, ma contro tutta la Cristianità fedele seguace di Gesù Cristo, mosse una fiera tempesta in Roma contro i Cristiani, e per comando del perfido e crudele Nerone, furono martirizzati gli Apostoli S. Pietro e S. Paolo. Dopo, essendo perseguitata ovunque la santa fede, s’introdussero alcuni potenti nemici nella nostra Sicilia, che uniti con altri infedeli ed eretici, vennero in Triocala ad inquietarla, e con minacce e lusinghe tentavano d’atterrire i cristiani e rimuoverli dalla ferma e costante fede in cui erano. Poi recatisi sul monte dove era il Santo Prelato, si appressarono alla grotta ed entrati con furia presero il santo Vecchio e legatolo con funi, con strapazzi e percosse lo trassero fuori. Fatto poi un gran fuoco, lo buttarono in quelle fiamme; così si dice per tradizione, ma non consta che sia stato martirizzato, mentre alcuni vogliono e sono d’opinione che sia morto da martire sullo stesso monte. Invero non morì da martire, e gli infedeli lasciatolo in quel fuoco se ne andarono via. Pellegrino, alzatosi da quelle fiamme illeso ed immune, ne ringraziò il Signore e tornatosene nella grotta sua abitazione si pose in orazione pregando per il suo popolo fervorosamente al Signore. Mentre quegli eretici ed infedeli stavano saccheggiando Triocala , per volere di Dio e per le preghiere che faceva il santo prelato, armatisi tutti i cittadini, a nome del Signore li trucidarono tutti facendoli a pezzi. Questo fu il motivo che dopo la morte di S. Pellegrino, passati molti anni, i R(omani?) distrussero la gran città di Triocala e la piccola Cartagine [Eraclea Minoa]. Poi alcuni del popolo che il santo Vescovo suo liberatore credevano bruciato sul monte, vennero per compiangerlo credendolo morto; ma ritrovatolo vivo ed illeso, se ne rallegrarono molto ed andati alla città assieme col santo, trovarono che con alleallegrezza stavano bruciando i cadaveri di quegli eretici, come essi avevano creduto che era stato bruciato S. Pellegrino. Egli fece ad essi una gran predica, esortandoli a stare sempre forti e costanti nella santa fede e confidare sempre in Dio.
Cap. 22°. Morte santa e preziosa di S. Pellegrino.
Or giunge il tempo che l’Apostolo di Sicilia il nostro S. Pellegrino doveva lasciare questa mortal vita, per andare a godere lassù nel cielo i frutti di tanti suoi patimenti e fatiche sofferti con tanto amore verso Dio ed a beneficio delle anime specialmente del popolo triocolitano. Gli fu rivelato dall’angelo il giorno che egli doveva salirsene al Paradiso. Si crede che il Santo Vecchio sia stato ammalato con febbre e che il popolo fedele non lasciava di giornalmente visitarlo e soccorrerlo nelle di lui necessità. Vedendosi vicino alla morte, si preparò e secondo l’opinione comune fu munito dei santi Sacramenti ed assistito dai sacerdoti che mai lo lasciarono. Egli dunque se ne stava a giacere su di un piccolo lettuccio formato di pezzi di legni, pietre e poco paglia su la dura terra, in quella umida e fredda grotta; il Demonio facendo l’ultimi sforzi per assaltarlo, abbatterlo e vincerlo, oltre le varie apparenze, gli portava molte suggestioni vane alla mente. Ma il santo Pellegrino forte e costante, con volto risplendente e sereno, si prese una croce alla mano e poi stringendosela al petto e baciandola molte volte, alzando gli occhi al cielo, disse: Pater in manus tuas commendo spiritum meum; e dicendo Gesù e Maria spirò la sua bell’anima nelle mani di Gesù e Maria, assistito anche dal Patriarca S. Giuseppe, l’Apostolo S. Pietro, S. Michele Arcangelo e l’Angelo suo Custode.
Non può spiegarsi quale sia stata la pena e il dolore di quel popolo, che avutane notizia, corse a folla piangendo e sospirando su quel monte per baciargli le sacre mani. Essendo morto su quel letto, lo lasciarono per tre dì insepolto al fine di venire tutti a visitarlo: Né potevano contenersi dalle lacrime, che quasi soffocati dal pianto dicevano: “E’ morto il nostro re, il nostro liberatore, il nostro condottiero, il nostro benefattore, il nostro degnissimo Prelato, il nostro gran S. Pellegrino… Fecero poi le esequie e funerali come meglio poterono.
Dopo tre dì, lo seppellirono vicino alla chiesa poco distante, di cui non si ha notizia. Dopo qualche tempo si dice che le sue reliquie furono trasportate in Lucca della Grecia dove sono venerate; in questa città restò un osso della sua sacra spalla, che oggi si venera in una teca d’argento.
Cap. 23° S. Pellegrino difende il popolo di Caltabellotta
Dopo la distruzione della nobile e famosa città di Triocala, che si dice essere assaltata ed assediata dai Romani, molti anni dopo la morte del Santo Vescovo Pellegrino e per li grandi terremoti che allora in quei tempi vi furono da per tutta la Sicilia, la maggior parte di quella città si rovinò e distrusse. Ma dopo il decorso dei tempi, essendo rifabbricata e riformata in parte e posseduta da nobili Principi e Duci, acquistò il nome di Caltabellotta, che sino ad oggi conserva il memorabile nome e le vestigia di quell’antica città. D’allora in poi i Caltabellottesi con ragione accettarono e saranno per sempre devoti a questo glorioso campione S. Pellegrino, loro Patrono protettore e Padre.
Questo Santo Protettore è stato colui che ha interceduto ed intercede presso Dio e Maria Vergine, di cui egli fu speciale devoto; e si dice che fu il primo che ne portò notizia quando venne in Sicilia. E in particolare a Triocala ne introdusse la devozione, col chiamarla col nome di Maria Madre di Dio. Perciò allorquando Iddio giustamente sdegnato per li peccati scocca fulmini di castighi per subissarci, si frappone il Santo Pellegrino a pregare la Madre di Dio e quella, ad intercessione del Santo Protettore, trattiene il braccio al figlio e lo placa. Si racconta che in tempo di peste, di terremoti, di guerre, di locuste, di penuria, di fame, di epidemie, di tempeste di vento, fulmini e saette, ricorrendo i Caltabellottesi al loro protettore S. Pellegrino, hanno ottenuto la grazia. E sino ai tempi d’oggi, quanti ammalati gravi, cronici, infermi e specialmente i rotti ed erniosi che hanno fatto ricorso con fede a lui, sono stati dal Santo graziati. Giornalmente ancora si può dire che molti nei loro bisogni e necessità ricorrono con fiducia al santo protettore Pellegrino e sono consolati con la grazia fatta. Infatti il santo concede grazie anche agli immeritevoli non solo di Caltabellotta, ma anche di tutta la Sicilia. Egli fu mandato dall’Apostolo Pietro in questa città per convertirci alla fede e liberarci dalle insidie dei diavoli; si prese la cura di padre per provvedere e darci tutte quelle grazie che noi sospiriamo nelle nostre urgenti necessità. Se si ricorre (a lui ed è ricercato con fiducia, tutto si otterrà.
Quegli antichi Caltabellottesi, in memoria del gran Protettore e Padre S. Pellegrino, nella montagna vicino alla grotta dove abitava e morì il detto santo e alla grotta di sotto ove faceva penitenza, fabbricarono una piccola chiesa.
In seguito, crescendo la devozione col decorso del tempo, gli edificarono un piccolo convento con assistenza di eremiti e sin oggi è tanto accresciuto che è portato alla perfezione di un sontuoso santuario. Gli Eremiti, alcuni degenerati, altri perfetti, sono vestiti come il santo protettore S. Pellegrino: cioè d’una tunica bianca, cinti con correggia di cordame nero con sulla carne piccola camicia senza maniche di lana pungente. Abitino stretto e corto di panno e sopra una piccola mozzetta e cappuccio tondo di panno moscato, barba lunga e capelli corti e sandali ai piedi; nell’inverno per coprirsi è permesso andare con martelletto similmente di panno di colore moscato. Sono questuanti, vivono in comune e di sola elemosina ed hanno un loro superiore a cui sono soggetti; lavorano per il santuario e fanno elemosina ai poveretti. Si alzano ben per tempo, fanno orazione in comune ed altre opere ed esercizi spirituali. Tengono un sacerdote cappellano che ogni dì celebra la messa nella chiesa dello stesso santuario, che è adorna e sacramentata. Vi è all’altare maggiore una bellissima statua del protettore S. Pellegrino, fatta di recente. Sopra alla fine del dormitorio vi è un conservatorio… L’antica statua di detto santo è anche bellissima e si esce in processione in tempo di necessità.
Tengono bellissimi addobbi di chiesa e ricchi paramenti ed altre cose più belle d’ammirarsi; … e tengono un bellissimo bambino di cera commemorato in chiesa ogni 25 di mese. Si fa due volte l’anno memoria di detto santo protettore, il 30 gennaio, dì della di lui festività e l’altra il 18 agosto, con gran concorso di popolo ed anche di forestieri .. Si celebra la Pasqua di Resurrezione, il giorno del SS. Sacramento e i sette venerdì [del Sacro Cuore di S. M.M. Alacoque]. In onore del santo Protettore sono esposti al pubblico i pani mutati in pietra. Similmente la reliquia dell’osso della sua spalla.
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