PARTE SECONDA

GLI AUTORI

Dei testi liturgici del basso Medioevo che confermano la millenaria tradizione apostolica siciliana il Breviario Gallo-Siculo, introdotto dai Normanni in Sicilia (sec. XI-XII) ed in uso nelle chiese e monasteri di Sicilia fino alla seconda metà del XVI secolo è certamente il più autorevole. Una copia di questo rarissimo testo datata 1532 si trova nella Biblioteca Ursino di Catania. Delle Lezioni riguardanti i santi siciliani quelle di S. Marziano e di S. Pancrazio sono le più importanti. Esse riportano in breve quanto dicono le fonti più antiche ed aggiungono altri particolari, sulla missione petrina, i miracoli e le conversioni prodigiose operate da questi santi vescovi fondatori e il loro glorioso martirio.

TOMMASO FAZELLO

Il Fazello nel suo De Rebus Siculis del 1558, quando parla di Triocala romana non accenna a S. Pellegrino. Ma nel libro 4°(cap.1, p. 249), parlando dei personaggi illustri di Siracusa scrive: “A questa città venne altra gloria da parte di S. Pietro, principe degli Apostoli. Infatti, istituito in essa il vescovato, vi mandò come primo vescovo San Marziano di Antiochia”. Ne abbiamo conferma inoltre da due altri autori del Cinquecento, lo sciclitano Fra Mariano Perrello che scrisse un libretto, rimasto manoscritto (custodito nella Biblioteca Comunale di Palermo) e il netino Vincenzo Littara.

 

FRANCESCO MAUROLICO

Il Maurolico, per dare gloria alla sua Messina, che vantava di essere stata la prima città della Sicilia ad essere evangelizzata dall’Apostolo Paolo, incorre in un grave errore cronologico, perché non tiene conto che i due Vescovi Marciano e Pancrazio erano stati mandati da S. Pietro - come d’altronde anche lui conferma – 18 anni ca. prima delle venuta di S. Paolo! Ecco quanto dice nel suo Sicanarum rerum compendium, (1a ed. 1562, 2a, postuma 1716, p. 31): “L’Apostolo Paolo, navigando da Malta passa per Siracusa, Reggio e lo stretto di Messina nell’anno 58. Allora (tunc), come nelle altre Province così anche in Sicilia, furono poste le prime fondamenta della cristiana pietà. Tramandano anche che S. Paolo predicò in Sicilia; cosa possibile, dato che non tutta la sua peregrinazione è stata narrata [negli Atti degli Apostoli]…. Illustrarono poi l’Isola molti uomini di santa vita. Infatti vogliono che i Vescovi Marziano siracusano e Pancrazio di Taormina furono qui mandati dagli Apostoli….”. A p. 84 aggiunge che l’Apostolo Paolo “fece scalo a Siracusa dove rimase tre giorni e da lì costeggiando per mare venne a Reggio”. Giunse poi a Roma nel secondo anno di Nerone e vi fu ucciso assieme a S. Pietro; in tutto quell’intervallo di tempo, “si crede” che essi abbiano annunciato Cristo in Italia, Spagna, Gallia, Illiria, Sicilia.

Anche nel suo Martyrologium…(Venezia, 1564. 1576) conferma la tradizione petrina; infatti il 14 giugno riporta la memoria di “Marziano vescovo di Siracusa” (p. 38b): “A Siracusa (memoria) di S. Marziano Vescovo, che mandato dall’Apostolo, vi convertì Seleuco e Gordio con una grande moltitudine”; ed il 3 aprile” (23) ed il 9 luglio (44b) quella di S. Pancrazio: “A Taormina di Sicilia S. Pancrazio Vescovo, ucciso dal pagano Arcagano, la cui vita scrisse Evagrio suo discepolo”.

Anche il Maurolico come il Fazello, ignora la tradizione riguardante S. Pellegrino, anche perché ancora non erano state portate alla luce le fonti scritte; implicitamente però dà credito alle tradizioni delle fondazioni apostoliche della Sicilia e delle altre regioni.

 

ROCCO PIRRO

S. PELLEGRINO E TRIOCALA

Data la loro importanza ed antichità (1630-49), dopo l’”Idea”, ma prima della pubblicazione postuma delle Vitae Sanctorum del Gaetani (1657), traduco integralmente per la prima volta dall’originale latino le notizie sul Santo e sulla Chiesa di Triocala, rimaste finora in gran parte ignote ai Caltabellottesi e agli studiosi. Devono essere integrate con gli altri autori citati in bibliografia.

Nel Libro secondo dei Vescovati di Sicilia che si sono estinti, la notizia seconda riguarda la Chiesa Triocolitana (vol. I, p. 490). La “storia manoscritta” citata è quella breve, nota al Gaetani e non quella in italiano, ignota anche al Pirro.

“Triocala fu un tempo una città, sita verso mezzogiorno, distante mille passi da quella che ora è chiamata Caltabellotta. Trasse il suo nome dal fatto che aveva tre beni: dolcissime sorgenti di acque, campi fertilissimi di vigneti e oliveti e mura inaccessibili ai nemici e protetti da rupi, come dice Diodoro nel libro 36. Ricorda questa città il Fazelllo (Decade I, lib. 10), e Filippo Cluverio (lib. I, cap. 12), e degli antichi scrittori Cicerone nelle Verrine, libro 7. Nella celebre guerra servile che causò ai padroni Romani molte molestie, fu rifugio per gli Schiavi. Triocala fu allora distrutta ma poi riedificata dagli abitanti. La rese celebre l’insigne gloriosa vittoria che ottenne Ruggero Conte di Sicilia sui Saraceni sconfitti. Per questo egli eresse un tempio a S. Gregorio ornato con duplice ordine di colonne. Oggi lo chiamano “Priorato di S. Giorgio di Triocala”, il quale è congiuntio all’Archimandridato di Messina, come diremo nel libro 4, notizia 1a. Ancora oggi sono visibili le rovine di questa città.

1. Anno 90. S. PELLEGRINO.Com’è fama e costante tradizione fu il primo Vescovo Triocalitano, mandato da S. Pietro in Sicilia. Gli abitanti di Caltabellotta lo hanno scelto e lo venerano come Patrono. La stessa cosa narra la sua storia manoscritta che possediamo. Nei Martirologi Siculi è detto che morì il 30 gennaio; ma l’anno mi è ignoto, anche se P. Gaetani , nella sua Idea, f. 70, indica l’anno 90”.

2. Anno 593. Un certo Pietro, Vescovo Triocolitano, vedo nominato da S. Gregorio [Magno Papa]e stimo che non sia da riferire ad altra chiesa che a questa di cui parliamo. Scrive invero S. Gregorio (lib. 9, Ind. 4, ep. 43)che il Monastero Lucusiano (sito a Palermo, come abbiamo detto nella Notizia di quella Chiesa, anno 797)doveva 40 solidi al Vescovo Pietro Triocolitano. Inoltre (Lettera 12, lib. 4, Ind.13) dice che al medesimo Pietro fu ordinata la Visita [Pastorale] della Chiesa di Agrigento.

3. Anno 649. Massimo, Vescovo Triocolitano firma la prima e seconda sessione del Concilio Lateranense, sotto il Papa Martino e l’Imperatore Costante (cfr. Tomo III, dei “Concili Generali”).

4. Nel 680, Gregorio il Piccolo, della Chiesa Triocolitana della Provincia di Sicilia sottoscrive nel VI Sinodo Costantinopolitano, sessione 4a.

5. Anno 787. Giovanni di Triocala, come si legge nelle antiche edizioni, fu presente nella seconda sessione del Concilio secondo di Nicea; ma nelle edizioni più recenti si legge invece Costantino di Triocala.

Del resto stimo che, sotto il dominio dei Saraceni, si estinse questo Vescovato. Mi meraviglio che esso non è conosciuto dal Mireo.

 

Nel vol. 2, Notizia della Chiesa Siracusana, p. 600, dà questa importante notizia, trascurata dagli agli studiosi, eccetto il Narbone!

 

“ S. Cresto successe nel pontificato a S. Marziano, circa l’anno della salvezza [d.C.] 74. Secondo i codici manoscritti, presso il Caietano, sotto l’impero di Vespasiano, Cresto fu compagno del Beato Peregrino Martire, il cui dies natalis è il 3 novembre. Questi subì il martirio sotto l’Imperatore Domiziano nell’anno 90; le stesse Tavole [della Chiesa] Siracusane attestano che furono entrambi discepoli di S. Marziano(su Cresto vedi Gaetani, tom. I SS. Sicul. f. 19).

 

Nel vol. 2, Notizia della Chiesa Agrigentina, p. 755-56, il Pirro aggiunge.

 

CALTABELLOTTA

“Fu decorata col titolo di Contea, il 20 gennaio 1335. Ha 1060 case e 3904 abitanti [nel 1640 ca.]. Il nome è saracenico e la città è edificata sulla cima di un monte, con panorama bellissimo fino al mare, sotto il dominio dell’illustrissima Famiglia Peralta.- [In nota al margine è aggiunto](Vedi la concessione del Castello di Caltabellotta fino al mare fatta a Guglielmo Peralta nelle Regia Cancelleria, a. 1360-66, f. 307.) (Questa signoria fu ottenuta) dall’Infanta Eleonora, figlia del Duca Giovanni di Aragona, moglie di Guglielmo Peralta. Oggi per diritto ereditario è succeduto Luigi Peralta Moncada e Aragona, Principe di Paternò [cfr. Bibliografia].

. Poco più sotto a mille passi di distanza, nell’angolo del medesimo monte, nella parte meridionale, dove oggi c’è la Chiesa di S. Maria di Montevergine, forse un tempo detta di Belmonte, c’era prima un Cenobio di Monaci. Ancora oggi intorno si vedono i resti e la stessa Chiesa con l’altare (tribuna) è molto antica.

Qui un tempo era sita Triocala, secondo Tolomeo, la quale fu illustre all’inizio della guerra servile. Ma essa fu completamente distrutta dai Romani e poi abitata di nuovo (in nota marginale: Cicerone, Verrine, l. 7. Silio Italico, lib. 14). Al tempo di S. Pietro Apostolo fu decorata di Cattedra Episcopale, come abbiamo detto ampiamente nel lib. 2, notizia 2, dove abbiamo riportato alcuni Vescovi della Chiesa Triocolitana.

 

S. PELLEGRINO

Fra la distrutta Triocala e la nuova Caltabellotta, vi è un grande antro e lì un’antica chiesa, ora restaurata ad opera del pio sacerdote di Sciacca, Calogero Quartararo, e dedicata a S. Peregrino, dove la sua storia narra che condusse la vita e fece moltissimi miracoli. Fra gli altri non è da trascurare quello del dragone.

Ad un immane dragone (credo che sia stato un demonio), che si nascondeva in un antro, i cittadini erano soliti dare in pasto una fanciulla [?] in tempi stabiliti. Si dice che una donna, piena di lacrime, si rivolse a Peregrino perché la figlia non fosse portata a forza per essere divorata dal mostro. Quello allora immise il bastone nella bocca aperta del dragone e subito quell’immane mostro cadendo nel precipizio si sfracellò nelle rupi.

Si racconta anche del pane di grano negato a Peregrino e mutato in pietra e ancora oggi conservano questa forma di pane lievemente morso.

Secondo il Gaetano (Idea, f. 70), morì il 30 gennaio dell’anno di Cristo 90, ma la sua solenne festa con la processione dei devoti è celebrata il 18 agosto. Il suo corpo fu traslato in una chiesa vicino a Lucca e miracolosamente il suo omero rimasto integro è conservato nella Chiesa Madre di Caltabellotta.

ALTRE CHIESE E CONVENTI

C’è una chiesa consacrata a Maria Assunta dove sono custodite le reliquie di S. Alberto Carmelitano e viene venerata con pietà la famosa immagine in scultura di Gesù Cristo Crocifisso, la cui festa è celebrata il 22 aprile, mentre quella della S. Spina di Gesù ricorre il 5 agosto. La traslazione del “Braccio di S. Maria Maddalena” è celebrata il 22 luglio. A capo della chiesa della città sono gli Arcipreti, che ricevono annualmente 97 once. La decima spetta come prebenda all’Arcidiaconato di Agrigento. I parroci della chiesa di S. Michele dall’anno 1570. Nell’anno 1558 vi giunsero i Padri Gesuiti e vi rimasero per alcuni anni e poi se n’andarono dalla città. (Il Mongitore aggiunge: “Ciò infatti avvenne nel 1567, per difetto di dote sufficiente, com’è detto da Alberto nella “Storia della Società di Gesù in Sicilia”, parte I, f. 111 e 216).

I Frati Carmelitani si stabilirono, secondo la tradizione, al tempo di S. Alberto nella Chiesa di S. Benedetto a 500 passi fuori della città. Narrano che S. Alberto salvò miracolosamente dal fiume Platano, dove stavano quasi per essere sommersi, molti Saraceni che avevano promesso di convertirsi alla religione cristiana ( in nota è aggiunto: “Dalle lezioni di S. Alberto nell’Ufficio Carmelitano”). Questi Frati Carmelitani rimasero a Caltabellotta fino al 1575, anno in cui infierì la peste. Ma da quell’anno stabilirono il loro domicilio dentro la città, nella Chiesa di S. Maria della Grazia, la cui statua marmorea è celebre e famosa per miracoli. Vi sono custodite le reliquie di S. Alberto e di S. Rosalia, Vergine Palermitana., che dal 1625 è Patrona di Caltabellotta. Queste reliquie le donò P. Francesco Plazia di Caltabellotta della Società di Gesù. Qui fiorì Fra Sebastiano di Caltabellotta Carmelitano, che morì nel 1606 ed è sepolto a Licata. I Frati Carmelitani sono 7 e i loro proventi sono once 183.9.

Gli Agostiniani Conventuali hanno il loro antico cenobio, in cui è molto celebre il simulacro di S. Maria del Soccorso. I frati sono 12 con once 166.

I Cappuccini vi si stabilirono nel 1614 con la presenza ed il permesso del loro Ministro Generale dell’Ordine, Sicena. I Frati sono 12. Fra Francesco di Caltabellotta nell’anno 1582 fu Provinciale.

Le Monache dell’Ordine di S. Benedetto sono oggi 18, con once 93,7. Prima erano nella Chiesa di S. Maria Valverde, dove c’è una statua di marmo della Beata Vergine; dall’anno 1628 si trasferirono nella Chiesa di S. Antonio.

IL MONASTERO DI S. GIORGIO DI TRIOCALA

La “notizia” su Caltabellotta termina col Monastero di S. Giorgio edificato dal Conte Ruggero. Il Pirro ne parla in modo più completo a p. 1008s., nella “Notizia sesta. San Giorgio di Triocala ovvero Troccoli”, da cui traduciamo.

…Rese celebre Caltabellotta l’insigne gloriosa vittoria che Ruggero, Conte di Sicilia, conseguì con pochi cavalieri, a tre miglia dalla città, sui Saraceni di Caltabellotta che sbaragliò.

A memoria di ciò, eresse colà un magnifico edificio sacro a S. Giorgio, suo protettore, con doppio ordine di colonne (che oggi chiamano Priorato di S. Giorgio di Triocala) e lo affidò ai monaci Basiliani Greci come indica il privilegio greco, tradotto in latino, custodito nelle Tavole della Chiesa Archimandritale a cui è stato unito. Una parte di questo privilegio è stata riportata nella notizia su questo Archimandritato nell’anno 1134, il seguito è questo:

“ Nell’anno 6606 (1097), avendo già conquistato tutta l’isola della Sicilia con l’aiuto di Dio e con le battaglie, avemmo cura particolare di edificare ed erigere le case sacre, soprattutto i Monasteri distrutti dai nefandi Saraceni (in nota è aggiunto: “ Da queste parole risulta che quequesto Monastero esisteva prima dei Saraceni). Abbiamo provveduto anche alla vita e sostentamento dei Frati a loro servizio, perché pregassero più intensamente per i soldati morti nella stessa Isola, per la pace dei Cristiani e la remissione dei miei peccati. Nella diocesi di Sciacca ho edificato il tempio del Martire S. Giorgio ed eretto lo stesso Monastero in memoria dei Cristiani che sono stati uccisi; e vi assegnai territori sufficienti… etc.”.

Il Re Ruggero poi con un suo diploma, anch’esso scritto in greco, nell’anno del mondo 6642, della salvezza 1134, che abbiamo riportato integralmente nella notizia dell’Archimandritato, nello stesso anno, diede quel Cenobio di S. Giorgio al grande Monastero di S. Salvatore di Messina, con queste parole: “Diamo anche ed offriamo allo stesso Monastero di S. Salvatore San Giorgio de Trocculis in Provincia di Sciacca, della giurisdizione della Chiesa Agrigentina, totalmente e integralmente con tutte le sue pertinenze, terreni, vigne, possessioni, mulini, acque, corsi e sorgenti d’acqua, villani Agareni (Saraceni) e Cristiani, che in essi dimorano.”

Filippo Protonataro registrò il diploma. Il giudice Stefano Mallo e i Giudici Secreti e Giovanni Baiolo devono provvedere e registrare secondo i possedimenti e i confini delle terre dello stesso Monastero de Troccolis e del Casale di Racalbusal e, sentite le parti, fare la divisione, come stabilito nel diploma del Re Ruggero.

Lo stesso Re Ruggero in un altro diploma del 1137 concesse allo stesso Monastero di S. Giorgio “ case per i lavori agricoli e animali che pascolano liberamente nel territorio di Sciacca e lo affrancò da Arcivescovi, Vescovi e persone ecclesiastiche e da ogni consuetudine ed esazione fino ad un obolo ecc.” Tutto ciò fu concesso all’Archimandrida di allora, Fra Luca. E’ registrato integralmente nelle Tavole dell’Archimandritato.”

 

IL MONASTERO DEI “TRENTA”

Nel “Martirio” o “Passio” dei Santi Libertino e Peregrino, l'anonimo autore, poco dopo l'inizio, senza avvertire il lettore, fa un brusco passo indietro nel tempo e parla di Peregrino quando viveva nel monastero

detto “Triginta” (Trenta)”. Questo monastero si trovava a metà cammino da Lilibeo al monte Crotaleo ed era vicino alla città di “Siculana”.

 

Questa città, potrebbe essere Siculiana, distante 20 km. ca. da Agrigento, perché essa verosimilmente esisteva nell’antichità con questo nome e fu riedificata da Federico d'Aragona agli inizi del sec. XIV.

L’opinione espressa in nota dal Pirro sulla preesistenza del Monastero di Triocala è confermata dalla lettera del Papa Gregorio Magno all’Abate Mariniano datata al 598, nella quale il Pontefice chiede al capo dei monaci di occuparsi della Chiesa di S. Giorgio, che è accudita meno di quanto è necessario, poiché il suo monastero è congiunto con tale chiesa. (E’ riportata dal Di Giovanni, Codex… pp. 235 e 437 e ora in Opere di Gregorio Magno, Lettere, IX, 7, p. 111, Roma 1998).

Esisteva quindi secoli prima dei Normanni, fu “distrutto dai nefandi Saraceni” e riedificato, non edificato per la prima volta, dal Conte Ruggero! Potrebbe perciò essere proprio questo il Monastero dei Triginta della “Passio Libertini et Peregrini”. E’ verosimile che in esso dai monaci è stata per secoli custodita e tramandata la vita di S. Peregrino e trascritta nei codici greci e latini! E’ anche verosimile che, quando nell’861 gli Arabi colpirono Triocala e “la ridussero all’obbedienza” (Amari, I, 471), costringendo il Vescovo a trasferirsi nel monte Cronio, sopra Sciacca, anche i monaci greci già stanziati nel territorio, vi si rifugiarono e poi vi rientrarono dopo la conquista normanna e la riedificazione del Monastero (cfr. Terrizzi, pp. 74-75; Scandagliato, p. 165). I preziosi codici non andarono dispersi durante la dominazione musulmana, ma religiosamente custoditi assieme ad altri testi sacri elencati in un inventario in greco del 1200 a noi pervenuto (cfr. Scandagliato, p. 181s.). Un’indiretta conferma si può riscontrare in un breve cenno del Gaetani (Isagoge, cap. XXXVII,4, p. 276) ad un “ms. codex oppidi Caltabellottae” (noto quindi nel 1600, ma oggi disperso!), che attesterebbe l’esistenza nell’evo apostolico dei due Filippo, quello di Agira, discepolo anche lui di S. Pietro ed il Filippo primo vescovo di Palermo.

Da questi manoscritti dunque fu estratta la memoria breve liturgica riportata dal Gaetani e dal Bollando, e quella lunga trascritta negli undici manoscritti, utilizzati dal Saponio e citati dal Narbone (Bibliografia…) ed in quello italiano del 1794!

Ometto le successive vicende del Monastero, annotate dal Pirro fino al 1646. Altre importanti documenti sono stati portati alla luce dal Collura (pp. 174. 305), dal Colletti (pp. 103-119) e in particolare dalla Scandagliato, che ha integrato le notizie del Pirro con un’ampia documentazione notarile. Risulta confermata l’ubicazione della Chiesa e del Monastero nei pressi di S. Anna, come afferma il Pirro. Ulteriore conferma è data dai reperti archeologici recentemente rinvenuti in questa località (cfr. Panvini, 1990, pp.165-168). Sono stati scoperti resti di due complessi abitativi databili al IV-VII sec. d. C. Ma l’esplorazione ha interessato solo un’area di solo 350 mq. Resta perciò valida la preesistenza del monastero sin dal primo secolo, al tempo di S. Pellegrino. Dice infatti il Bejor (p. 1291-92): “ Il centro di S. Anna si presenta già come il più importante di tutta l’età romana, tra quanti sono noti tra Platani e Belice, tanto più che parrebbe essere un insediamento con continuità di vita, dal periodo punico sino all’Alto Medio Evo.”

 

IL CALENDARIO DEL MANCARUSO

Questo Calendario latino dei Santi venerati nella Chiesa siracusana, scritto in caratteri gallicani e risalente al 1152, nelle sue due edizioni del 1703 e 1764, può essere considerato un testo importante non solo per la storia delle origini apostoliche della Chiesa siracusana e siciliana, ma anche per il nostro S. Pellegrino. E’ fondamentale e degno di fede perché riporta le antichissime tradizioni della Chiesa Siracusana, fedelmente tramandate, nei dittici, negli scritti e oralmente, nel corso dei secoli sin dalle origini. Fu scoperto nel 1653 dentro l’altare della Chiesa di S. Giovanni a Siracusa e pubblicato dal Mancaruso nel 1703.

Riporto le parti più significative.

L’11 Marzo: “Memoria della venuta dell’Apostolo S. Paolo, il quale giunse da Malta a Siracusa, [dove fu accolto] con grande dimostrazione di gioia della Sicilia, ed illustrò la Chiesa per tre giorni con la predicazione ed i miracoli”. (Dal Mancaruso è aggiunto il riferimento al cap. 28 degli Atti degli Apostoli; nell’ed. del 1764, il libro di C. Gaetani e Orlend., Orbis Sac. et profan.)

Il 14 Giugno c’è la memoria di S. Marciano (v. sotto).

Il 30 giugno: “Commemorazione della venuta di S. Pietro Apostolo, che da Antiochia in viaggio per Roma, quando era in vita S. Marciano, visitò la Chiesa Siracusana, ed eretto un altare di marmo, offrì a Dio Padre il sacrificio per la conversione del popolo.” (Costant. Cajetano in Vita S. Gelasii, Orlend. O. Gaetani, Isagoge, C. Gaetani, De origine…,140ss.).

Il 3 luglio c’è la memoria di S. Cresto, discepolo di S. Marziano, come S. Peregrino, morto martire. La data però segnata a lato, 74 d.C., è forse errata perché non corrisponde alla persecuzione di Domiziano. Sono comunque citati a conferma gli AA. SS., tom. I, luglio, f. 632, oltre al Gaetani e al Calendario Gallicano. Il 5 novembre c’è la memoria di Cresto II, che resse la Chiesa sotto Domiziano; ed il 30 settembre Cresto III, che partecipò al Concilio di Arles.

L’8 settembre: “Festa di S. Maria Vergine del Pilere, titolo della Chiesa Cattedrale. Sotto la tutela della Beatissima Madre di Dio la Chiesa siracusana fiorì. Infatti, quando era vescovo Marciano, visibilmente con singolare prodigio la Santissima Madre sollevò dal sacro rigenerante lavacro [il fonte battesimale] i neofiti siracusani. (O. Gaetani, Isagoge. C. Gaetani, De origine…242).

Il 3 novembre nella prima edizione del 1703 c’era la memoria di S. Peregrino, che riportiamo nelle “Fonti”.

Il 27 dicembre. Solenne supplica nella Chiesa di S. Marziano vescovo e martire fuori le mura, in memoria della consacrazione del primo tempio, fatta dallo stesso S. Marziano; dove furono poste per la venerazione le immagini di Gesù Cristo, della SS. Croce e della Madre di Dio, per la prima volta in Sicilia. E lì per la prima volta i Siciliani cominciarono ad essere purificati con le acque battesimali”. (Calendario Gallicano. Clemente Papa VIII, Bolla anno 1602. Leone X, Bolla del 1517).

 

APRILE FRANCESCO S.J.

Merita di essere riportato quanto scrive il gesuita Francesco Aprile su S. Peregrino, nella sua Cronologia universale della Sicilia, Palermo 1725. Anch’egli, col Gaetano distingue fra S. Peregrino Martire e S. Peregrino Confessore, morti entrambi nello stesso anno 90! Nella nota 30, cita come fonti “i codici mss. di Caltabellotta, Ottavio Gaetano e altri”; ma anch’egli ignora il libro del Saponio. Importanti sono le sue notizie sul Monastero dei “Trenta” ed il Monachesimo in Sicilia e sul culto della Vergine Maria in Sicilia nel I secolo, portato proprio dai detti primi Vescovi discepoli di S. Pietro. A p. 445: “ Anno di Cristo 90, 3 di Novembre. S. PEREGRINO Martire. L'istesso turbine della persecuzione dei Gentili, che spiantò la prima base della Chiesa Agrigentina, tolse pure nell’ìstesso giorno alla medesima una gran Colonna: cioè il Martire S. Peregrino, il quale quanto avea udito dalla voce di Marziano, Primo Vescovo e Primo Maestro della Sicilia, altrettanto avea espresso colle opere. Era ancor bambina la santa Fede nella Sicilia, poiché partorita non molto prima dai santi Vescovi; ma si mostrava adulta nella perfezione: pregio quasi singolare della Sicilia Sacra. Si era già in essa fondato un Eremitorio, o Monastero; il cui nome o dalla distanza del luogo o dal numero dei frati era Trenta: e vi presiedeva Agatone. Da questo santo luogo, tradito da un falso frate, detto Pelagio, fino ipocrita, fu tratto al martirio S. Peregrino, che sostenne nel Monte detto Crotaleo nei confini di Girgenti; dove purgato come oro nelle fiamme, il suo purissimo Spirito, se ne volò agli eterni godimenti. Ma quel fuoco che il raffinò, non poté consumarne il Santo Corpo: che da una piissima donna detta Donnina, onorevolmente sepolto, risplendette per molti miracoli. Ivi cessate le persecuzioni degli Imperatori gentili fu eretto un tempio. Ma la tirannide dei Barbari estinse la memoria e del Monte e del Tempio e delle sante reliquie.”

A p. 449: “ Anno di Cristo 90. 30 di Gennaio. S. PEREGRINO Confessore Patrono di Caltabellotta.

Peregrino fu questo santo e nel nome e nelle opere: poiché dalla Grecia passò in Roma; indi dal Principe degli Apostoli, inviato in Sicilia, quivi proseguì il suo viaggio fino alla città di Triocala (dalle cui rovine sorse la Terra di Caltabellotta) affinché siccome S. Filippo Prete avea discacciato i demoni dalla città di Agira; così egli annientasse in Triocala la tirannide di un crudelissimo Spirito dell’Inferno, che sotto sembianza di fiero dragone, riscuoteva l’empio tributo di un fanciullo, il quale tratto a sorte dalla cieca gentilità atterrita, gli era ogni giorno offerto per divorarselo. Condussegli il santo il fanciullo destinato per vittima; ma quella bestia non sostenne di cimentarsi col santo; smaniando e sfuggendo ancor la veduta fino al fondo dell’orrida spelonca, suo antico covile, e finalmente sprofondassi sotterra e disparve. Quella stanza d’inferno divenne santificato eremitorio di Peregrino. Or quantunque negli antichissimi codici, dai quali si son tratte le notizie di questo santo, non siano espresse le notizie da lui sostenute nella predicazione del santo Evangelo; nondimeno si tiene costantemente che egli si sia cooperato non solamente alla conversione di quella Città, ma di più altri popoli; poiché non dee supporsi che il Santo Apostolo l’abbia destinato soltanto a menar qui una vita eremitica: anzi alcuni argomentano, ch’egli fondato avesse la Cattedrale Triocolitana; e che ne fosse stato istituito il primo Vescovo: così sostengono come ferma tradizione i Terrazzani di Calatabellotta. Or comunque ciò sia, il certo si è che fino all’età di S. Gregorio il Grande quella Chiesa era governata dal proprio Prelato; essendovi le lettere del Santo Dottore a Pietro Vescovo di Triocala e la serie d’altri Vescovi, come altrove diremo. Ma la tirannide dei Saracini rovinò la città, ed estinse la memoria del Vescovato. Il Santo ancor dopo la morte si rese illustre per molti miracoli.

 

FR. THOMA DE ANGELO

ANNALES HISTORICO-CRITICI ECCLESIAE SICULAE

Riporto, traducendole dal latino, le interessanti notizie e i giudizi del messinese Tommaso De Angelo, O.P. (Domenicano), su S. Peregrino, da questa sua opera postuma, Messina, 1730.

A p. 22 è scritto: “Negli Atti di S. Peregrino Confessore, e forse Vescovo di Triocala, che in questi tempi è chiamata Caltabellotta, è detto che egli condusse vita eremitica nella spelonca da cui scacciò un dragone; e negli Atti dei Santi Peregrino e Libertino Martiri, c’è menzione dell’Asceterio nel monte Crotaleo, di cui era prevosto un certo Agatone. Se si vuole assegnarlo al primo secolo io non oserei esprimere giudizio. Certamente se gli Atti sono di questo periodo la Sicilia coi suoi asceteri precedette entrambe le plaghe del mondo [l’Oriente e l’Occidente] con Paolo, Antonio, Basilio, Benedetto, che appartengono all’età posteriore”

A p. 25, è detto: “ Libertino, primo Vescovo di Agrigento e Peregrino subirono il martirio nello stesso tempo; quello ad Agrigento, questo nel Monte Crotaleo, che è vicino alla città, come dicono gli Atti, ma questo nome è ignoto nel nostro tempo. Peregrino è detto africano e perciò prese il nome di Peregrino nel monastero; sebbene il Gaetano lo dichiari siracusano, perché discepolo di Marciano. Ma questa è una congettura di nessun peso…. I loro Atti ricordano che furono martiri nell’ottava persecuzione del 3° secolo sotto l’imperatore Decio [errore del De Angelo, per Valeriano e Gallieno!], il consolare di Sicilia Quinziano ed il giudice Silvano. Ma Marciano, di cui fu discepolo e scrittore della sua vita è detto Peregrino, visse nel primo secolo.; perciò il Gaetano ritiene sospetti gli Atti e favolosa la memoria di Marciano consumato dalle fiamme ad Agrigento. Si accetti questa opinione. Libertino ad Agrigento nella chiesa di Santo Stefano mentre pregava fu colpito con pietre e poi trafitto da spada, come confermano antiche immagini. Perciò l’Encomiaste siracusano, il quale riferisce che subì lo stesso trionfale martirio assieme a S. Peregrino, è da intendere in modo retorico, non riguardo al genere della passione ma alla corona del martirio. Subito dopo la morte di Libertino, Peregrino, ricercato nel vicino Monte Crotaleo, fu bruciato vivo. Ma il sacro corpo non poté essere ridotto in cenere e Donnina, una religiosa donna gli diede sepoltura. Di entrambi è fatta memoria il tre Novembre.”

A p. 28: “Peregrino, greco di nazione, e forse primo Vescovo di Triocala costituito dagli Apostoli, è ricordato da P. Ottavio Gaetano illustre per fama di miracoli, dei quali si tramandano due straordinari. Un dragone nascosto nella selva di Trincala, al quale veniva dato in cibo ogni giorno uno dei fanciulli degli abitanti, scelto a sorte, fu da Peregrino col bastone gettato in un fosso, che subito venne ostruita. Perciò antiche immagini rappresentano Peregrino con ai piedi il serpente.

Una pia femmina, dispiaciuta perché non aveva niente di pronto da offrire a Peregrino che le chiedeva l’elemosina, richiese in prestito un pane ad un’amica, che mentendo le disse di non averne; ma la divina vendetta castigò il duro comportamento della donna, cambiando in pietra il pane che conservava. . E ancora oggi a Caltabellotta, che è succeduta a Trincala, si conserva il pane di pietra. La grotta da cui fu scacciato il dragone fu abitata da Peregrino che visse da anacoreta, come agnello nella tana dei leoni [cfr. Isaia, 11,6].

Il 30 gennaio riposò in pace e in questo giorno è venerato. E’ ignota la terra che custodisce il suo corpo e nelle “Avvertenze” sulla sua vita, presso il Gaetano è confutato l’errore di coloro che confondono l’altro Peregrino, le cui ossa sono onorate a Lucca, con questo, e lo dicono di Lucca e non Greco.”

A p. 42, il De Angelo, riporta il citato passo dell’Encomiaste di S. Marciano, e poiché non lo considera errato come fa il Gaetani, e d’altra parte accettando la tradizione dell’origine Apostolica delle tre chiese e della missione Petrina, avanza l’ipotesi dell’esistenza di due Marciani del I e del III secolo, ed anche, implicitamente, di due Peregrini e due Libertini! Ipotesi inverosimile, diciamo noi, e non attestata da nessuna fonte antica!

Gli Atti attestano che entrambi (Libertino e Peregrino) vissero al tempo di Valeriano e Gallieno (254) e soffrirono sotto Quinziano, Preside di Sicilia; inoltre dicono che quel Marciano di cui si asserisce che Peregrino fu discepolo, fu bruciato vivo ad Agrigento. Questo porta Libertino lontano dai tempi di S. Pietro e mostra l’allucinazione dell’Encomiaste, il quale nell’ottavo secolo fuse in uno il Marciano del primo secolo, mandato dal Beato Pietro e coronato del martirio a Siracusa, con l’altro Marciano forse vescovo siracusano, che nel terzo secolo subì il martirio delle fiamme…”

Continua il De Angelo: Inoltre negli Atti di Peregrino c’è memoria di un certo Agato, Preposto del Monastero, in cui dimorava Peregrino, e della salute subito ridata a un certo Liberato, il quale si recò a Roma nel tempio di S. Pietro, dove ricevette in visione l’ordine di recarsi al sepolcro di Peregrino, forse da poco coronato del martirio, per essere curato; dopo pervenne nella chiesa di S. Stefano protomartire. Questa frequente citazione di templi a Roma ed in Sicilia non mi pare appartenga al primo secolo….. A stento accetto che gli Atti siano interpolati, come crede il Gaetano, perché non c’è alcun motivo di sospettarlo….”

A p. 44 infine: “Il codice manoscritto di Caltabellotta, che è succeduta alla distrutta Triocala, afferma che S. Peregrino Confessore, chiamato dalla Grecia da S. Pietro, fu mandato in Sicilia. Il P. Gaetano di suo aggiunge: “mandato da Roma”; non so bene se abbia ricavato questa notizia da qualche antico documento o la inventi di suo, oppure se dia credito a qualche diceria della sua Siracusa. : Certamente è più probabile che provenga dalla Grecia o dall’Asia che da Roma. Ed è più difficile che dalle altre parti del mondo fossero convocati a Roma uomini insigni, rispetto ad Antiochia. A Roma infatti regnavano gli imperatori pagani e la persecuzione o infieriva o era imminente.

Questi Atti, da nessuno esaminati, per quello che so, non li metto in dubbio; ma probabilmente riguarda successivi tempi della Chiesa il fatto che vi si legge che Peregrino conservò incolume il figlio della pia donna che serviva Dio con cuore puro; ed anche quel numero di credenti che egli trovò a Triocala, i quali lodavano Dio e Gli rendevano grazie per le meraviglie che avvenivano, come bene è detto nelle Avvertenze agli Atti presso il Gaetano. Invece il fatto che Peregrino fu mandato in Sicilia per mettere in fuga i Demoni di cui si diceva che allora la Sicilia era piena, si

può riferire piuttosto ai tempi quando gli Apostoli gettavano i semi del Vangelo, dal cui incremento venivano estirpate le radici degli inferi“.

 

Nostre osservazioni a Fra Tommaso De Angelo. Anzitutto egli non è certamente da considerare una fonte, ma uno studioso delle fonti scritte e delle tradizioni delle diverse chiese siciliane. Nel tentativo poi di conciliare l’origine apostolica delle chiese siciliane con le discordanze cronologiche degli Atti e del Martirio del Vescovo Libertino e di Peregrino, rifiutando l’errore ammesso dal Gaetani (il 3° secolo invece che il 1°) (che resta l’ipotesi più plausibile), talvolta si contraddice, avanza dubbi e fa ricorso ad opinioni inverosimili, specialmente quando sdoppia i tre santi. Purtroppo il De Angelo dimostra di ignorare il ms. più completo in italiano, già pubblicato dal Saponio nel 1699 e 1711, prima della sua morte e della stesura dei suoi Annali; ed infatti non lo cita in nota. Considera ancora erroneamente le importanti Animadversiones delle Vitae Sanctorum , non dello stesso Gaetano ma di altra mano e che in parte correggano le dette Vitae; invece sono anch’esse del Gaetano, come più volte egli afferma, e aggiungono altri interessanti particolari e citazioni.

E’ poi molto importante quanto afferma, alla fine degli Annali del I secolo, sui falsi critici che facilmente rigettano le secolari tradizioni delle Chiese, perché basate su documenti non coevi e quando contengono il minimo errore o racconto di miracoli, come invenzione della fantasia e devozione popolare. Questa ipercritica già presente in alcuni studiosi del sei-sette-ottocento, è oggi purtroppo diventata dominante col razionalismo dei moderni, che relegano tutto o quasi nel mito, nella favola, nell’allegoria e nel simbolismo.

Ecco in breve cosa diceva il De Angelo.

Volentieri sostengo che i vescovi di Sicilia di cui ho parlato furono costituiti dagli Apostoli e cioè: Marciano a Siracusa, Pancrazio e Massimo a Taormina, Berillo a Catania, Libertino ad Agrigento, Bacchilo o Barchirio a Messina, Peregrino a Triocala, Filippo a Palermo; e questo su nessun fondamento più solido delle tradizioni ecclesiastiche, che io confermo devono essere in tutto seguite. Sebbene infatti le antiche storie ecclesiastiche, non sono confermate da sicuri documenti, per risultare chiaramente degne di fede, questo non basta per rifiutarle…. Non è infatti da rigettare la pia opinione dei nostri antenati confermata da testimonianze non spregevoli anche se soltanto probabili. E’ abbastanza debole l’affermazione dei falsi critici che si tratti di tradizioni popolari, delle quali è ignota l’origine e forse desunte da apocrifi, confermate solo da scrittori recenti. L’autorità delle Chiese, dei Vescovi e del popolo che approvano il culto e le tradizioni, non viene inficiata da questi argomenti e da queste vaghe prove; ma sono necessarie solide ragioni e positive testimonianze che provino il contrario… Certamente nella narrazione degli avvenimenti non c’è niente di meno conforme a un criterio razionale che esigere conforme ai nostri calcoli la loro verosimiglianza, oppure stabilire noi dei criteri di maggiore o minore probabilità per dare o negare credito ai racconti… Rincresce dire che cosa avverrebbe della Storia Sacra e della Sacra Scrittura, se venissero sottoposte allo scellerato capriccio di queste fasulle questioncelle e ai velenosi aculei di questi maliziosi ingegni. Questo giudizio vale per le secolari tradizioni di cui abbiamo parlato. Mi dispiace che alcuni scrittori siculi, prevenuti e faziosi contro la gloria patria, consumino il tempo solleciti nell’impugnare con cavillose argomentazioni le patrie tradizioni, invece di portare alla luce documenti che le confermino. Li riprende severamente Melchior Cano: “ Costoro per lo più o sono prevenuti o inventano molte argomentazioni per le quali, non solo si vergognano, ma hanno anche fastidio delle tradizioni. Alcuni indulgono troppo alle loro opinioni e scrivono quello che suggeriscono i loro pensieri, non quello che è vero”.

 

DI GIOVANNI GIOVANNI

Altro dottissimo studioso della storia sacra siciliana è il Di Giovanni (1699-1753).

Riguardo all’Origine e progresso dell’istituto monastico in Sicilia, si veda più oltre.

Dalla sua Storia Ecclesiastica di Sicilia, pubblicata postuma nel 1846, dopo aver “protestato di voler lasciare le Chiese siciliane nel pacifico possesso” delle loro tradizioni, afferma (p.50): “ Caltabellotta si gloria di avere abbracciato le fede per mezzo di S. Pellegrino d’origine greco, dal medesimo Pietro ivi seriamente mandato.”

 

VITO AMICO (1757)

Anche il Vito Amico, accetta la tradizione: “S. Pellegrino per costante tradizione degli abitanti di Caltabellotta si dice il 1° vescovo diretto da S. Pietro in Sicilia”.

 

GIUSEPPE LOGOTETA

Il suo Commentariium critico-historicum De Apostolica Institutione Ecclesiae Syracusanae, è un testo importante e ben documentato in difesa dell’apostolicità della Chiesa siracusana fondata dal discepolo di S. Pietro, Marciano.

GIOVANNI E. DI BLASI

Il benedettino E. Di Blasi, nella sua Storia del Regno di Sicilia, nell’articolo II, Della religione cristiana introdotta in Sicilia, (I, 530ss.) sostiene invece l’origine paolina della chiesa siciliana: “Non vi è dubbio che coll’arrivo in Sicilia dell’Apostolo delle genti venne fra di noi la santa nostra religione, e che possiamo vantarci che si cominciò in Sicilia ad essere cristiani nel 59° anno dell’era cristiana…”.

Si mostra invece dubbioso e scettico riguardo alle tradizioni locali sui discepoli mandati da S. Pietro, solo perché sarebbero frutto di una “vanità malintesa e fanatismo patriottico” e basate su testi in parte leggendari e non coevi in quanto risalenti a non prima del V secolo.

Alla luce degli altri autori, con in testa il Gaetani ed il Pirro, possiamo rispondere al Di Blasi. Dal passo degli Atti degli Apostoli (28,12) si può dedurre che è verosimile che S. Paolo sia stato accolto dalla comunità cristiana di Siracusa col suo vescovo Marciano, vi abbia celebrato l’eucaristia e rivolto la sua parola ai fedeli, come conferma anche la tradizione orale, mentre è da escludere che in soli tre giorni abbia potuto fondare la chiesa siracusana (v. dopo). Riguardo poi ai dubbi sulla tradizione “petrina”, il Di Blasi non tiene conto che i testi relativamente tardi a noi pervenuti, tolte le aggiunte certamente fantastiche, non sono stati “inventati” ma, come affermano i loro autori, sono basati su altri documenti scritti più antichi, andati purtroppo perduti, su Atti dei martiri genuini, sui dittici o elenchi con note dei vescovi delle varie chiese, sui libri liturgici della chiesa d’Occidente e d’Oriente, e sulla tradizione orale, tramandata di generazione in generazione.

 

ALESSIO NARBONE

Le rilevanti notizie contenute nel prezioso libretto del Narbone (Prorogative della Chiesa Siracusana) sono riportate nelle “Fonti” e in “S. Marziano”.

Egli riprende le importanti notizie del Pirro e aggiunge altri particolari: “Tra i discepoli di Marciano primeggiano un Cresto ed un Pellegrino, dei quali l’uno vien destinato a succedergli nella cattedra, l’altro a suggellare la ricevuta fede nel sangue”(p. 25). “ Sul cadere del secolo I cadeva sotto la scure il capo a Pellegrino, che dicevamo discepolo di Marziano, condiscepolo di Cresto”(p. 28s.). A p. 27, n.1, dice che” la Chiesa Siracusana commemora fra i suoi santi anche S. Pellegrino il 3 Novembre”.

Questa memoria era confermata nella prima edizione del 1703 del Kalendarium Sanctorum del Mancaruso, dove S. Peregrino era detto Africano di patria, martirizzato ad Agrigento. Ma il Gaetani della Torre e l’editore G. Puleo decisero di espungerla, nella seconda edizione del 1764 (p.5). Probabilmente il Narbone, che non cita in nota la fonte, ricava questa notizia, oltre che dal Mancaruso anche dal cap. XXXVII del De divinis siculorum officiis di Giovanni Di Giovanni, in cui è riportato “l’elenco dei giorni festivi nella Città e Diocesi di Siracusa, promulgato dal Vescovo M. Bologna nel suo sinodo diocesano, titolo XXI” (Narbone, p. 34s.,n. 2).

Noi invero, poiché affermiamo che è esistito un solo Pellegrino, quello di Triocala, riteniamo vero il fatto che fu discepolo di S. Marziano di Siracusa, ma non la sua origine africana né il suo martirio nè a Siracusa né ad Agrigento (errore dovuto all’errata lettura del citato “Martirium-Passio”), essendo invece morto a Triocala.

 

DI PAOLA VITA FRANCESCO

E’ importante quanto scrive su S. Pellegrino il Di Vita nel suo opuscolo del 1871 (pp.13-15)

“Fu la città di Triocala sin dal primo secolo della Chiesa cristiana elevata a sede vescovile, e primo vescovo ne fu San Pellegrino, nato in Lucca di Grecia, e da S. Pietro spedito in Sicilia, insieme con Mario, Massimo e Marciano. Ignorasi il vero di lui nome, perché nato greco e Peregrino è [nome] latino; perciò è da credersi che gli fu dato dai Siciliani o Triocalini, quando vi arrivò ramingo e accattando … Dicesi per la prima volta approdato in Eraclea, ossia dove un tempo esistè quella città, al punto detto Capo Bianco, in cui il fiume Platani, l’antico Camycus, mette foce nel mare africano. Di là, nuovamente imbarcatisi, essere disceso nella vicina spiaggia allo sbocco del fiume Isburus, ora detto di Caltabellotta, donde si ridusse in Triocala. E’ antica tradizione, mitologica, che dalla parte di Occidente, in un antro del monte Collega, fosse esistito in quel tempo un feroce serpente, opera diabolica, a cui giornalmente quei paesani apprestavano in cibo un fanciullo S. Pellegrino liberò l’ultimo di costoro , sprofondando contemporaneamente in un baratro la fiera , che più non comparve. La stessa tradizione ricorda vari miracoli del santo , fra i quali il cangiamento di taluni pani in pietre. Di queste pietre, in varie forme di pane, che si vuole essere quelle stesse ridottevi da S. Pellegrino, ne esistono quattro in Caltabellotta e due ne esistevano nella cappella dedicata a questo santo nella chiesa di San Pietro in Vinculis di Palermo.

Nella prima persecuzione dei Cristiani, ordinata da Nerone, che avvenne nell’anno undicesimo del suo impero, poco dopo il martirio di S. Pietro, anche S. Pellegrino ebbe molto a soffrire, perché alcuni emissari del tiranno, recatisi in Triocala, voleano costringere gli abitanti ad abbandonare la fede di Cristo, ma ostilmente accolti furono costretti a ritirarsi (n. 2. Manos. di Caltabellotta). Riferiscesi ancora che San Pellegrino morì nel giorno trenta gennaio dell’anno 90, in un antro vicino a quello ove avea sprofondato il serpente. In quell’antro, in tempo antichissimo fu intagliato un altare nella pietra, ove tuttora si vedono delle pitture a fresco, di pessimo gusto, malgrado l’eccessiva umidità. In questa grotta, sino allo scorso secolo, si celebrò messa. Dicesi finalmente il suo corpo essere stato trasferito in Lucca di Grecia sua patria, ed in Caltabellotta altro non restarvi che un osso dell’omero tuttora esistente. Dopo San Pellegrino dicono avere occupato il vescovato quello stesso fanciullo che, trent’anni prima era stato liberato dalle fauci del serpente (n.4. Manos. di Caltabellotta).

A p. 20, il De Vita aggiunge altre interessanti notizie sull’eremo. “Dinnanzi la grotta ove dicesi essere morto S. Pellegrino, si costruì una chiesa con piccolo eremo adiacente, che nello scorso secolo fu molto ampliato per cura dell’eremita Stefano Montalbano, il quale acquistò ancora talune rendite in sussidio della cappellania. Dalla vastità di questa fabbrica si rileva di leggieri quanto fervorosa sia stata la devozione dei Caltabellottesi verso San Pellegrino, che da remotissimi tempi si eressero a Patrono, perché permise ad un povero eremita innalzare sugli scoscendimenti di una rupe, quasi inaccessibile, questa grandiosa opera da contenere almeno un battaglione di milizia, comodamente locata, e tutto ciò con la sola collazione di elemosine. Morto però prima di averci dato termine non fu l’interno portato a perfezione, mentre tutte le fabbriche esterne con una magnifica terrazza prospettante a mezzogiorno, tre grandiose cisterne, i tramezzi i tetti, le volte e quasi tutti i pavimenti sono completi. Nella chiesa avvi un bell’altare marmoreo, due statue del Santo in legno, una delle quali di antichissima struttura, l’altra del secolo decimottavo, ed una bella immagine in cera di Gesù Bambino della grandezza di un neonato. Nell’interno del convento havvi pure altra statua del santo in marmo, ma d’inesperto scalpello.”

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Nostre osservazioni. Il Di Vita, per i numerosi particolari che riporta, possedeva o comunque consultò uno degli undici manoscritti in italiano della Vita di S. Pellegrino, citati dal Narbone; probabilmente potrebbe trovarsi in casa degli eredi del Di Vita! Certamente non era quello scoperto dalla Daneu- Lattanzi nel 1963. Il Di Vita accetta pienamente quanto dice questo manoscritto con una nota che noi correggiamo alla luce delle testimonianze raccolte: la storia del serpente è vera e non una “ tradizione mitologica”, mentre il nome del compagno di S. Pellegrino, è stato trascritto male: Mario invece di Macario. E’ da rilevare il fatto che è confermata dal Di Vita la venuta da Roma di S. Pellegrino, mandato da S. Pietro, che fu il primo vescovo di Triocala, che fu perseguitato durante la persecuzione di Nerone, che non morì martire in quella occasione ma anni dopo; nel 90 d.C.; l’indicazione “nell’undicesimo anno dell’impero di Nerone”, che sarebbe il 65 d. C., non contenuta nel ms. della Daneu, mi pare un aggiunta del Di Vita e non una variante del manoscritto da lui consultato; ancora il Di Vita afferma che il corpo del santo fu traslato a Lucca di Grecia, dov’era nato, come invero dice anche il manoscritto.

 

SERAFINO PRIVITERA

Un altro autore importante, profondo ed erudito conoscitore della Storia di Siracusa e della sua Chiesa Apostolica è il Sac. Serafino Privitera. Oltre alla nota Storia di Siracusa Antica e moderna, diede alle stampe due preziosi opuscoli, purtroppo ignorati (volutamente?) dai successivi studiosi che li considerano “apologetici”, mentre sono testimonianza di vera fede e rigorosamente documentati: Cenno sulla Vita e Morte di S. Marziano, primo Vescovo di Siracusa, e La Prima Chiesa d’Occidente…, con sottotitolo: I Papi e la Chiesa Siracusana, nella sua ragione di origine, di fede, di dottrina e di amore (Ragusa 1888).

Di questo libretto riporto i punti salienti, che confermano la miullennaria tradizione della sua fondazione ad opera del primo Vescovo Marziano, mandato da S. Pietro e, come il Gaetani, il Pirro, il Logoteta, il Narbone e gli altri autori precedenti, confutano in anticipo i successivi studiosi, laici ed ecclesiastici, che la negano; dal Lanzoni ai nostri giorni.

“Siracusa, benché da regina divenuta ancella di Roma (Liv. l. 25. Plut. Vita Marcelli), pur nondimeno come città rinomatissima e la prima di tutta Sicilia (Cic., Verrine, Act. V, l. 4. Faz. Dec. II, l. 5,3), come sede dei Pretori e poi dei Proconsoli, che governavano la Sicilia; e come città accresciuta di popolo da una colonia romana e da giudaiche famiglie delle prime dispersioni [dopo le conquiste di Pompeo del 59 e di Tito del 70 d. C.], non sfuggì agli occhi… di S. Pietro. Egli …, come ci dà tradizione… spedì da Antiochia in Siracusa uno dei suoi più cari discepoli, Marziano, che aveva consacrato Vescovo ed a cui aveva affidato il sacro deposito della fede, per impiantarla in queste parti d’Occidente… Marziano, tutto pieno dello Spirito di Dio, istituito Pastore di un popolo idolatra, seppe in tal guisa compiere il suo santo ministero, che disseminando qui il vangelo… tosto riuscì a fondarvi la sua chiesa…”.

“E fu in quei primi anni delle apostoliche peregrinazioni, che la divina parola della fede, già accolta e fatta udire da Marziano in Siracusa, veniva confermata ed altamente bandita ai nuovi credenti, tra altissimi prodigi, dal grande Apostolo S. Paolo, il quale insieme a Luca l’Evangelista approdò in questi lidi…”

Crescea di numero e prosperava la siracusana greggia, ma lunga ebbe a sostenere la lotta l’infaticabile Pastore [Marciano] …. che dopo lungo ed efferato martirio fu trucidato (Gaetani, Vita S. Marciani; Mancaruso, Kal. Syrac.). Se non che la tenera pianta aveva messo profonde le sue radici ed era innaffiata dal sangue del primo Pastore [Marciano], che con tanta cura piantata l’avea e con tanti sudori più di 25 anni coltivata, cresceva più rigogliosa. E di più la irrorava il sangue di numerosa schiera di Martiri….

Al mobilissimo vanto di essere questa Chiesa di origine Apostolica, si aggiungono i fasti gloriosi di essa, che sono celebri e chiari come la luce: la successione dei Vescovi, dopo il primo Marciano (Scobar, Pirro, Mancaruso); gli Atti dei Martiri e Confessori, registrati nei più vetusti Menei, Sinassari e Martirologi delle Chiese d’Oriente e d’Occidente (Logoteta, Cesare Gaetani); le testimonianze di Sommi Pontefici (Nicolò I, Leone X, Clemente VIII, Gregorio XVI) e di gravissimi scrittori; i venerandi monumenti dei cimiteri, delle catacombe e della cripta dello stesso S. Marciano, che fu la prima sua Chiesa e dov’è ancora il suo sepolcro, apertamente appalesano queste glorie.”

Sulle Catacombe di S. Giovanni il Privitera aggiunge nella nota 2 (p. 5): “Chi… visita la prima Chiesa Cattedrale di Sicilia, a S. Giovanni fuori le mura, dove il Santo Pastore Marziano, assieme ai neofiti suoi compiva i sacrosanti misteri, e passa quindi nelle contigue catacombe, ad ammirare fra gli archi e le cupe volte delle cappelle e dei sepolcri dell’immensa netropoli le iscrizioni e le cristiane pitture di monogrammi, di simboli, d’immagini del Redentore e della Divina Madre, non può non volare col pensiero ai primordi del Cristianesimo…” .

“E quanto questa Chiesa abbia saputo esser sempre grata al Principe degli Apostoli suo fondatore, al grande suo Ospite [S. Paolo] ed al suo primo Vescovo e Pastore [Marziano], ne fan fede i templi e gli altari, le statue e le pitture, ed un culto di venerazione e di onore prestato a loro sin dai primissimi tempi del Cristianesimo.”

Nella nota 3 (p. 5) il Privitera dice: “Il Beato Germano, Vescovo di Siracusa, nella seconda metà del secolo IV, con altre chiese due ne edificò a S. Paolo, che sono parrocchiali: la prima rimane ancora tutto dell’antica; la seconda fu riedificata sulle rovine di quella, che interamente cadde col terremoto del 1693. In sull’entrata del Duomo… si vedono le belle statue di marmo, fatte apporre da Mons. Francesco Testa, di S. Pietro, nel cui piedistallo è scritto: “Al Principe degli Apostoli, suo fondatore, la Chiesa Siracusana pose”; e di S. Paolo, ove si legge: “All’Apostolo delle Genti suo ospite, la Chiesa Siracusana pose”.

Delle immagini, degli altari e del culto prestato sin dai primi secoli al primo Vescovo S. Marziano, sono piene le memorie ed i monumenti di questa Chiesa”.

 

D. LANCIA DI BROLO

Nella sua Storia della Chiesa di Sicilia..., cap. II, Della origine della Chiesa di Sicilia e dei suoi primi Apostoli e Fondatori (p. 44s.), dopo aver giustamente premesso che “è dovere dello storico sceverare con sana e temperata critica il certo dall’incerto… e da ciò che un’esagerata carità di patria o di religione hanno aggiunto o travisato”, sulla base di un’accurato esame delle fonti, rivendica l’origine apostolica delle Chiese di Taormina, fondata da S. Pancrazio e di Siracusa, fondata da S. Marciano. Su S. Pancrazio e la sua “Storia” del discepolo Evagrio, scrive: “E’ certo che i principali fatti erano da tutti ritenuti come certi ed autentici…Erano tradizioni più antiche che S. Pancrazio fosse venuto in Taormina mandatavi da S. Pietro…Ora una tradizione che nel secolo VIII era già antica e universale non può da noi oggi rigettarsi per la sola ragione che dopo fu bruttata da molte favole.”

Riguardo all’ “Encomio di S. Marciano” e a S. Pellegrino scrive:“A me pare che l'oratore quanto dice che S. Pellegrino, imbevuto alla scuola, ossia della dottrina di questo divino predicatore Marciano fu anch'esso martire perfetto di Dio, intenda dire che veramente sia stato suo immediato discepolo, ma piuttosto nel suo linguaggio enfatico e declamatorio che S. Pellegrino, pieno dello spirito di S. Marciano fu Apostolo e martire della fede cristiana in Sicilia. Tanto decaduti gli studi e tanto ignoranti al VII secolo erano in Siracusa che pure pochi anni prima era stata residenza imperiale, da non sapere quanto imperarono Valeriano e Gallieno? Tanto rozzo quest'oratore ed il suo uditorio da credere S. Marciano discepolo di Pietro nel primo secolo e martire nel terzo?” Nella nota 1, il Di Brolo aggiunge: “...Se l'autore nell'esordio dice che “citerà gli scritti dei gloriosi Confessori e Martiri che nei suoi (di Marciano) tempi fiorirono e conseguirono la corona dell'immortalità”, deve intendersi in senso generale di tutto il tempo delle persecuzioni, non di questa sola di Valeriano, della quale S. Pellegrino non avrebbe potuto scrivere la storia, s'egli stesso ne fosse stato vittima.”

A p. 100, dopo aver riportato il passo riguardante la persecuzione di Valeriano e Gallieno, da noi sopra citato nelle fonti e che col Gaetani riferiamo invece a quella neroniana, aggiunge: “Se questo scritto è veramente di S. Pellegrino, egli dunque non ha potuto morire nella persecuzione di Valeriano e Gallieno, mentre ne ha narrato la storia, ma in altra appresso, poiché il suddetto encomiaste siracusano ci dice che “S. Pellegrino ammaestrato dalla dottrina di S. Marciano divenne perfetto testimonio di Dio, e nel monte che si addimanda Cacume della Crotali, pari morte e uguale trionfo riportò insieme col martire Libertino vescovo di Girgenti.”

Quale oggi sia questo monte non si conosce ed è impossibile rintracciarlo; dal fatto che S. Pellegrino è venerato qual Patrono di Caltabellotta, succeduta all'antica Triocala, credo possa congetturarsi , che per una trasposizione di sillabe solita in molti dialetti e nel volgare siculo, questo monte sia appunto quello di Triocala. La leggenda che ne ha pubblicato il P. Gaetani è tanto scorretta che non può ricavarsene alcun costrutto né per la sua vita, né per la sua epoca. La memoria di questi santi è onorata al 3 novembre.”

Nella nota 2 a piè pagina il Di Brolo aggiunge: “Fo qui notare che in nessun codice liturgico del Greci, antico o moderno, Menei, Menologio, Sinassario o altro che sia trovasi mai menzione dei SS. Libertino e Pellegrino; questo mostra che il loro culto non uscì mai da Girgenti.”

 

Nostre osservazioni al Di Brolo.

L'ultima nota è in parte inesatta perché il Santo è indicato al 30 gennaio nel Calendario Marmoreo di Napoli, e il suo nome e il culto sono attestati nel secolo VII (cfr. “Il nome Peregrino”).

Contrariamente a quanto opina il Di Brolo, non c’è anzitutto da meravigliarsi, come già notavano il Gaetani ed altri, del “lapsus” cronologico degli autori dell’Encomio e del Martirium-Passio. Il Di Brolo poi, volendo mantenere l'origine apostolica della Chiesa Siracusana fondata da S. Marciano, ricorre all'inverosimile ipotesi che S. Peregrino e S. Libertino non siano suoi contemporanei, come invece risulta chiaramente dai due testi, ma che siano morti martiri nel III secolo sotto Valeriano e Gallieno. Questa difficoltà, ripetiamo, è invece facilmente superabile correggendo Valeriano e Gallieno con Nerone. Resterebbe poi l'obbiezione che Pellegrino non avrebbe potuto scrivere il martirio di S. Marziano se anch'egli fosse morto nella stessa persecuzione (secondo noi la neroniana). Ma anche questa difficoltà viene meno se, secondo il manoscritto italiano, S. Pellegrino non morì bruciato dalle fiamme ma sopravvisse miracolosamente per diversi altri anni.

Va corretto poi il severo giudizio negativo sul “Martirio” di S. Peregrino e Libertino, che, come abbiamo visto, a parte l’errore cronologico, non contiene certamente le grossolane “favole della Vita di Evagrio”. Col riferimento infine alla tradizione di Caltabellotta, implicitamente il Di Brolo riconosce l'esistenza di un solo S. Pellegrino.

 

FRANCESCO LANZONI E LE ORIGINI APOSTOLICHE DELLA CHIESA SIRACUSANA

Mons. Lanzoni, ignorando il Di Brolo, sulla base di un esame delle fonti certamente non completo e più superficiale, nega recisamente l’origine apostolica delle Chiese Siciliane, considerando inventate nell’ottavo secolo, e senza valore storico le numerose testimonianze, non solo quelle occidentali ma anche quelle della Chiesa d’Oriente, primo fra tutti il Sinassario Costantinopolitano (il Lanzoni trascura gli altri testi), che certamente non dipendono dagli scritti del lontano Occidente dell’Encomio e del Martirium, com’egli crede, ma riportano la secolare tradizione dei Patriarcati orientali, specie quello di Antiochia, da dove furono mandati S. Marciano e S. Pancrazio. Per quanto poi riguarda il (presunto) grossolano errore commesso dall’autore dell’Encomio di S. Marciano, il quale sarebbe vissuto 3 secoli circa!, anche Il Lanzoni considera certo il martirio al tempo di Valeriano e Gallieno e assegna i due santi con S. Berillo di Catania, S. Pellegrino e Libertino al III secolo.

Il Lanzoni però implicitamente si contraddice perché considera certa la presenza della Chiesa in Sicilia con numerosi fedeli e la sua gerarchia già nei secoli precedenti. Infatti nella Lettera sui “Lapsi” mandata nel 250 dal clero di Roma a S. Cipriano (Ep. 31, in PL. IV, coll. 307-315), è detto che un’altra lettera era stata spedita in Sicilia, sullo stesso argomento. “Da ciò risulta”, egli dice (cfr. La prima…, p. 57s.), “che la Sicilia alla metà del III secolo possedeva una comunità cristiana ragguardevole e numerosa… E la lettera doveva essere rivolta ai capi delle chiese … investiti dell’autorità episcopale. Queste chiese esistenti in Sicilia nel 250-251, secondo tutte le verosimiglianze, non potevano essere sorte e diventare numerose in breve spazio di tempo…La formazione e lo stabilimento di una cospicua comunità cristiana… richiedeva uno spazio d’anni non indifferente. Quindi noi possiamo collocare i primordi della Chiesa o delle chiese di Sicilia almeno alla fine del secondo o al principio del terzo secolo.” E riguardo alla chiesa siracusana, ammette che “nel secolo VIII, quando fu scritto l’Encomio, i dittici di Siracusa verosimilmente non erano perduti”; per cui se l’agiografo asserisce che S. Marciano è stato il primo vescovo di Siracusa, “su questo punto ha un peso non trascurabile” (Le diocesi…, 620).

Dello stesso parere è anche l’Orsi sulla base della Lettera di Costantino al Vescovo Cresto di Siracusa del 314. e delle ricerche archeologiche. Con essa lo invita a recarsi al sinodo di Arles per combattere lo scisma donatista. “ Cio dimostra che da assai tempo esisteva in Siracusa una potente comunità cristiana diretta da Vescovi, ai quali ora Costantino riconosce la supremazia ed il primato su tutta l’isola. Questo prezioso documento coincide esattamente coi dati della ricerca archeologica, la quale ha dimostrato come Siracusa possieda i più antichi e grandiosi cimiteri di tutta l’isola…” (Notizie degli scavi, 1906, 242).

Anche il Rizzo (I, 18) considera frettolosa ed eccessiva la sua “disinvoltura” con cui, rigettando con eccessiva severità (per noi in modo preconcetto, scettico e acritico) la storicità delle fonti agiografiche, considerate “torbide e favolose”, cancella parecchi santi siciliani dei primi secoli, fra i quali, il Peregrino Vescovo di Triocala e i martiri siracusani sotto Nerone; ma salva Libertino e Peregrino martiri.

E noi aggiungiamo. E’ da premettere che gli studi di Mons. Lanzoni, che cerca in ogni modo di demolire l’origine apostolica, “peccano di eccessiva rigidità critica, per non dire di scetticismo” (Orsi, Sicilia bizantina, 218). Ottavio Garana (Le catacombe…, 381) riporta in proposito queste opportune considerazioni: “ Per negare che nessuna chiesa o diocesi italiana, all’infuori di Roma, può essere fatta risalire al I secolo, ossia a fondazione apostolica o di discepoli di apostoli, bisognerebbe negare, siccome molto giudiziosamente osservava al Lanzoni Mons. Pulignani, la rapida diffusione che dappertutto ebbe subito il Cristianesimo, non solo in Oriente ma anche in Occidente, siccome d’accordo con scrittori cristiani del primitivo Cristianesimo, per esempio S. Giustino, attestano anche autori pagani come Plinio e Tacito. Cosa ben curiosa! Mentre i critici riconoscono l’antichità e l’origine apostolica di paesi lontani da Roma, non vogliono riconoscere in Italia una diocesi sola avanti il IV secolo! Ma che cosa facevano, di grazia, i Papi di Roma, se

essi, solleciti della conversione del mondo , non muovevano un dito per convertire i pagani d’Italia?”

Perché non “collocare i primordi” all’epoca apostolica, come conferma la tradizione e lo Scobar, che inizia l’elenco dei vescovi siracusani proprio con Marciano, mandato da S. Pietro? Non è poi verosimile che invece che ai detti santi vescovi (Marciano a Siracusa, Pancrazio a Taormina, Berillo a Catania, Libertino ad Agrigento e Pellegrino a Triocala) si attribuisca il primo annuncio del vangelo ad altri anonimi predicatori o a piccoli gruppi di fedeli cristiani immigrati, assistiti in seguito da vescovi cd. “excurrentes”, cioè senza sede fissa, secondo l’ipotesi fantasiosa del Lanzoni. E come avrebbe potuto S. Pietro nei suoi venticinque anni di pontificato romano e anche prima non provvedere a mandare apostoli ad annunciare il Vangelo nella grande e importante isola della Sicilia, al centro del mediterraneo e dell’impero romano? Non avevano fatto così sia lui che l’Apostolo Paolo subito dopo la resurrezione di Cristo, obbedendo alla sua parola (Matt. 28,19): “ Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato?” E poteva la fede cristiana essere diffusa da sparuti gruppi di fedeli in un mondo pagano, i quali non avevano certo la forza e i carismi degli apostoli e dei loro discepoli? Non dice l’Apostolo Paolo (Rom. 10,15): “ Come potranno [le genti] credere [in Cristo] senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunci? E come lo annunzieranno senza essere prima inviati?” Ecco dunque che da S. Pietro furono inviati ed annunciarono il Vangelo i protovescovi Marziano, Pancrazio, Peregrino e Libertino!

Si tenga poi presente che, se essi furono i primi vescovi, non preceduti da altri del II e III secolo, non è verosimile che siano morti nella stessa persecuzione di Valeriano e Gallieno, durante la quale, sette anni dopo la detta lettera sui Lapsi, fu martirizzato lo stesso S. Cipriano!

Ma il Lanzoni ed altri dopo di lui, trascurano le importanti, autorevoli conferme dei Papi, dell’origine apostolica delle Chiese di Sicilia. Nella Lettera di Papa Innocenzo I a Decenzio Vescovo di Gubbio del 19 marzo 416 (PL 20, 552) (due secoli ca. prima di Papa Gregorio Magno!) è detto con forza: “ A tutti è manifesto che in tutta l’Italia, la Gallia, l’Africa e la Sicilia e le isole adiacenti nessun altro se non il venerabile Apostolo Pietro istituì le Chiese, o i suoi successori, coi sacerdoti da essi costituiti”.

Quindi anche le sedi episcopali di Sicilia sono riconosciute di origine apostolica Petrina!

“Quando”, scrive il Privitera (La più antica Chiesa…, 11), “nel secolo VIII, l’Imperatore iconoclasta Leone Isaurico spogliava la Santa Sede dell’antico Patrimonio di S. Pietro in Sicilia e distaccava l’Isola dal Patriarcato di Roma, aggregandola a quello di Costantinopoli, ed elevava al tempo stesso la Chiesa di Siracusa a Metropolitana con assoggettarle in suffraganee le chiese tutte di Sicilia e delle isole adiacenti (Nilo Doxopatrio, De quinque thronis patriarch., l. I, c. 24), i Romani Pontefici… non vollero mai cedere al giusto diritto di consacrare essi il vescovo di Siracusa; diritto che mantenevano sin dai tempi apostolici.” Infatti Papa Nicolò I nella Lettera mandata all’Imperatore Michele III, del 25 settembre 860, avoca a sé la consacrazione del Vescovo di Siracusa, perché “la tradizione che dagli Apostoli ci è pervenuta non sia in questi tempi violata” ( volumus ut consecratio Syracusano archiepiscopo nostra a sede impendatur, ut traditio ab apostolis instituta nullatenus nostris temporibus violetur”). “Vedi dunque”, dice il Gaetani nell’Isagoge, “che già dagli Apostoli e fino a Papa Nicolò, per ca. 820 anni, il vescovo siracusano, mandato dall’Apostolo Pietro, fu ordinato in seguito dai successori del Beato Pietro, e questa tradizione e usanza non fu mai violata.” Dello stesso parere anche il Di Giovanni che annota: “Importante questo passo per confermare l’apostolica istituzione della Chiesa Siracusana” (cfr. Di Giovanni, Codex I, 138. Testo in M.G.H., Ep. VI, 439 e PL. 119,779 da Mansi Conc. XV,167).

La stessa venerabile tradizione è stata confermata, in modo esplicito da altri Sommi Pontefici: Papa Leone X nel diploma dell’anno 1517, riportato dal Pirro (II, 599), afferma: “ La Chiesa siracusana è la prima figlia di S. Pietro e la seconda consacrata a Cristo dopo l’Antiochena”. Papa Clemente VIII, nel suo “Breve” del 4-9-1602 scrive: “Noi amiamo paternamente questa città insigne per antichità e splendore, degna di lode e meritevole per la devozione verso questa sede che è a capo della fede cattolica e che presediamo senza merito ma per volontà di Dio; e a voi rivolgiamo la benevolenza nel nome del Signore”. Da lui inoltre fu approvato per la Chiesa di Gaeta e dal suo successore, Alessandro VII (1655-67) per la Chiesa Siracusana, l’Ufficio Proprio di S. Marziano, che dice espressamente: “Marziano, discepolo del Principe degli Apostoli, S. Pietro, mandato dallo stesso in Sicilia con Pancrazio, nella città di Siracusa, di cui fu Vescovo, convertì una moltitudine di uomini”. E nella Bolla del 15 maggio 1844, con cui Papa Gregorio XVI restituì alla chiesa siracusana la dignità metropolitica, è detto: “ E’ cosa illustre e gloriosa che l’Episcopato della Chiesa Siracusana sia insigne per l’apostolica istituzione nel primo secolo dell’era cristiana; ne fu investito S. Marziano discepolo del Principe degli Apostoli...”. Data la sua importanza riportiamo (da Cesare Gaetani, Narbone, Privitera) il testo latino: “Illud vero praeclarum sane ac gloriosum, quod eius ecclesiae episcopatus, primo aere cristianae saeculo apostolica institutione insignis subinde a S. Martiano Apostolorum Principis discipulo susceptus est; cuius immortali Antistitis opera ac labore tam altis ibi est christiana fides defixa radicibus , ut bacchante ethnicorum furore, fortissimorum Martyrum sanguine siracusana Ecclesia perfusa coruscaret”.

La mancata menzione dell’apostolicità nelle lettere di Papa Gregorio Magno e nella Vita del Vescovo Zosimo non depone contro l’origine petrina di Siracusa, come invece pensa il Lanzoni. Dice bene P. Magnano (Siracusana Ecclesia I, 63): “Il silenzio sull’origine petrina della chiesa siracusana nella Vita di S. Zosimo, non è un argomento che inficia l’origine apostolica della chiesa siracusana; tutt’altro. L’anonimo autore… non aveva bisogno di ribadire un fatto comunemente accettato.” Inoltre un sottinteso riferimento all’origine petrina possiamo riscontrarlo nella consacrazione episcopale romana di Zosimo, da lui richiesta per Onnipotentem Deum ac sanctum Petrum (ib. n. 31). Lo stesso vale per le lettere di Papa Gregorio. Ed anche per lui possiamo sottintendere il riferimento all’apostolicità nel privilegio del “Pallio” al vescovo Giovanni, concesso per rispettare “l’antica consuetudine”; infatti il Papa “vuole confermare con la sua autorità e conservare illibati tutti i privilegi che è certo sono stati da tempo concessi alla sua Chiesa” [siracusana] (cfr. PL. 77, 806. MGH. I,Ep. I, 397.10). Ed il primo e più importante privilegio era proprio la fondazione ad opera del protovescovo Marziano ordinato da S. Pietro. Aggiungiamo che la nomina del Vescovo Massimiano a vicario della sede apostolica in Sicilia, concessa da S. Gregorio non loco sed personae (PL.77, 573; cfr. Garana, I Vescovi di Siracusa, 70), invece che intenderlo col Lanzoni ed altri, come “non concessa alla sede episcopale di Siracusa ma a te per le tue virtù e meriti”, si può intendere in questo modo:

non è concessa a Siracusa perché città più importante della Sicilia, ma a te, non solo come persona meritevole ma anche e specialmente come successore del discepolo di S. Pietro, Marciano (cfr. P. Magnano, 69,n. 52).

 

LA CRIPTA DI S. MARZIANO

Ma c’è la prova sicura dell’antichità del culto di S. Marciano data dalla sua Cripta.

Premettiamo l’autorevole testimonianza della millenaria tradizione, riportata nel cap. XXVIII dell’Isagoge (p.204) del Gaetani, che risale alla fine del 1500, un secolo prima circa del terremoto del 1693. Il Gaetani, assieme all’altro studioso siracusano Vincenzo Mirabella (1570-1621), fu uno dei primi ad esplorare, studiare, portare alla luce e trascrivere alcune lapidi sepolcrali cristiane scritte in greco, delle catacombe di S. Giovanni. Ecco le sue parole: “Per prima furono sepolti in quelle cripte i corpi dei Santi Martiri, il Vescovo Marciano e Lucia Vergine. Secondo la tradizione tramandata dai nostri Antenati, ci vengono mostrati i loro sepolcri scavati nella pietra: quello di S. Marziano nell’estremo antro dei Pelopi verso Occidente; quello di S. Lucia ad Oriente, vicino al porto minore. E’ certo il culto e la venerazione di questi sepolcri e nessuno può dubitare che altri cristiani poterono essere sepolti vicino al luogo dove erano posti questi due Martiri”.

Questa veneranda tradizione è stata confermata dagli accurati scavi e studi fatti dagli insigni archeologi Paolo Orsi, Giuseppe e Santi Luigi Agnello. Ecco in breve le risultanze.

Giuseppe Agnello (cfr. La cripta… . Garana, Le catacombe…, 382ss.) rigetta e confuta in modo chiaro e documentato l’opinione errata dell’Amore che, “abbassando in maniera inverosimile la datazione”, vorrebbe far risalire la primitiva sistemazione della cripta all’epoca normanna! “La prima sistemazione infatti dovette precedere di diversi secoli quella cosiddetta normanna … e deve farsi coincidere con la fine del V e i primi del sesto secolo. Essa, poi, non esclude, ma al contrario conferma che la cripta è stata luogo di culto anche in età precedente. [E’ quindi probabile, anzi verosimile, aggiungiamo noi, che essa risalga proprio al primo secolo, come s’è detto sopra]. La presenza dei diversi ipogei conferma l’abitudine, largamente diffusa fra i cristiani, di voler trovare sepoltura “ante fores martirum”. Bisogna quindi concludere che, anteriormente al VI secolo, la cripta formava già oggetto di culto per la presenza del sepolcro di un martire o personaggio venerato e che proprio con l’avvento bizantino, la cripta ricevette la prima radicale trasformazione…”. L’esistenza della basilica bizantina, sopra la cripta negata dall’Amore, testimoniata dalla lettera del monaco Teodosio dell’878, è confermata da due importanti scoperte ignorate dall’Amore: “Un nucleo imponente di frammenti di sculture bizantine, le quali facevano parte di plutei della cripta e della stessa basilica…”; e “nella basilica, numerose fosse terragne di tipo campanato, che hanno evidenti riscontri con quelli delle catacombe e che sarebbe assurdo riportare in epoca normanna.” Altra prova della basilica prenormanna è data dall’esame diligente, fatto dall’Agnello e trascurato dall’Amore, delle strutture murarie e delle pitture palinseste.

I giudizi di Giuseppe Agnello sono stati autorevolmente confermati, dopo gli scavi del 1963, dallo stesso archeologo e dal figlio Santi Luigi in numerosi successivi contributi, fino all’ultimo di S. Luigi (A proposito …., 1997-98), che li riassume e corregge le errate ipotesi di altri studiosi. Ne riporto i punti salienti e ad esso rimando per i numerosi aggiornati riferimenti bibliografici.

Di recente due studiosi, A. Messina (L’Encomio, 1995) e R. Flaminio (Il pavimento.. 1997), riprendendo la vecchia ipotesi dell’Amore, sono tornati ad attribuire la cripta di S. Marziano e la sovrastante basilica di S. Giovanni ad età normanna, la Flaminio all’XI sec. e il Messina addirittura al XIV.

Ma gli scavi dell’Orsi del 1904 e del 1932 e quelli di G. Agnello del 1963 hanno dimostrato che la cripta è installata su un sepolcreto certamente cristiano (come provano le epigrafi rinvenute) caratterizzato da arcosoli scavati nelle pareti rocciose e tombe (campanate) a fossa sub divo. Altro dato incontrovertibile è che la cripta fu realizzata in parte resecando le pareti di roccia, in parte inglobando porzioni dell’area subsidiale. Essa era un martirium, cioè una chiesa in onore di un martire, che la tradizione attribuisce ab antiquo a S. Marziano; aveva la forma di cella tricora, con l’aggiunta in un recesso di un solo sepolcro con fenestella confessionis. La sovrastante basilica, con l’asse centrale sopra il sepolcro del martire è in indubbio rapporto costruttivo con la tricora, ed ha la funzione di chiesa martiriale; fu edificata nel V-VI sec., perché il cimitero fu attivo almeno fino al 423, data fornitaci da un’iscrizione sepolcrale consolare. Probabilmente, sempre secondo l’Agnello, cripta e basilica furono innalzate durante la dimora a Siracusa di Papa Virgilio, fra il 537 e il 545.

I detti due studiosi, ignorando i dati degli scavi del 1904 - 32 e 1963, “non hanno compreso che di epoca normanna è soltanto la seconda fase del monumentale complesso.” Inoltre l’opera a blocchi squadrati dell’abside è di età bizantina; e così anche gli ornati del pavimento della cripta (opus sectile), tecnica diffusa in tutta l’area del mediterraneo dal V al XIII sec. E mentre il Messina e la Flaminio “non sono stati in grado di produrre un solo confronto iconografico con i santuari siciliani dei secc. XI e XII, stante la matrice paleocristiana del martyrium”, l’attribuzione al VI sec. è confermata, oltre che da coevi monumenti cristiani di Bisanzio e della Siria, dalle sculture lapidee, di stile e tecnica certamente protobizantina, scoperte dall’Orsi nel 1932, dietro l’abside della basilica, con graffiti in lingua greca.

Cadono perciò le ipotesi infondate e fantasiose dell’Amore (seguito purtroppo dai due citati studiosi), che è un agiografo e fa un esame superficiale, preconcetto e incompleto del monumento. Certamente invece risulta sicura l’attribuzione della cripta e della chiesa martiriale al periodo paleocristiano, non solo per l’autorità degli insigni archeologi, l’Orsi e specialmente i due Agnello, siracusani, cattedratici di Archeologia Cristiana, che per oltre 80 anni hanno studiato e scavato i monumenti di Siracusa, ma soprattutto per la conferma data dai reperti archeologici, che rendono fasulle e inverosimili le ipotesi contrarie.

In conclusione la tradizione monumentale della cripta di S. Marziano, lungi dall’essere smentita, risulta confermata ed essa “può essere giustamente considerata come uno dei monumenti paleocristiani tra i più importanti della Sicilia.”

Ed altre considerazioni e dati archeologici possiamo aggiungere. Paolo Orsi (ASSO, anno II, fasc. II) rinvenne nelle catacombe di S. Giovanni adiacenti alla cripta un nucleo di cubicoli ed arcosoli risalenti al III secolo. Ora argomenta bene C. Barreca (Per la storia… 1945, 2): “ Poiché la Cripta di S. Marziano si trova a capo delle catacombe di S. Giovanni, è molto evidente che l’epoca della cripta deve essere anteriore alle stesse catacombe ..; e ciò perché i primi cristiani desideravano di essere seppelliti accanto alla tomba di un martire…”. Ed ancora più antiche, risalenti al II secolo sono considerate dallo stesso Orsi i primi nuclei delle catacombe dell’ex Vigna Cassia, di S. Maria del Gesù e di S. Lucia (Notizie degli scavi, 1918, 275). Di conseguenza, dice il Barreca, “la diocesi di Siracusa ha dovuto essere fondata prima del II secolo, perché le catacombe sono opera posteriore alla fondazione della diocesi”. “E’ infatti impossibile che i cristiani che già nel II secolo si costruiscono cimiteri propri non siano organizzati in comunità e questa sia stata acefala; senza un capo che le avesse dettato leggi liturgiche per il culto verso i defunti, leggi nell’arte per costruirsi i sepolcri, leggi nel suggerire agli artisti il soggetto delle figurazioni simboliche e bibliche, proprie dell’epoca…” (Barreca, I primordi… , 10).

Questi contributi, notiamo col precedente studio di P. Magnano (Siracusana Ecclesia, 32) sono “di enorme portata per la storia della chiesa siracusana”; ed anche, aggiungiamo noi, delle altre chiese siciliane che vantano origini apostoliche, compresa Triocala! Essi danno la certezza che la tradizione era non solo anteriore al secolo VI ma risaliva ai primi secoli e, pertanto, non fiorì alla fine del secolo VII-VIII, data di composizione dell’Encomio e del Kontakio”. Gli autori delle fonti di Marciano e degli altri protovescovi siciliani si basano invece sulle tradizioni orali e scritte delle chiese locali e sui “dittici”, cioè gli elenchi cronologici dei loro vescovi; scritti e dittici allora custoditi negli archivi e poi andati perduti.

Cadono dunque, anche con questa conferma archeologica, le ipotesi dell’invenzione della leggenda di S. Marziano protovescovo mandato da S. Pietro, avanzata dal Lanzoni ed ancora oggi accettata dagli studiosi.

Infatti E. Platagean, sulla scia del Lanzoni, vorrebbe mettere la formazione delle “leggende” delle origini apostoliche delle chiese siciliane, ad opera di monaci dell’VIII-IX secolo, in relazione con la difesa delle presunte “tesi pontificali” della Chiesa di Roma in opposizione alla Chiesa di Costantinopoli. Constatazioni che il Rizzo (I, 54) considera “saldamente acquisite” dalla storiografia posteriore.

Ma a parte il fatto che non c’è alcuna testimonianza esplicita a conferma nelle fonti antiche, e non è verosimile che ciò abbia indotto i vari autori a inventare di sana pianta queste “favolose” origini, bisogna tener presente che contrasti per il primato e rappacificazioni, separazioni, eresie, scismi con l’impero e la chiesa d’Oriente cominciarono poco dopo la fondazione di Costantinopoli, riguardarono anche i grandi Papi Leone e Gregorio, e durarono fino allo scisma di Fozio ed oltre.

Inaccettabili anche le inverosimili cavillose ipotesi del Morini e del Messina, basate anch’esse sulla presunta rivendicazione dell’apostolicità nel secolo VIII. Il Morini considera S. Marciano, che pure nell’Encomio è più volte dichiarato apertamente primo vescovo, come “apostolo fondatore” e non protovescovo; la sua apostolicità, inventata nella Siracusa bizantina dell’VIII secolo, sarebbe stata di tipo provinciale, al fine di rivendicare l’autonomia da Roma. Per il Messina invece l’apostolicità significherebbe autonomia non solo da Roma ma anche da Costantinopoli. Secondo il Morini (Sicilia…,133) il Sinassario Costantinopolitano riguardo ai “protomartiri” siciliani Agata, Euplo e Lucia “recepisce quelle memorie che erano ab immemorabili patrimonio del martirologio siciliano”. Invece per i veri protomartiri Marciano, Pancrazio, Berillo e gli altri, il Sinassario avrebbe “accolto la tarda tradizione formatesi (meglio “inventata”) in un arco di tempo che va dal primo quarto dell’VIII secolo ai primi anni del IX” (144). Opinione infondata e inaccettabile, perché la memoria di questi protovescovi apostolici era ancora più antica e “ab immemorabili patrimonio del martirologio siciliano”, come già affermava Lancia di Brolo. Ed era certo ben nota sin dalle origini non solo alle chiese siciliane ma anche ai patriarcati orientali, che la avevano recepita integrandola con le loro tradizioni su S. Pietro e S. Paolo e gli altri santi provenienti dall’Oriente, come Marziano e Pancrazio. Dati gli intensi scambi dottrinali e di conoscenze, specie quelle riguardanti le vite di santi e martiri, fra la chiesa occidentale e quella orientale, attestata dagli scrittori ecclesiastici dai primi secoli in poi, specie i grandi Padri, dai Concili, dagli Atti dei Papi e degli Imperatori, è assurdo pensare che questa tradizione sia stata “inventata” nell’VIII o IX secolo! lto la tarda tradizione formatesi (meglio "zio, Berillo e gli altri, il Sinassario avrebbe

Inaccettabile anche l’ipotesi del Calderone (49s.) (che vuole retrodatare l’ “invenzione” al secolo VII), secondo il quale questa “invenzione” da parte dell’Encomio dell’origine petrina della chiesa siracusana sarebbe dovuta ad “una sorta di imitatio della Chiesa di Roma, sede della Cathedra Petri, legata al periodo in cui Siracusa fu metropoli del thema di Sicilia e negli anni 663-72, capitale dell’impero bizantino in luogo di Costantinopoli”. Ipotesi non conciliabile, nota bene il Cataudella (209,n.7), né con la brevità del tempo della presunta contrapposizione Roma-Siracusa né con la linea politica dell’Imperatore Costante, tendente ad interrompere la dipendenza siciliana dal pontificato romano, in favore del patriarcato di Costantinopoli”, come conferma l’introduzione del rito greco in Siracusa.

G. Otranto (46-49) accenna alla “penuria di fonti antiche autentiche e credibili a cui fa riscontro una ricca produzione agiografica altomedievale… da sottoporre ad un’analisi attenta per distinguere gli elementi storici da quelli fantastici”. Opinione condivisibile, a nostro giudizio, purché si evitino l’eccessivo criticismo e il preconcetto scetticismo. Invero lo studioso, correggendo il Lanzoni ed il Pricoco, riconosce le benemerenze “dei cultori di memorie locali, sempre preziosi per la conoscenza che hanno del territorio e delle sue tradizioni anche orali…. La Sicilia ha una propria tradizione storiografica cristiana, grazie all’opera dell’abate netino Rocco Pirro, il quale, anche utilizzando il materiale agiografico raccolto dal Gaetani, aveva ricostruito la storia delle più importanti diocesi siciliane, fornendo probabilmente un modello all’opera ughelliana e dando vita, insieme al Gaetani stesso, ad un fortunato itinerario storiografico che culminerà nella Storia della Chiesa in Sicilia di Lancia di Brolo, e che non trova riscontro in nessuna delle altre regioni”. Malgrado ciò, anche l’Otranto nega l’origine apostolica.

Notiamo però, alla luce di quanto abbiamo detto sugli studiosi del’’600-’800, che “le congetture ardite, le ipotesi, i collegamenti e le deduzioni non sempre giustificabili, sulla cui base vengono ricostruite le vicende cristiane..” (48), invece che ad essi vanno talvolta attribuite proprio agli ipercritici studiosi del nostro tempo!

Acconcia Longo segue il Lanzoni e data alla fine del VII secolo e l’inizio dell’VIII l’origine della “leggenda” dell’apostolicità delle chiese di Siracusa e Taormina. Essa sarebbe da mettere in relazione alla simile “leggenda” di un altro discepolo di S. Pietro, Apollinare, protovescovo di Ravenna. L’Imperatore Costante II nel 666 da Siracusa dove dimorava, emanò l’edditto di autocefalia e indipendenza da Roma della chiesa ravennate. Secondo noi è inverosimile che abbia dato credito a una “leggenda” inventata proprio in quegli anni e non invece a una tradizione degna di fede risalente ai tempi apostolici! La Longo invece afferma che “ sull’esempio di Ravenna, e forse in competizione con essa, anche la chiesa di Siracusa.. avrà individuato nell’origine apostolica uno strumento di nobilitazione che le assicurasse autonomia ed influenza” (43).

Ma queste ipotesi del Lanzoni e della Longo sono da scartare per vari motivi. Anzitutto per quanto riguarda l’antichità della chiesa ravennate, la stele con la figura del Buon Pastore rinvenuta in una tomba vicino alla basilica di S. Apollinare in Classe risale al II secolo (come le prime catacombe siracusane) (cfr. M. Mazzotti, art. Ravenna, in Enc. Catt., 560). Per Apollinare, il Baronio (Mart. Rom.) e gli AA.SS. (Julii V, 344-50) considerano fonte genuina la Passio, che lo dice antiocheno (come Marciano), discepolo di S. Pietro, mandato a Ravenna “per evangelizzare la moltitudine di popolo che vi dimorava” (come Marciano, Pancrazio, Pellegrino e molti altri). Invece l’incredulo Lanzoni (Le diocesi…, 619), al solito, la ritiene del secolo VII e favolosa, e data a quel tempo la nascita della “leggenda”. Ma gli studiosi posteriori affermano che “l’apostolicità del fondatore era conosciuta già ai primi del secolo VI, quando documenti e monumenti vi alludono chiaramente” (cfr. M. Mazzotti, artt. Ravenna, 561, Apollinare, 1638 ed in Bibl. Sanct., 240 ss.). Né ci sono validi motivi per considerare “storicamente inammissibile” l’origine apostolica di Apollinare, ricorrendo magari a un’altra fasulla ipotesi che daterebbe la “leggenda” al tempo di Teodorico. Al contrario essa risulta storicamente ammissibile e certa!

Caduta dunque l’ipotesi del Lanzoni su Apollinare, cade anche quella della Longo e di altri su Marciano e gli altri protovescovi siciliani.

 

LA CHIESA SIRACUSANA E’ DI ORIGINE PETRINA E NON PAOLINA

Michele Cataudella invece non segue l’opinione oggi dominante: dal Van Hoof al Lanzoni, Amore, Pincherle, Platagean, Calderone, Rizzo, Pricoco, Siniscalco, Cracco Ruggini, Acconcia Longo, Wilson, Uggeri ed altri ancora; egli riprende la tesi dell’origine apostolica petrina. Secondo lui il fatto che secondo gli Atti degli Apostoli (28, 12) S. Paolo sostò a Siracusa solo tre giorni e non è detto che vi trovò dei “fratelli”, come avvenne invece a Pozzuoli (28,13s.), non esclude l’esistenza di una comunità cristiana, che era stata fondata da altri prima di lui.

E’ questa anche l’opinione del Cosentini (263), secondo il quale “nel ’61 vi erano già in Siracusa delle comunità cristiane…di origine non paolina… e Paolo ne conosceva l’esistenza”. Perciò evitò di incontrarle per non invadere il campo seminato da altri.

A conferma il Cosentini cita due passi delle lettere paoline. In Romani,15,20 è detto: “Mi son fatto un punto d’onore di non annunciare il vangelo se non dove ancora non era giunto il nome di Cristo, per non costruire su un fondamento altrui”; e 2Cor. 10, 15-16: “ Non ci vantiamo delle fatiche altrui… e delle cose già fatte da altri”.

Anche noi siamo dello stesso parere perché la chiesa siracusana era stata fondata da Marziano discepolo di S. Pietro e perciò S. Paolo non ne è il fondatore e non vuole “costruire su un fondamento altrui”! Non è poi verosimile che S. Paolo abbia potuto fondare una comunità in soli tre giorni. Ma ciò non esclude che Paolo abbia incontrato la comunità siracusana col suo vescovo e celebrato l’eucaristia. Il silenzio di Luca che omette la narrazione dei fatti è dovuto allo “studio brevitatis”, come giustamente osservava Cornelio A Lapide (Commentario sugli Atti degli Apostoli, 28,12).

Il Gaetani, nella sua Isagoge aggiunge ed integra il testo degli Atti su quello che fece S. Paolo a Siracusa ed in Sicilia (cfr. i capp. XIX-XXIII dell’Isagoge, specie il cap. XX “In quale anno l’Apostolo Paolo venne a Siracusa e che cosa vi fece”, p. 164 ) e dice: “Quello che fece a Siracusa l’Apostolo Paolo, nei tre giorni … tutti lo possono dedurre dall’esimia carità dell’Apostolo verso le Genti, il quale, pur in catene per Cristo, giammai si vergognò di testimoniare il Vangelo in ogni luogo. E questo è da credere che lo abbia fatto molto più ardentemente a Siracusa, dove la religione cristiana, che aveva avuto inizio 18 anni prima ad opera del Vescovo S. Marciano, era felicemente cresciuta” (e quel che segue nel Gaetani, che purtroppo non possiamo riportare). Dunque il Gaetani esclude che la chiesa siracusana sia stata fondata da S. Paolo e conferma chiaramente come fondatore S. Marziano mandato da S. Pietro.

L’ipotesi “paolina” è recente e fu proposta per la prima volta nel 1814 dal Di Blasi (Storia civile del Regno di Sicilia, IV, 582ss.) e ripresa dal Pace (Arte e Civiltà…, IV, 4-5) Garana ed altri. Non è esatto considerare “filopaolino” il Maurolico (Cataudella, 209, n.6; cfr. sopra “F. Maurolico”). Invero, continua il Cataudella “la matrice pietrina è proclamata con ampiezza e assoluta chiarezza di termini dall’autore dell’Encomio e da vari altri testi della medesima natura ed ispirazione, su cui bisogna evitare giudizi sommari e cercare il buono che c’è in essi. Nell’Encomio si distinguono due persecuzioni. La prima è messa in relazione col momento in cui la predicazione cristiana raggiunge gran successo e si espande presso il popolo, i pagani di Siracusa. Il testo lo conferma scandendo i fattori e momenti essenziali della predicazione cristiana: il Battesimo, i miracoli, la Trinità, la vittoria sull’idolatria, il sacrificio della croce e la redenzione ecc. Questa realtà sembra essere propria della prima età cristiana e storicamente distante da quella della metà del III secolo, al tempo della “seconda” persecuzione di Valeriano e Gallieno. Il Cataudella è l’unico studioso che mette a confronto i passi dell’Encomio con altri del Nuovo Testamento e dei primi scrittori cristiani. Ecco la sua nota (9, p. 212), che consideriamo molto importante: “ I fattori caratterizzanti della predicazione richiamati dall’autore (dell’Encomio) trovano senza difficoltà un riscontro neotestamentario (con richiami di età apostolica o apologetica, comunque anteriori al III secolo). Solo qualche esempio, per altro ben noto: Matt. 28,19; ICor. 12,4ss.; I Pietr. 4; Giov., 8,12ss., 10, 9ss, 11, 50ss. Efes., 1,7ss. (la Croce, la Redenzione, la salvezza); Giust. I Apol., 12; II Apol., 12; Dial. C. Trif., 39 (i demoni istigatori delle persecuzioni) ecc.”. “Marciano è il protagonista espressione del cristianesimo delle origini quale emerge dal nesso fra il cap. 4 ed il 5 che lega Marciano ai trionfi del Cristianesimo”.

Dunque il Cataudella riprende in buona parte, anche se con qualche dubbio ed incertezza, l’opinione tradizionale già espressa dal Gaetani, dal Pirro e dagli altri autori del ’600-’800, sopra riportati e che è anche la nostra. Possiamo integrarla con le notizie mancanti. Quella che egli considera “prima persecuzione” è, come abbiamo provato, quella neroniana, attestata dal “syngramma” di Peregrino, durante la quale subirono il martirio Marciano e gli altri martiri siracusani. Mentre però gli argomenti addotti dallo studioso a conferma dell’apostolicità di Siracusa fondata da S. Marciano sono convincenti e irrefutabili, l’ipotesi delle due persecuzioni, primo e terzo secolo, basate la prima sullo scritto di Peregrino la seconda su altre fonti, accennate all’inizio dell’Encomio, e durante la quale sarebbe morto martire Libertino, riesce poco credibile ed il Rizzo la scarta. Il Cataudella, considerando degna di fede la menzione dei due imperatori Valeriano e Gallieno, si trova in difficoltà per spiegare il grave errore cronologico che farebbe vivere Marciano più di due secoli.

Invece se col Gaetani, il Pirro e il Narbone, consideriamo il testo errato o corrotto e sostituiamo ai due imperatori la sola persecuzione di Nerone, si risolvono tutte le difficoltà senza supporre due persecuzioni.

Inoltre il Cataudella riconosce, con qualche riserva, valore storico alle fonti bizantine dei secc. VII-VIII. In proposito possiamo aggiungere che è inverosimile l’ipotesi dell’invenzione in quel tempo dell’origine apostolica delle Chiese siciliane, non attestata da nessuna fonte, specie per il fatto che proprio quei secoli furono il periodo aureo della cultura bizantina in Sicilia, soprattutto nelle scienze sacre, ma anche in quelle profane. Basta ricordare i dotti quattro Papi di origine siciliana, Sant’Agatone, San Leone II, Conone e S. Sergio (gli unici nella storia della Chiesa!); e poi i numerosi nomi di primo piano nelle diverse discipline della teologia, esegetica, oratoria sacra, storiografia, agiografia, poesia sacra e profana: Gregorio di Agrigento, Giuseppe Innografo, S. Metodio, Costantino Siculo, Pietro Siculo, ecc. ecc. (cfr. Q. Cataudella (padre di Michele C.), Cultura in Sicilia durante l’età bizantina).

Riguardo poi alla veridicità delle fonti siciliane greche e latine del V-VIII secolo, bisogna tener presente il saggio e prudente giudizio dei Papi e dei Vescovi diocesani, già chiaramente espresso nel cd. Decreto Gelasiano (V-VI sec.; cfr. Ench. Symb., 353-54), che “sui libri da accettare per l’uso della vita religiosa” dice: “Noi con tutta la Chiesa veneriamo con ogni devozione tutti i martiri e le loro gloriose lotte”; ma con particolare cautela non leggiamo le loro gesta quando possono essere considerate superflue o inadatte dagli infedeli e dagli incolti… Per questi libri bisogna seguire la sentenza del Beato Apostolo (Paolo) “Esaminate ogni cosa, mantenete ciò che è buono” (I Tess. 5,21).

Perciò sono da considerare, esagerate, preconcette ed infondate i facili dispregiativi giudizi degli storici moderni e contemporanei, che fanno “di tutta l’erba un fascio” e secondo i quali questi “Atti, Passiones, Bios, Vitae” di martiri e Confessori, raccolte in seguito nelle chiese greche e latine in Menologi, Menei, Sinassari, e Passionari, Lezionari, Leggendari, sarebbero favolosi ed inventati come gli apocrifi della Bibbia, ed anche, per alcuni, come i romanzi ellenistici pagani; infarciti non solo di citazioni bibliche ma anche di storie profane, mitologia, favolistica, novellistica; scritti per soddisfare la curiosità delle plebi e per ragioni di edificazione dei fedeli e di elogio dei santi ed apologia della fede cristiana (cfr. art. Agiografia e Agiologia, in Enc. Catt.). Comunque questo contributo controcorrente dell’autorevole cattedratico di storia greca nell’università di Firenze a sostegno della tesi tradizionale è per noi molto importante e impedisce la facile critica scettica e demolitrice del “mito delle origini”! Non è un mito ma una verità tramandata con “assoluta chiarezza”.

Gli altri citati studiosi odierni contrari all’origine apostolica, con in testa il Pricoco coi suoi numerosi contributi, ripetono le obbiezioni sopra discusse e respinte, aggiungendo al più qualche modifica o altre confuse e incerte ipotesi non suffragate da sicure testimonianze. A coloro che si basano su errori cronologici e ipotesi infondate e fantasiose e “inventano” (loro!) personaggi, vicende e tempi diversi, noi crediamo di aver dimostrato la fondatezza delle origini apostoliche petrine, non solo di Siracusa ma anche di altre diocesi siciliane.

Dice bene Paolo Serafino Gozzo (L’Apostolo Paolo nella tradizione, nell’archeologia e nel culto del comune e della chiesa di S. Paolo Solarino, Roma 1979): “Costoro, con sprovvedutezza di senso critico e con un apriorismo che esclude ogni argomentazione, sentenziano negando ogni valore storico alle fonti scritte e alle secolari venerande tradizioni”. Simile il parere di Biagio Pace (Arte e civiltà della Sicilia Antica, IV, 34, n. 3): “Documenti scritti o archeologici che si riterrebbero validi nei confronti di una piccola città del Peloponneso o di un tirannello della Siria, sono considerati dubbi per la storia paleocristiana”. All’obbiezione poi che anche i migliori scrittori di storia sacra dei secoli passati siano legati al loro tempo e non degni di fede, si risponde che ad essi invece non manca il retto giudizio critico e la completa documentazione, ma avevano anche la vera fede cristiana e non erano mossi dall’ipercritico scetticismo razionalistico degli storici ed archeologi dei nostri tempi, “qui fidem non habent”, e che, con la scusa di evitare ogni apologia, nega a priori ogni tradizione, specialmente se contiene miracoli, e mette sullo stesso piano l’idolatria pagana e la fede in Cristo, vero Dio e vero uomo. E vogliamo concludere con le parole dell’Apostolo: “Ricordatevi dei vostri capi [Marciano, Pancrazio, Peregrino, Libertino e gli altri!], i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede. Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre! Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine (Ebrei 13, 7-9)”.

 

 

 

 

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