S. PELLEGRINO EREMITA E CENOBITA

IL MONASTERO DEI “TRENTA” ED IL MONACHESIMO IN SICILIA

Dato che noi ammettiamo un solo Pellegrino, dal confronto delle fonti risulta che egli fu, oltre che apostolo delle genti, anche eremita e cenobita, ha cioè praticato la vita attiva e quella contemplativa, da solo, nella grotta di Triocala, e in comune con altri monaci, nel monastero cd. “Trenta”. Ha in questo imitato l'esempio di Cristo che, dopo aver annunciato il regno di Dio, “si recava sul monte a pregare e passava la notte nell'orazione”(Luc. 6,12); e di Giovanni Battista che viveva nel deserto e con la sua predicazione ha illuminato tanti della sua generazione e delle altri successive.

Abbiamo detto sopra che l’ipotesi più probabile identifica Il monastero detto “Triginta” con quello di S. Giorgio a Triocala, ma potrebbe anche corrispondere al Santuario di S. Calogero, sul monte omonimo anticamente detto Monte Cronio, da cui si gode un vasto panorama sulla costa, da Capo Bianco a capo Lilibeo: e a capo Bianco, secondo la tradizione, sarebbe sbarcato S. Peregrino, quando venne da Roma; mentre, secondo la Passio di S. Peregrino e Libertino, da Lilibeo proveniva Liberato, che si ferma in questo monastero sito a metà cammino, fra Lilibeo e Triocala: infatti proprio da questo monte e santuario-monastero di S. Calogero si diparte la strada tortuosa di ca. 25 Km. che dai 388 mt. sale ai 950 di Triocala-Caltabellotta. E’ verosimile che Peregrino abbia fondato anche questo monastero-eremitorio a cui aveva preposto come abate Agatone suo discepolo. Forse in seguito nello stesso I secolo, o nel III, vi prese dimora un altro Santo eremita, Calogero di Sciacca (Morreale, San Calogero). Una conferma può essere data dal fatto che quando Triocala fu occupata dagli Arabi nell’840-861 il suo vescovo e, come abbiamo detto anche i monaci di Triocala, si stabilìrono nel monte Cronio, certamente nel monastero dei Calogerini accanto alla grotta dove era vissuto S. Calogero, e forse, prima di lui, S. Peregrino. Altra conferma è il fatto che Sciacca nel periodo romano imperiale divenne una delle città più importanti dell’isola e sul monte Cronio, ci sono i resti non di uno ma di due monasteri-eremitori. Dice infatti il Pace (IV, 181): “Vanno ricordate le cellette ipogeiche dell’eremo di S. Calogero e della contrada La Chiave, ove pochi ruderi e grotte attestano un’altra sede eremitica. Esse vanno poste in rapporto con le notizie relative al più celebre di quei santi Calogeri, che aveva trovato sede nell’antico Monte Cronio.” Anche il nome “Triginta”, si può spiegare, come già opinava il Gaetani, con la distanza in miglia romane fra questo eremo e il monte di Triocala, anche se computata per eccesso.

 

I MONASTERI

Riguardo ai monasteri, sappiamo dagli scrittori ecclesiastici che agli inizi il monachesimo comporta la vita solitaria, isolata. In un secondo momento altri discepoli e confratelli vengono a vivere vicino, ma sempre in capanne o cellette separate scavate nella roccia: sono gli anacoreti. Alcuni gruppi conservano in parte le abitudini di vita solitaria, mentre altri vivevano assieme in case comuni, i monasteri, sotto la guida di un comune padre e maestro, seguendo una regola di vita basata sul suo insegnamento ed esempio, anche se non scritta. Così avveniva nel monastero detto “Trenta”, sotto la guida di Agatone, frequentato temporaneamente anche da Pellegrino, che probabilmente l'aveva fondato, e che preferiva poi ritirarsi in solitudine nella sua grotta. Infatti la vita in comune non escludeva quella eremitica.

Riguardo al monachesimo e al monastero detto “Trenta”, frequentato da S. Pellegrino riportiamo quanto dicono alcuni autori.

E cominciamo dal primo e più autorevole, Ottavio Gaetani, che nel capitolo XLI della sua Isagoge, intitolato proprio Sui collegi delle Vergini e sugli Asceteri diffusi in Sicilia (pp. 335ss.) dice: “ S. Paolo (morto nel 343) è considerato il primo cultore della vita eremitica in Oriente…Ma che in Sicilia già intorno all’anno 90 del Signore c’erano coloro che praticavano la vita eremitica è attestato nelle nostre storie. Infatti S. Pellegrino, essendo giunto in quella parte della Sicilia che è prospiciente all’Africa, entrato in una città (il cui nome ora è Caltabellotta), scacciò un orrendo dragone, al quale, nella spelonca dove dimorava, veniva offerta in pasto carne umana; infatti un fanciullo scelto a sorte veniva offerto da divorare alla belva. Dopo aver scacciato il dragone, Peregrino abitò nello stesso suo antro e abbracciò la vita eremitica. Dopo morte invero fu reso illustre da molti miracoli e gli ammalati provenienti da remote regioni ritornavano sani a casa.

Da questo risulta evidente che il primo anacoreta fu S. Pellegrino in Sicilia e non quel santo pontefice che è detto anacoreta, San Telesforo Papa e martire, l’anno della salvezza 227. Infatti il nostro Peregrino, come abbiamo detto, abbracciò il culto dell’eremo in Sicilia l’anno di Cristo 90.”

Nostra nota. La notizia che Papa Telesforo sia stato prima un eremita è confermata dal Liber Pontificalis, e non ci sono motivi per ritenerla non vera. E’ invece un errore tipografico la data del 227, al posto di 127, indicata nel Gaetani, perché Telesforo, nato in Grecia come il nostro S. Pellegrino!, fu Papa dal 125 ca. al 136 ca. Qualche decennio dopo comunque la morte di S. Pellegrino. Si tratta certamente di una notizia importante, anche questa su Telesforo, per l’origine del monachesimo in Occidente, che è stata trascurata dagli studiosi!

E nel paragrafo 13 ancora il Gaetani: “L’inizio della vita monastica in Sicilia fu il più antico non solo dell’Occidente ma anche dell’Oriente. Infatti, nel Martirio del Vescovo Libertino, che avvenne nell’anno 90 ca. [d.C.], leggiamo che Libertino salì sul monte Crotalo e lì dimorò nel monastero chiamato “Triginta”, forse perché distava da Agrigento o dal litorale verso l’interno trenta mila passi. A capo di questo monastero c’era Agatone, uomo di mirabile virtù e santità; e fra le altre sue virtù é detto che, durante i suoi sette anni circa che visse nell’asceterio, nessuno si allontanò triste da lui”.

Nella citata Cronologia Universale della Sicilia, del 1725, F. Aprile a p. 572, basandosi sul Gaetani, che però non cita!, ha questo capitolo: L’Istituto Monastico in Sicilia più antico che altrove.

“Nella Vita di S. Libertino Vescovo e Martire si narra che presso l’anno 90 di Cristo fioriva nel Monistero detto dei Trenta la vita religiosa. Il Monistero appellavasi dei Trenta, o perché vi abitavano trenta monaci, o perché era distante 30 miglia dalla Città di Girgenti. Questo Monistero era fabbricato nel Monte detto Crotaleus; ma finora non si è potuto sapere il sito preciso di tal Monte e soltanto ci è noto che in quei tempi era del territorio di Girgenti. Le notizie di questo Monistero non altronde si possono trarre, per quanto sappia, che dagli Atti dei Santi Peregrino Martire e Libertino Vescovo e Martire di Girgenti, e d’ambedue le tradurrò quasi a verbo dall’idioma latino. Nei primi dicesi: “Presiedeva ai Monaci Agatone insigne per la religione e pietà e nelle Sacre Lettere erudito; con tal fama di virtù, di soavità di costumi, di piacevolezza incredibile; sotto una stretta disciplina reggeva i suoi, che per tutta la Sicilia si celebrava con ammirazione la fama di lui e dei suoi monaci”. Negli Atti di S. Libertino leggesi: “ Agatone prendeva il cibo soltanto su la sera, e s’el procacciava col lavoro delle sue mani. Non vi era di lui più diligente nel Coro; e nei sette anni che visse in quel Monistero, era così piacevole ed affabile, che chiunque ricorreva da lui non ne partiva mesto; sempre allegro nel volto, sicché la sua vita ed il suo governo era dappertutto lodato nella Sicilia”.

S. Marziano, primo Vescovo di Siracusa, mosso dalla fama delle virtù di S. Peregrino, venne a visitarlo in questo Monistero. E quivi S. Peregrino per la Fede Cattolica sostenne un glorioso martirio e fu seppellito da Donnina donna piissima, dove pure si edificò un Tempio celebre per la gloria dei miracoli. Dal che si argomenta ad evidenza che presso l’anno 60 del nostro Redentore era già fondato questo Monistero: poiché in quei tempi poté quivi albergare S. Marziano (In nota: “ Dalle Vite dei Santi Peregrino e Libertino, e dagli altri monumenti da noi riportati”).

Or chi potrà mai negare che nella nostra Sicilia fiorisse il Monachesimo assai prima che si vedessero in Oriente i Monaci di S. Antonio Abate, il quale viveva nell’anno 313, o in quel torno, o i Brasiliani istituiti da S. Basilio circa l’anno 363, e nell’Occidente i Benedettini presso l’anno 520…?”

L’Aprile riporta a conferma l’opinione del Cardinale Bellarmino, Dottore della Chiesa, che nelle sue Controversie della Fede, e nel De Scriptoribus Ecclesiasticis, trattando dell’Origine e Antichità dello Stato Monastico, adduce come testimonio più antico S. Dionigi l’Areopagita, convertito alla fede nel 50 d.C. e morto nel 119, il quale intorno al 71 d.C. eresse un monastero. Quindi, secondo l’Aprile, il Monastero dei Trenta in Sicilia, con regolare osservanza, com’è detto nelle Vite dei Santi Peregrino e Libertino, è ancora più antico.

Ed ecco quello che dice un altro dottissimo studioso della storia sacra siciliana, il Di Giovanni (1699-1753). Dal suo famoso Codex Diplomaticus Siciliae, del 1743, traduciamo dal Cap. I, Dissertazione III, Sull’Origine e progresso dell’istituto monastico in Sicilia (p. 423s.).

….”Il Gaetani afferma che l’istituto dei Monaci, come quello delle Monache fiorì in Sicilia molto prima che nelle regioni Orientali e Occidentali e che la vita eremitica fu praticata nel primo secolo della religione cristiana. A conferma egli adduce molti argomenti. Di questi il primo si ricava dalla storia di S. Peregrino Confessore, il quale circa l’anno di Cristo 90, fece parte di un monastero; il secondo dagli Atti di S. Filippo di Agira, nei quali c’è menzione di monaci siculi; il terzo dalla vita di S. Calogero, il quale è ritenuto l’istitutore della vita monastica a Sciacca in Sicilia; il quarto dagli Atti dei Santi Alfio, Filadelfo e Cirino, dove si parla dei Santi Talleleo, Cleonico, Stratonico e altri servi di Dio, che per praticare la vita monastica, si rifugiarono nel monte Selidonio; il quinto infine, per non dilungarmi su altri simili, dagli Atti greci di S. Nicone e compagni, che vissero a lungo in un monastero presso Taormina, Atti che si dice siano stati scritti dal loro discepolo Cheromeno Siracusano”.

Il Di Giovanni però non considera sicure queste testimonianze, che sembrano sospette ed interpolate, anche se il culto di questi santi monaci e monache è attestato da altre fonti. Questo giudizio è comune agli storici successivi (dal Lancia di Brolo in poi), ma noi escludiamo che siano state inventate e le riteniamo degne di fede, almeno in gran parte, perché numerose e dettagliate nei nomi e nei fatti, e certo custodite e tramandate per secoli nelle chiese locali, oralmente e in scritti ormai perduti, dai quali li hanno potuto ricavare gli autori dei loro “Atti”.

Ma c'è, aggiungiamo noi, un'altra importante tradizione degna di fede che fa risalire l'origine del monachesimo alla metà del I secolo. Infatti i primi monaci ed eremiti nella storia del cristianesimo furono quelli che si ritirarono a condurre una vita solitaria sul sacro monte Carmelo in Palestina, dove avevano dimorato i due profeti Elia ed Eliseo. Dice bene in proposito il Carmelitano Lorenzo van de Eerembeemt (E.I.T., IX,83): “ Al sorgere del Cristianesimo è facile che il Carmelo abbia conservato il carattere sacro e che le caverne e la solitudine del luogo vi abbiano attirato di buon ora monaci ed eremiti. Certo è che l'Anonimo piacentino che visitò la Palestina ca. il 570, parla di un monastero di S. Eliseo che si trovava sul Carmelo”. Questa antica tradizione è accettata nel Breviarium Romanum, che nella “Commemorazione della B.Maria Vergine del Monte Carmelo”, il 16 luglio, dice: “ Quando nel sacro giorno di Pentecoste gli Apostoli animati dal divino Spirito parlarono in diverse lingue, e invocato il nome augustissimo di Gesù, fecero molti prodigi, molti uomini (come si tramanda) che avevano stabilito di seguire le orme dei Profeti Elia ed Eliseo ed erano stati preparati dall'annuncio di Giovanni Battista alla venuta di Cristo, conosciuta e confermata la verità evangelica, subito abbracciarono la fede e con particolare affetto cominciarono a venerare la Beatissima Vergine, dei cui colloqui e familiarità poterono felicemente godere. Essi primi fra tutti, in quel luogo del Monte Carmelo dove Elia un tempo aveva visto la nuvola che saliva in cielo, insigne simbolo della Vergine, alla medesima purissima Vergine eressero un edificio sacro.”

Interessante anche quanto scrive in proposito G.Van Hoof (in AA.SS. Dies tertia Novembris, p. 609): “Che ci sia stato un Monastero nel III secolo non deve turbare nessuno. Non è infatti necessario pensare ad un monastero governato secondo una legge e una forma sicura; erano degli uomini che abitavano assieme amanti della pietà e delle Divine Scritture, simili a quelli che in periodo precedente, presso Smirne, avevano abitato con Policarpo, come ci dice in modo non oscuro Ireneo. Ma da questa stessa menzione di asceterio i fatti narrati risultano abbastanza distanti dal tempo apostolico. Non perché io pensi che nel tempo apostolico degli uomini devoti non potessero abitare assieme e con comune studio dedicarsi agli esercizi di una vita più santa, ma perché un asceterio noto al pubblico che era visibile agli occhi dei persecutori, si può riferire molto meglio al secolo III che al I.”

Fin qui il Van Hoof, al quale rispondiamo. Alla luce di quanto è stato detto e provato, i tre santi, Marciano, Libertino e Peregrino sono del I e non del III secolo, come invece pensa il Van Hoof, seguendo il Papebrok e considerando in modo acritico degna di fede e non corrotta la menzione del Martirium di Valeriano e Gallieno. L'esistenza poi di monasteri in Sicilia e in Oriente nel I secolo è confermata dalle testimonianze sopra riferite ed implicitamente ritenuta possibile dallo stesso Van Hoof. Né a ciò si oppone il fatto che il monastero era noto alla gente e ai persecutori, perché sappiamo che negli intervalli fra una persecuzione e l'altra il culto cristiano e i luoghi sacri erano tollerati se non rispettati, specie in paesi come Triocala molto lontani da Roma.

Un’importante conferma è data dalla voce ufficiale della Chiesa nel Decreto “Perfectae caritatis” del Concilio ecumenico Vaticano II, che dice: “Fin dai primi tempi della Chiesa, vi furono uomini e donne i quali, con la pratica dei consigli evangelici , intesero seguire Cristo con maggiore libertà e imitarlo più da vicino, e ciascuno alla propria maniera condusse una vita consacrata a Dio. Molti di essi, mossi dallo Spirito Santo, o condussero una vita solitaria oppure fondarono famiglie religiose, che la Chiesa con la sua autorità ben volentieri accettò ed approvò…”. “Dai primi tempi” dunque, cioè dal primo secolo, quando S. Pellegrino ed altri eremiti “condussero alla propria maniera una vita consacrata a Dio” e non dal III-IV, quando in Egitto inizia la vita cenobita di comunità religiose approvata dalla Chiesa con regole scritte.

Riguardo poi ai dubbi ed opinioni contrarie degli studiosi di oggi (Pricoco, Rizzo e altri) ecco quanto scrive Teresa Sardella: “Al patrimonio spirituale ed ideologico dei primi gruppi di cristiani continenti [meglio, col Vaticano II, “che volevano seguire Cristo con la pratica dei consigli evangelici”], che scelsero una vita di rinunce, al di fuori [o prima del sorgere] di qualunque movimento ispirato a precisi valori ascetici, è ormai acquisito per la storiografia che si debbano rinviare i presupposti tradizionali del monachesimo…Le fonti consentono di affermare infatti con fondata sicurezza che la scelta di una vita privata di ascesi e continenza, già nelle aree della prima espansione del cristianesimo [e per noi anche in Sicilia!], compare ben presto, con una discreta frequenza di casi. Sin dall’età apostolica, e in continua progressione per i primi due secoli, sono testimoniati cristiani che conducono una vita continente…(p. 39s. e le note 5 e 6 a conferma). Delle fonti citate dalla Sardella riporto quella di S. Giustino (I Apol., 15, 6): “ Fra i nostri ci sono molti uomini e donne di sessanta e settant’anni, discepoli di Cristo fin da fanciulli, che sono rimasti vergini; ed io mi glorio di poter mostrare questa specie di uomini.” E Atenagora (33): “ Puoi trovare presso di noi molti uomini e donne che sono giunti celibi alla vecchiaia, con la speranza di una più intima unione con Dio.”

Ma riguardo ai Monasteri o Collegi femminili nell’evo apostolico in Sicilia è da aggiungere quanto dice nel citato cap. XLI dell’ Isagoge il Gaetani, e che la Sardella e gli altri studiosi ignorano o trascurano: “ S. Ignazio martire, che visse nell’evo apostolico e Tertulliano attestano che furono eretti dei Collegi di Vergini in molte città della Grecia, nelle quali gli Apostoli fondarono delle Chiese. Invero simile ornamento non solo non mancò alla Sicilia, ma molto prima che nelle altre provincie d’Oriente e negli altri regni fu concesso da Dio Ottimo. Leggiamo infatti nei suoi Atti che S. Pancrazio discepolo di S. Pietro a Taormina istituì un Collegio di Vergini e Diaconesse… Fra queste c’erano le sorelle Maria e Seia e molte altre affidate alle cure dell’Archidiaconessa Crisa …assieme alla beata Paolina”. La stessa cosa fu fatta nelle altre città della Sicilia, in particolare a Siracusa da S. Marziano, condiscepolo di S. Pietro con S. Pancrazio e compagno nella missione apostolica; infatti, essendo entrambi

edotti dalla parola e dall’esempio dell’Apostolo Pietro, non si può dire che

furono discordi nell’operare, mentre furono concordi nella disciplina.”

Dunque si è trattato non tanto e non solo di esperienze individuali private in casa, ma di eremiti solitari ed anche di piccoli gruppi di uomini e donne che vivevano in comune.

Ma c’è ancora in proposito una testimonianza che può essere decisiva per la nostra storia: un passo della Lettera a Dragonzio vescovo di S. Atanasio (del 354 in PG 25, 532 A): “ Non sei solo tu il solo [vescovo] ordinato, né tu solo sei stato a capo di un monastero, né il solo amato dai monaci. Si sa infatti che Serapione fu monaco e a capo di molti monaci. Né ti è ignoto che Apollo fu padre di monaci. Sai di Agatone né ignori Aristone e ti ricordi di Ammonio che partì pellegrino con Serapione. Forse anche a te è giunta fama di Muiti nel nord della Tebaide, ed hai potuto conoscere quello che fece Paolo che viveva a Lato. E similmente molti altri che anche se ordinati [vescovi] non rifiutarono[la vita eremitica]; ma seguendo l’esempio di Eliseo e non ignorando quello che fece Elia, consapevoli anche dell’operato degli Apostoli, intrapresero questo genere di vita senza disprezzare il loro ministero [episcopale]…”.

Proprio così fece S. Pellegrino, vescovo, eremita e cenobita! E da questo brano possiamo trarre alcune importanzi deduzioni. Questi monaci anteriori ad Atanasio e Dragonzio, che hanno seguito l’esempio di Eliseo ed Elia e l’insegnamento degli Apostoli, possono appartenere anche ai secoli precedenti e Apollo potrebbe essere il compagno di S. Paolo, di cui l’Apostolo parla nella prima lettera ai Corinzi e in quella a Tito, il quale probabilmente si dedicò alla vita monacale dopo la morte di S. Paolo. Inoltre è citato Agatone che, non conoscendo altri monaci di questo nome, potrebbe essere l’Agatone del Martirium, la cui fama per le sue virtù, attestata dallo stesso Martirio, poteva essere giunti in Oriente!

Il racconto dunque del “Martirium-Passio” è credibile, anche se contiene qualche adattamento ai secoli successivi, e non “un grossolano anacronismo”!

Concludiamo affermando col Gaetani che S. Pellegrino è stato il primo eremita di Sicilia, e forse nella storia della Chiesa, tre secoli prima circa di S. Ilarione, che, secondo S. Girolamo, sbarcò a Capo Pachino nel 363 d. C. (cfr. M. Trigilia, Ilarione il santo vissuto a Cava d’Ispica, ib. 1982). Ma Ilarione non può essere considerato il primo eremita di Sicilia, perché nella stessa “Vita” di S. Girolamo (cap. 38) è detto che durante il suo soggiorno in Sicilia, “una moltitudine di uomini religiosi accorreva da lui”; e questo attributo dagli scrittori ecclesiastici antichi è riferito non ai semplici fedeli cristiani ma a persone consacrate alla vita religiosa, cioè altri eremiti e monaci, già esistenti prima della sua venuta, mentre altri solitari e cenobiti seguirono il suo esempio, specie nei monasteri o laure scavati nelle pareti rocciose di Cava d’Ispica e di altri siti.

Ma questo l’aveva già detto il Gaetani nel paragrafo 12 del citato capitolo dell’Isagoge (p. 339), anch’esso ignorato da tutti gli studiosi: “ Da queste parole (religiosorum hominum multitudinem) si capisce con chiarezza che prima della sua mirabile venuta fiorì in Sicilia l’amore per la vita solitaria; S. Ilarione poi, come in Siria così anche nella nostra isola accrebbe di molto la disciplina anacoretica ed istituì anche cenobi di monaci. Certamente non si può dubitare che vi furono molti in Sicilia che praticarono la vita ascetica in eremi e che il culto dell’eremo fu molto antico e venne propagato specialmente da Ilarione…”

 

Riportiamo ora numerose altre testimonianze di grotte, sepolcri e chiese rupestri in Sicilia nelle vite di martiri, santi, eremiti e cenobiti del periodo paleocristiano e bizantino, dal I sec. al X.( Cfr. Caetani, Lancia di Brolo, Bibl. Sanct., Carlo Gregorio, I Santi Siciliani, Messina 1999).

S. Sofia, nata a Costantinopoli nel 192, venne in Sicilia e si ritirò a vita eremitica in una caverna di Pantalica.

S. Agatone, 1° vescovo di Lipari, vissuto nel II-III sec. visse, durante la persecuzione di Decio e Valeriano, in una grotta vicino Lentini Anche Alessandro, Neofito, Stratonico, Cleonico e Talleleo con la moglie Epifania, martiri nel 238, vissero in grotte sul monte Selinodio presso Lentini: Epifania fu gettata in una grotta, dove furono trovati resti di pitture rappresentanti la sua passione.

A S. Febronia, martire del III secolo, è dedicato l’eremo di Palagonia con la chiesetta rupestre, datata al V-VI sec. d. C.

I corpi dei martiri Alfio, Cirino e Filadelfo, martirizzati a Lentini nel III sec. furono sepolti in una grotta, dove poi, dopo la pace costantiniana fu edificata una chiesa. Anche il santo eremita Marco, loro coetaneo, che scrisse gli avvenimenti riguardanti i tre fratelli martiri, visse in grotta.

S. Vito, martire con Modesto e Crescenzia nel 304, dimorò a Regalbuto in una grotta e poi in un’altra presso il Silaro, in Lucania, dove fu sepolto.

S. Filippo di Agira, detto il Siriano, visse in una grotta del torrente Vallelunga. Nella sua “vita”, c’è un riferimento preciso ad una chiesa rupestre: “In una spelonca dove c’è il triplice pilastro ( tristulon ) e tre basi ( baqmoi ) ordinate con pietre ben rifinite.” (Acta Sanct., Junii II, Venetiis 1742, p. 789). Pare evidente che l’agiografo parli di una chiesa con abside a trifoglio, con pilastri o colonne agli angoli come la cd. Spezieria o quella di Palazzo Platamone di Rosolini.

Anche Cirillo di Scitopoli ci parla di una chiesa in spelonca. Nella vita di Santo Stefano il giovane, si narra che il santo scavò una piccola cella su un monte per abitarvi.

S. Archileone, venuto in Sicilia per evangelizzare l’Isola nel V sec., visse in una grotta vicino Paternò.

I Santi anacoreti Nicandro, Gregorio, Pietro, Demetrio ed Elisabetta, giunti in Sicilia nel 788, vissero in grotte, in un luogo nascosto presso Messina, dove furono sepolti in tombe scavate da loro.

Nella “vita” di S. Elia lo Speleota (IX sec.) il santo abita in una grotta, poi adibita a chiesa del cenobio. S. Luca, nato a Taormina alla fine del sec. X, sotto dominazione musulmana, visse in penitenza e solitudine in una caverna del monte Etna e fondò un monastero di cui fu abate. S. Stefano il Giovane (IX sec.) visse da eremita a Salice, vicino Messina, in una grotta di contrada coi tari.

 

 

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