GLI AUTORI PAGANI

Riportiamo alcune delle più significative testimonianze sui grandi serpenti divoratori di animali e uomini di importanti autori pagani e cristiani.

ARISTOTILE (384-322 a.C.)

Il sommo Aristotile nella sua Storia degli Animali, (VIII,28) scrive: “Nella Libia la misura dei serpenti è enorme, come si afferma. In effetti certi navigatori dicono di aver visto ossa di molti buoi che ad essirisultava evidente essere stati divorati da serpenti. Quando poi presero il largo, questi serpenti inseguivano subito le loro trireme, le sprofondavano e facevano cadere in mare i marinai”.

 

PAUSANIA (II sec. a.C.)

La testimonianza di Pausania (libro IX, Beozia), citata nelle Animadversiones del Gaetano, è per noi la più importante e specifica, perché espressamente attesta:Presso i Tespiensi, sotto il monte Elicona, poiché un drago di grande ferocia infieriva contro i cittadini, ogni anno gli veniva offerto un fanciullo estratto a sorte”

 

DIODORO (90-20 a.C.)

Ma abbiamo anche un altro lungo e interessante brano nella Biblioteca Storica di Diodoro Siculo (di poco anteriore a Plinio e a S. Peregrino), riguardante un enorme pitone di 13 metri, capace di uccidere e divorare un uomo, poi catturato e addomesticato, come avviene ancora oggi in alcune zone dell’India. Lo storico non da credito alle dicerie esagerate e fantastiche e riporta una storia vera confermata da numerosi testimoni oculari. La riporta in parte il famoso naturalista francese Buffon (1707-88) nella sua Storia Naturale, e da lui G. Scortecci (Animali, IV, 623ss.). Ecco il testo integrale di Diodoro (edizione 1986, lib. 3°, 36-37).

36. “ Coloro che abitano nei pressi della regione deserta e piena di fiere [dell’Etiopia] dicono che vi si vedono anche vari generi di serpenti, di incredibile grandezza. In effetti, alcuni che affermano di averne visti di cento cubiti di grandezza [44 metri ca.!] a ragione, non solo da noi, ma da tutti quanti gli altri sarebbero ritenuti dei mentitori; infatti aggiungono a questa affermazione non creduta altre molto più straordinarie, dicendo che – poiché la terra è pianeggiante – quando le bestie più grandi si avvolgono su di loro, con le spire disposte in cerchio le une sulle altre, formano dei rilievi visibili da lontano, simili al dorso di un monte. [Questo fatto è vero, notiamo noi, mentre la lunghezza è certo esagerata!]

Sarebbe dunque difficile condividere le asserzioni sulla grandezza delle predette bestie; ma faremo una descrizione di quelle più grandi che sono divenute visibili venendo portate in appositi recipienti ad Alessandria; ed aggiungeremo anche notizie su come si svolga nei dettagli la loro caccia.

Tolomeo II [Filadelfo, 309-246 a.C.], che fu un appassionato delle caccia agli elefanti e assegnava grandi doni a coloro che praticavano la straordinaria caccia degli animali più forti, spendendo molto denaro per questa sua passione, riuscì a procurarsi molti elefanti da combattimento, e per converso fece sì che molti animali dalla natura mai vista e straordinaria, venissero conosciuti dai Greci. Pertanto alcuni cacciatori, vedendo la generosità mostrata dal re nei suoi doni, riunitisi in numero adeguato decisero di porre a repentaglio le proprie vite e, catturato una dei grandi serpenti, di portarlo vivo ad Alessandria da Tolomeo. L’iniziativa era grande e straordinaria, e la sorte fornì il suo aiuto ai loro propositi, garantendo anche una fine appropriata all’impresa. In effetti, essi osservarono un serpente di trenta cubiti [metri 13,2, misura verosimile e certamente misurata in seguito] che si tratteneva nei pressi dei luoghi di raccolta dell’acqua; per il resto del tempo conservava immobile il cerchio che disegnava col corpo; ma all’apparire degli animali che, spinti dalla sete, si recavano in quel luogo, d’un tratto scattava e con la bocca afferrava, con le spire avvolgeva il corpo degli animali apparsi, di modo che in nessun modo potevano sfuggire a ciò che piombava loro addosso. L’animale era dunque lungo e per natura lento; essi confidavano di poterlo catturare con reti e funi, cosicché dapprima andarono verso di esso pieni di baldanza, tenendo pronto tutto ciò che serviva; ma man mano che gli si avvicinavano, sempre più erano presi dalla paura, vedendone lo sguardo fiammeggiante e come muoveva la lingua in ogni direzione, e poi come – per la durezza delle scaglie – passando in mezzo agli alberi e sfregandovi producesse un rumore fortissimo e la eccezionale grandezza dei denti, e l’aspetto selvaggio della bocca, e la straordinaria altezza raggiunta dalle spire arrotolate. Pertanto, sbiancati in volto per la paura, con timore gettarono le reti a partire dalla coda; la bestia, non appena la corda le toccò il corpo, si voltò emettendo grandi soffi in una maniera spaventosa: e il primo lo afferra con la bocca, sollevatosi al di sopra della sua testa, e ne mangiava le carni mentre era ancora vivo; il secondo, mentre tentava di fuggire, lo tirò a sé da lontano con una spira e avvoltolo con essa gli schiacciava il ventre con la sua presa; tutti gli altri, atterriti, si guadagnarono la salvezza con la fuga.

37. Tuttavia essi non rinunciarono alla caccia, ché la grazia e i doni del re superavano i pericoli conosciuti per diretta esperienza; e con l’arte e l’inganno vinsero ciò che era difficile abbattere con la forza, escogitando un espediente di questo genere. Prepararono, intrecciando dei grossi giunchi, una struttura rotonda, di forma simile alle nasse, che per grandezza e capacità era in grado di contenere il corpo della bestia. Spiavano dunque la sua tana e il momento in cui usciva per mangiare e poi quello in cui faceva ritorno: e non appena esso era andato a compiere la consueta cattura degli animali di altro genere, la precedente imboccatura della tana la ostruirono con grandi pietre e terra, mentre nella zona vicina al covo scavarono un cunicolo e vi misero dentro il cesto, praticando dalla parte opposta una imboccatura, in modo che la bestia vi trovasse facile ingresso.Al momento del ritorno dell’animale prepararono arcieri e frombolieri, nonché molti cavalieri, e inoltre trombettieri ed ogni altro equipaggiamento; al suo sopraggiungere, la bestia levò il collo più in alto dei cavalieri, e quelli che erano stati radunati per la caccia non osavano avvicinarsi, resi accorti dalle precedenti disgrazie, ma a distanza, lanciando con molte mani su un unico e grande bersaglio, coglievano nel segno, e con l’apparizione dei cavalieri ed il gran numero di forti cani, nonché grazie al suono delle trombe, riuscivano a spaventare l’animale. Pertanto, mentre questo si ritirava presso il proprio covo, lo inseguivano, in modo però da non irritarlo ancor più. Quando fu vicino alla cavità che essi avevano costruito, tutti quanti insieme fecero un gran rumore con le armi, e gettarono scompiglio e terrore con l’apparizione delle masse di uomini e le trombe. La bestia non riusciva a trovare l’ingresso e atterrita dalla spinta dei cacciatori, si rifugiò nell’imboccatura che era stata preparata lì vicino. Mentre il cesto si riempiva, con lo svolgersi delle spire, alcuni dei cacciatori si affrettarono ad accorrere sul posto e prima che il serpente potesse girarsi verso l’uscita, chiusero con dei legacci l’imboccatura, che era lunga ed eseguita apposta per consentire questa rapidità d’azione. Quindi tirarono fuori il cesto e postivi sotto dei tronchi, lo sollevarono in aria. La bestia, richiusa contro natura in un luogo ristretto, emetteva un sibilo fortissimo e con i denti cercava di strappare i giunchi che lo avvolgevano, e scuotendosi in ogni direzione, faceva pensare a chi lo teneva che si sarebbe liberato dall’artificiale struttura che lo avvolgeva. Pertanto, atterriti, poggiarono il serpente a terra, e menando colpi sulla parte vicina alla coda, distoglievano la bestia dallo strappare coi denti il cesto, richiamandolo alla sensazione data dalle parti doloranti.

Lo portarono quindi ad Alessandria e ne fecero dono al re, spettacolo straordinario ed incredibile per chi ne udisse. Indebolendo con la carenza di cibo la forza della bestia, a poco a poco la resero addomesticata, al punto che il suo ammansimento risultò meraviglioso. Tolomeo dette ai cacciatori i giusti premi, e il serpente se lo cresceva, addomesticato e tale da offrire agli stranieri che venivano al palazzo uno spettacolo grandissimo e assai straordinario.

Di conseguenza, poiché un serpente di tale grandezza è stato esposto alla vista di tutti, non è giusto non prestare fede agli Etiopi, né considerare una favola quanto viene da essi narrato. Essi infatti affermano che nelle loro terra si possono vedere serpenti di tale grandezza che non solo possono divorare vacche, tori ed altri animali dai corpi di queste dimensioni, ma gareggiano anche in forza con gli elefanti, e avvolgendone con le loro spire le gambe, impediscono loro di camminare naturalmente, mentre sollevando il collo al di sopra della loro proboscide pongono la testa di fronte agli occhi degli elefanti, e con il loro sguardo fiammeggiante, lanciando strali lucenti simili al lampo, ne accecano la vista, e fattili cadere a terra, mangiano le carni degli animali vinti.”

 

PLINIO IL VECCHIO (23-79 d. C. – Storia Naturale, lib. VIII, 36-37)

La notizia della presenza nel 1° sec. d. C., anche in Italia (e quindi anche in Sicilia), proprio ai tempi di S. Peregrino!, di grandi draghi-serpenti capaci di divorare bambini, oltre che da Pausania, è confermata dal più grande naturalista latino, Plinio il Vecchio. Questo passo, citato solo dal Gaetano e ignorato o trascurato dagli altri studiosi, è confermato da altri autorevoli autori antichi e anche dagli scienziati odierni, e da solo basta a provare in modo certo che la Vita di S. Peregrino è una storia vera e non una leggenda inventata in parte nei secoli seguenti! Risultano invece fuori luogo ed errate le opinioni degli studiosi che vorrebbero trovarvi influssi della mitologia egizia-fenicia-greca-romana e suppongono una fantastica tradizione popolare-erudita, o si sforzano di darne un’interpretazione allegorica-simbolica.

Riporto fedelmente il passo di Plinio, nella recente traduzione integrale del 1983.

“E’ rimasto famoso quel serpente che, durante le guerre puniche, presso il fiume Bragada fu preso d’assalto, come se si trattasse di una città, dal comandante Regolo con balliste e macchine da guerra e che era lungo 120 piedi [1 p. = 30 cm. Ca.; 120 = mt. 36, misura verosimilmente esagerata]; la sua pelle e la sua testa furono conservate a Roma in un tempio, fino al periodo della guerra di Numanzia.

Confermano questi fatti i serpenti chiamati “boa”, i quali in Italia raggiungono dimensioni tali che nello stomaco di uno di questi, ucciso sul Vaticano al tempo dell’Imperatore Claudio [10-54 d.C.], fu trovato un bambino tutto intero”

Plinio aggiunge anche che questi enormi serpenti assalgono anche gli elefanti e ne succhiano il sangue, ingoiano cervi e tori e succhiano il latte alle vacche, “e da questo deriva il loro nome”.

Nella traduzione italiana citata, sono aggiunte tre note: 1) “Episodio famosissimo la cui prima attestazione è in Elio Tuberone (HRR,fr.8), annalista della fine della Repubblica. E riportato anche da Cassio Dione. Il fiume Bragada, odierno Medjerba, è il corso d’acqua più notevole del territorio di Cartagine. L’avvenimento risale alla prima guerra punica e alla campagna militare del 256 a.C. condotta da Attilio Regolo.” 2) Città della Spagna Tarragonese, distrutta dai Romani nel 135 a.C.

3) “La notizia è senz’altro falsa, in quanto in Italia non esistevano serpenti capaci di mangiare bambini, mentre è esatto che i rettili amino il latte. L’etimologia popolare mette in relazione boa con bue, sia perché il serpente si nutre di latte di vacca (oltre a Plinio, Solino 2,33), sia perché considerato capace di inghiottire un bue (Gerolamo, Vita Ilarionis 39) [v. sotto]. Isidoro di Siviglia, Origines, XII, 4.28), racconta che il boa è chiamato così perché si attacca alle mammelle delle vacche e succhia fino a farle morire.”

Noi obbiettiamo che la notizia di Plinio è degna di fede, sia perché racconta un fatto reale avvenuto al suo tempo di cui furono certo testimoni oculari molti romani e forse anche lui stesso, sia perché molte specie animali, in particolare le feroci, sono state cacciate e si sono estinte nei tempi passati (e continuano ad estinguersi!) in Italia, sia perché ancora oggi in altre regioni della terra ci sono grandi serpenti in grado di ingoiare bocconi interi di 50 Kg. e oltre (come \vedremo), sia infine perché questa notizia conferma ed è confermata dalla Vita di S. Peregrino e dalle altre antiche testimonianze pagane e cristiane, specie da Pausania! In conclusione, anche se non si tratta dello stesso serpente, certamente era uno simile, a cui forse venivano dati in pasto dei piccoli come a quello di Triocala!

 

LUCANO (39-65 d.C.)

Il poeta Lucano, vissuto anche lui nel I secolo, nel suo poema Pharsalia o Bellum Civile (9, 727-733), fra le altre numerose specie di serpenti, accenna alla mostruosità e forza dei dragoni; ma, da poeta e non naturalista, aggiunge un elemento certamente fantastico: le ali ed il volo del dragone! L’espressione “innocui numi” va verosimilmente riferita al culto ad essi prestato come dei per i pagani, demoni per i Cristiani, ed è confermata dal fatto, riferito da Cassio Dione, che un serpente fu portato a Roma dall’India e collocato nel tempio di Giove per ordine dell’Imperatore Adriano (69,16,1).

“ Ed anche voi, o dragoni, che strisciate innocui numi su tutta la terra, splendenti di un aureo fulgore, la torrida Africa vi rende letali: fendete con le ali le alte regioni del cielo, e seguendo interi armenti schiantate possenti tori avvolgendoli nelle spire; neanche la mole dell’elefante è sicura; date la morte a tutti e ai vostri destini micidiali non occorre il veleno”.

 

DIONE CASSIO (155-235 d. C.)

Cassio Dione, citato dal Gaetano, nel libro 50 (8) della sua Storia Romana, scrive: “Poco prima di questi avvenimenti [la guerra di Ottaviano contro Antonio e Cleopatra], era improvvisamente apparso in Etruria un enorme dragone a due teste, lungo ottantacinque piedi [ca.25 mt.!], che aveva devastato ogni cosa e poi era stato ucciso da un fulmine.” Notiamo che questo dragone era certamente reale e non fantastico, perché visto da molti, mentre sono delle aggiunte non verosimili le due teste e l’eccessiva lunghezza.

 

 

 

 

VAI AL SOMMARIO

 

 

 

 

E' vietata qualsiasi riproduzione senza l'autorizzazione esplicita dell'autore Melchiorre Trigilia.

(Trigilia Prof. Melchiorre, Via Raffaello 80, Ispica (Rg.) 97014. email: mtrigilia@gmail.com)

 

E-mail: info@centrostudihelios.it

In collaborazione con l'Associazione Culturale "Heritage Sicilia"

Centro Studi Helios       Heritage Sicilia