IL NOME PROPRIO “PEREGRINO”
Possiamo essere certi che Peregrino è un nome proprio di persona e perciò del Santo di Triocala e non un aggettivo qualificativo, nel significato di “forestiero, straniero, estraneo al luogo”, come pure pensavano i “magistrati” nel manoscritto in italiano. Ne abbiamo sicura conferma anzitutto nell’Encomio di S. Marciano (AA.SS. Junii, 790), e nel Calendario Marmoreo di Napoli del IX sec., che lo ricorda assieme agli altri santi di gennaio; e nelle Tavole della Chiesa Siracusana, da cui dipende il Pirro. Inoltre il fatto che i vescovi di Lipari e Messina presenti a Roma nel sinodo del 649 si chiamavano entrambi “Peregrinus”, attesta non solo il nome proprio ma anche l’esistenza storica del nostro santo e il culto a lui prestato in Sicilia nel secolo VII, certamente risalente ai secoli precedenti (cfr. Lanzoni, Le Diocesi d’Italia, 640; Barcellona, 238; Acconcia Longo, L’Encomio…,9). Altri “Peregrino” compaiono in diversi Sinassari bizantini (da me consultati), anteriori al periodo normanno, che la Longo cita dal Delehaye (coll. 801, 58. 804,10. 805,12). E ancora noi possiamo aggiungere come più appropriati i sei Santi martiri, di cui due vescovi, dei primi secoli, anteriori al VII, commemorati nel Martyrologium Romanum (1584 e segg., Index, 555). Infine nell’Onomasticon del Lexicon del Forcellini, 450s., è citato come cognome in numerose Iscrizioni, latine e greche (e anche al femminile Peregrina e il derivato cognome Peregrinianus); ancora, nei libri, da Ammiano (30,1,39) e Luciano (De morte Peregrini, II) e anche dai cristiani Atenagora e Tertulliano, è citato il filosofo greco cinico “Peregrino”. Molto diffuso diventa poi nel basso Medioevo. Vero cognome dunque e non aggettivo e tanto meno nel significato di uomo di Dio che va peregrinando per predicare e convertire la gente alla fede cristiana.
L’ORIGINE DI PELLEGRINO. AFRICANO O GRECO?
Nella Passio Peregrino è detto da Silvano due volte “africano”. Ma sorge il dubbio, dice il Barcellona (235s.), se “sia un dato tradizionale, conservatosi col nome del martire, o non un’invenzione dell’autore”. Per noi non c’è dubbio invece che sia un’invenzione dell’autore che ignorava la tradizione di Triocala della nascita a Lucca in Grecia. Invero il nome di Peregrino è riconosciuto da Silvano non come nome proprio ma come soprannome indicante una generica origine straniera. Inoltre nessun nome della Passio è di origine africana e il fatto che Peregrino arriva in Sicilia per mare non è una prova (come opina il Barcellona), perché anche da Roma poteva provenire per mare, data la grande difficoltà dell’itinerario terrestre, come è detto nella Vita di Peregrino in italiano e si tramanda a Caltabellotta. Perciò secondo noi, non solo “viene ridimensionato lo sfondo africano della vicenda”, ma si possono considerare senza fondamento le ipotesi degli studiosi che sulla base di questa esile ed incerta affermazione della Passio, vorrebbero argomentare un suo nesso col cristianesimo africano del III sec. (F. Halkin, (219-20), o ancor meno dato che sia nella Passio che nell’Encomio di Marciano si parla di persecuzioni imperiali – con le persecuzioni vandaliche in Africa del V, nel quale secolo sarebbero vissuti S. Pellegrino e S. Marziano! (A. Amore, 78. cfr. S. Barcellona, 236s. e nn. 24, 25, 27).
I TRE SANTI MARTIRI – MARZIANO, LIBERTINO E PEREGRINO
La Passio riguarda i tre santi martiri, Libertino, Marziano e Peregrino. L’anonimo autore comunque, anche se non ben informato e poco istruito sia nella lingua latina sia nella storia, parla di persone e fatti reali e non aggiunge racconti e miracoli fantastici. Secondo noi, la narrazione, eliminate le discordanze, si può conciliare con la tradizione di S. Peregrino di Triocala e di S. Marciano di Siracusa, con una sola grave divergenza: la persecuzione durante la quale sarebbero morti i tre martiri; quella di Nerone, secondo i manoscritti di Caltabellotta, mentre in questa Passio e nell’Encomio di Marciano, sarebbe stata quella di Valeriano e Gallieno (254-59 d.C). Alcuni fatti sono narrati in modo più breve nella Passio rispetto al ms. italiano, altri con più particolari. Prendiamoli in esame.
All’inizio è detto che un certo Liberato, abitante a Lilibeo, va a Roma presso il sepolcro dell’Apostolo Pietro e poi ritornato in Sicilia, assieme al figlio paralitico, Abondanzio si reca al monte detto Crotaleo, dove era posto il corpo di S. Peregrino, e a metà strada giunge in un monastero detto “Triginta”, dove c’era il santo Abate Agatone.
Si noti il nome Liberato, che è lo stesso del fanciullo liberato dalle fauci del dragone nel ms. di Triocala. Verosimilmente questo nome era stato dato a lui e ad altri in ricordo del miracolo del Santo; la sua fama era giunta anche nel capo e nella città di Lilibeo, corrispondente all’odierna Marsala.
Secondo il Lancia di Brolo, Crotaleo, per trasposizione di sillabe comune al dialetto siculo, corrisponderebbe a Triocala. Lo Scaturro invece (p.55), più verosimilmente, lo fa corrispondere al monte che domina Caltabellotta – Triocala con la sua cima alta ben 950 mt., dove visse S. Pellegrino ed era custodito il suo corpo, prima di essere traslato nella sua città natale di “Lucca” in Grecia, secondo il ms. italiano. Il nome, aggiunge lo Scaturro, potrebbe derivare per sdoppiamento dal Kratas citato da Tolomeo. Da scartare l’ipotesi del Bonfiglio (137) che vorrebbe identificarlo col Balatizzo, che è una collinetta appena fuori l’antica Agrigento.
S. MARZIANO
L’anonimo fa quindi una breve aggiunta riguardante un “S. Marziano vescovo che in quei tempi presiedeva alla chiesa Siracusana”. E’ detto che avendo avuto notizia della fama di S. Peregrino, si recò a fargli visita nel monastero Triginta, dove dimorò qualche tempo in spirituali conversazioni con Peregrino. Colà però il malvagio monaco Pelagio cominciò a tendergli insidie. Dopo si parla della persecuzione di Valeriano e Gallieno, durante la quale di Marziano è detto: “Anche Marziano presule della città di Siracusa per questa fede, è stato condannato a bruciare nel fuoco in questa città. (Marcianus praesul Siracusanae civitatis propter hanc fidem traditus est ad combustionem ignis in hac urbe). E più oltre Peregrino dice di conoscere quello che ha subito Marziano per la fede di Cristo, il quale è stato “fatto partecipe della vita eterna” ed egli desidera subire la stessa sorte per la fede di Cristo. Orbene questo non contraddice quanto dicono le altre fonti su S. Marziano. Infatti non è detto che egli sia morto ad Agrigento (civitas Dricantenorum), perché “in hac urbe”, come già opinava il Gaetani e si è detto sopra, si riferisce alla “civitas Siracusana” di cui era presule! E non è espressamente detto che morì bruciato, per cui si può sottintendere che meritò la corona del martirio ma rimasto miracolosamente illeso sia morto in seguito come è avvenuto di altri santi martiri e proprio com’è detto nelle altre fonti. Non c’è perciò bisogno di pensare a un altro vescovo siracusano Marziano, vissuto nel III sec., diverso dal Marziano discepolo di S. Pietro, come crede il Gaetani della Torre (v. sopra), la cui esistenza d'altronde non è attestata dal Catalogo dei Vescovi Siracusani dello Scobar.
E’ verosimile poi che S. Marziano si sia recato a far visita a S. Peregrino e sia poi ritornato nella sua Siracusa, anche se le altre fonti non ne fanno cenno.
Riguardo alla millennaria tradizione su S. Marziano primo vescovo di Siracusa mandato da Antiochia da S. Pietro, riportiamo tre degli autori più importanti, il Mancaruso, lo Scobar ed il Pirro.
Il Mancaruso nel Catalogo da lui pubblicato alla data 14 giugno riporta: “S. Marciano, Vescovo della città (di Siracusa), mandato dal Principe degli Apostoli da Antiochia in Sicilia, con la predicazione ed i prodigi convertì alla fede un ingente moltitudine di uomini. Ad un suo cenno la statua di Apollo crollò. Fu messo dentro una barca per essere bruciato vivo, ma la fiamma consumò i carnefici ed il santo camminando sulle acque ne uscì incolume. Per questo miracolo sei mila di quelli che assistevano credettero in Cristo, fra i quali i Consolari Seleuco e Gordio. Alla fine, distrutto col segno della croce il tempio fu ucciso dai Giudei. (Ufficio proprio. Calendario Gallicano. Pirro. AA.SS. tom. II Junii f. 786. Orlend. De Angelo. C. Gaetani.)
Il testo dello Scobar (p. XIV) è introdotto da una nota dell’editore che dice: “ La serie dei pontefici siracusani, da S. Marciano, il primo in ordine di tempo, fino a D. Ludovico Platamone… è riportata in modo sommario da D. Cristoforo Scobar, Canonico della chiesa Agrigentina e Siracusana. Essa è estratta dall’ Archetipo della Chiesa Episcopale siracusana, con alcune aggiunte [dello stesso Scobar] che è facile reperire nel Catalogo dei Santi [quello scoperto e pubblicato dal Mancaruso due secoli dopo circa!] ed in altre varie storie cristiane”
Segue l’elenco: “Marziano, primo presule siracusano, mandato dal Beato Pietro Apostolo da Antiochia a Siracusa. Fu deposto [sepolto] nella parte inferiore del tempio. Perciò Siracusa ottenne il secondo episcopato di tutta la terra [dopo Antiochia e prima di Roma!] (Martianus primus Syracusanus praesul a Beato Petro Apostolo de Antiochia Syracusas misso [errore per missus!]. Positus est autem in templo infra. Unde Syracusae obtinuerunt secundum episcopatum orbis universi”).
Lo Scobar, dice Il Pirro (p. 600), riporta l’elenco dei primi vescovi siracusani da un antichissimo Catalogo manoscritto, che egli chiama Archetipo, che io vidi (ex antiquissimo Catalogo Episcoporum Syrac. Ms., quem saepe idem Scobar appellat Archetypum, et ego vidi illum). Purtroppo questo prezioso Catalogo o Archetipo, che certamente si basava sui “dittici” con l’elenco dei Vescovi della città, è andato perduto.
Il Pirro da credito in modo certo e senza alcun dubbio alla tradizione apostolica. Infatti la Notizia secunda Ecclesiae Syracusanae inizia con San Martino (Marciano) (p. 599): “San Martino antiocheno di nascita fu il primo Vescovo Siracusano….”. Egli riporta a conferma i testi da lui considerati più autorevoli: il Breviario Gallicano, il Metafraste, l’Encomio di S. Marciano e gli altri testi portati alla luce dal Gaetani, i menologi greci; ed anche Papa Leone X, Cornelio a Lapide e gli altri autori del ‘500-600, dal Martirologio Romano al Baronio al Maurolico al Ferrario ed altri. Nel terzo paragrafo il Pirro accenna al citato testo dello Scobar: “Il corpo di S. Marziano fu deposto nella parte inferiore del tempio ( i Siracusani dicono che si tratta della parte sotterranea della chiesa di S. Giovanni Battista), dal [come attesta] il (Breviario) Gallicano e Cristoforo Scobar nel suo Calendario dei Vescovi Siracusani (p.600).
Seguono gli altri vescovi successori di Marciano, secondo l’ordine dello Scobar, a cui il Pirro aggiunge altre note storiche, che invece gli studiosi odierni considerano, a priori e senza validi argomenti, inventati e senza valore.
Più ampiamente ancora il Pirro parla dei primi vescovi siciliani ordinati da S. Pietro in un altro passo trascurato dagli studiosi, nel Libro IV Pars Secunda Siciliae Sacrae, p. 1065: “Se consideriamo le sue fauste primizie, bisogna riconoscere che (Siracusa) ricevette i semi della fede con le prerogative della dignità episcopale prima fra tutte le chiese d’Occidente e la maggior parte delle regioni d’Oriente. Infatti il Principe degli Apostolo Pietro, dopo aver costituito nell’anno 39 della nostra salvezza il 22 febbraio la pontificia cattedra nella città di Antiochia (in nota marginale sono citati la cronaca di Eusebio ed il Baronio Ann. Eccl. I, anno 39), che era allora capo e metropoli non solo della Siria ma di tutto l’Oriente. Subito dopo scelse due suoi discepoli, antiocheni di nascita, esimi per pietà e dottrina, Marciano che destinò a Siracusa e Pancrazio a Taormina ( in nota: Nell’anno 40 secondo il Gaetano in Idea, f. 6 e 70). Dopo sei anni S. Pietro attraversò il nostro mare siculo e giunse nella capitale dell’Impero Romano, dove nell’anno 46, il 28 gennaio stabilì fermamente la sua Sede. O durante il viaggio o dalla stessa alma città [di Roma] con somma diligenza provvide a ordinare vescovi e mandare nella Triacria [Sicilia] Massimo a Taormina, Berillo a Catania, Filippo a Palermo e altri [in altre città] (in nota è citato il Metafraste, Vita di S. Pietro e Paolo, p. 29).
Queste notizie, che noi riteniamo attendibili, mentre sono rigettate come false dagli studiosi moderni, sono per il nostro S. Peregrino molto importanti per vari motivi: egli, compreso dal Pirro fra “gli altri” discepoli, fu mandato da S. Pietro da Roma intorno al 46 d. C. assieme o poco dopo l’altro discepolo e suo compagno Massimo, di cui parla, come abbiamo visto, il manoscritto del 1794!
Ho riportato alla lettera i passi dello Scobar e del Pirro per respingere l’errata lettura che ne fa il Rizzo (2,110s.). Secondo lui l’Archetipo toglierebbe a Marciano la posizione di protovescovo-martire come nella tradizione e (addirittura!) la menzione sarebbe stata forse omessa dall’anonimo compilatore, “giacché sapeva che in realtà Marciano vescovo non era stato”; oppure depennata dai due autori (lo Scobar e il Pirro). Inoltre, a detta del Pirro, l’anonimo autore dell’Archetipo avrebbe omesso i due vescovi Cresto, il secondo dei quali sarebbe “una palese duplicazione del nome”. Il Rizzo purtroppo dimostra di non aver ben letto i due citati testi, che invece affermano il contrario. Marziano è chiaramente indicato come discepolo di S. Pietro e primo vescovo sia nell’Archetipo che nei due autori, e l’omissione espressa del martirio non depone contro, data la brevità ( summatim) del semplice elenco; d’altronde il martirio può essere sottinteso nel “positus est”, espressione riservata ai martiri: “depositio martirum”. Inoltre i due Cresto sono anch’essi attestati e non omessi dall’Archetipo, dallo Scobar e dal Pirro, ed il secondo Cresto è detto suo fratello maggiore, come dice lo Scobar, seguito dal Pirro, secondo la testimonianza di un certo Cassiano siculo, scrittore a noi ignoto ed il cui scritto non ci è pervenuto.
IL VESCOVO DI AGRIGENTO LIBERTINO.
La passione di Libertino è inserita nel testo come un inciso di poche righe, probabilmente perché l’anonimo non aveva memorie scritte e orali più dettagliate. E’ detto che il persecutore Silvano, per ordine del console Quinziano, giunge ad Agrigento e costringe il vescovo Libertino a sacrificare agli idoli. Ma questi muore nella chiesa di Santo Stefano dopo aver finito la preghiera di lode al Signore.
Queste parole invero non sembrano confermare il martirio del santo; ma è verosimile che, come è avvenuto per altri vescovi e sacerdoti martiri cristiani di tempi e luoghi diversi, il “pestifero Silvano” lo abbia prima minacciato e tormentato per costringerlo a sacrificare agli idoli, e poi il santo vescovo, fermo nella fede in Cristo e nel rifiuto di adorare gli dei pagani, sfinito dai tormenti e trafitto dalla spada di Silvano o di qualcuno dei soldati, abbia “esalato lo spirito” davanti agli altari della chiesa del protomartire Stefano, meritando così, a pieno diritto, anche lui il titolo di martire.
Così non risulta discordanza ma al contrario pieno accordo con l’Encomio di S. Marciano, che dice: ”Come ci insegna la testimonianza scritta del vittorioso Pellegrino, di cui si è parlato all’inizio. Anche lui infatti, reso splendente dalla dottrina di questo annunciatore di Dio, Marciano, si dimostrò perfetto martire di Dio, diventato sacrificio accetto e scelto, in odore di soavità (cfr. Efes. 5,2. Fil. 4,18) nel monte detto Cima del Crotalo, subendo la stessa morte del santo vescovo e martire Libertino della Chiesa di Agrigento.
Ecco quanto dice Rocco Pirro su S. Libertino (Agrigentinae Ecclesiae, p. 692): “ S. Libertino martire, com’è fama e costante tradizione, fu il primo vescovo di Agrigento; la chiesa Agrigentina lo ricorda ordinato dall’Apostolo Pietro; anzi narrano che nelle tavole della stessa chiesa fu conservato per molti anni con grande venerazione il documento della sua istituzione apostolica, sottoscritto dallo stesso S. Pietro.
Sulla prima origine del vescovato agrigentino, Cornelio a Lapide, dopo aver detto che in Sicilia furono erette da S. Pietro le chiese di Siracusa, Taormina e Catania, aggiunge negli Atti degli Apostoli (c.28.v.12): “ A queste sedi è vicina Agrigento, il cui primo vescovo ricordato dagli scrittori fu S. Libertino. Ma in quale anno ciò avvenne non ci è noto. L’encomiaste siracusano di S. Libertino, degno di fede, lo fa contemporaneo di S. Peregrino Martire, che fu discepolo di S. Marziano vescovo di Siracusa, consacrato da S. Pietro.”
Queste notizie Cornelio le ha ricavate dall’eruditissimo Ottavio Gaetani della stessa Società (di Gesù). Attesta invero lo stesso Gaetani di avere un ms. greco della biblioteca romana contenente un elogio tenuto dall’encomiasta siracusano nella festa di S. Marziano al popolo siracusano, dov’è detto che Peregrino, discepolo di Marziano subì il martirio, assieme a Libertino, vescovo di Agrigento, nella cima del monte Crotaleo. Non si sa quale monte un tempo era chiamato Crotaleo; Lo stesso Caetano nella sua Idea (f. 70) e nel suo Martirologio il 3 Novembre, dai codici manoscritti e dalle tavole agrigentine, afferma che questo monte Crotaleo si trova vicino Agrigento e che il sacro corpo di Libertino fu sepolto onorevolmente nella città di Agrigento il 3 novembre sotto gli imperatori Vespasiano e Domiziano, ca. l’anno 90 della salvezza (d.C.). Si vedono antiche immagini di S. Libertino colpito da un pugnale nel capo e nel petto.”
Il suo magnifico tempio nell’anno 1624, mentre infieriva la peste, fu eretto nel terreno pubblico detto “Degli Zingari”, vicino alla Chiesa Parrocchiale di S. Michele, dove ancora oggi è fama che Libertino, mentre predicava la parola di Dio, colpito da pietre e trafitto dalla spada, morì e fu sepolto.”
Pieno accordo dunque, come s’è detto all’inizio, col Martirium – Passio, ad eccezione della chiesa, Santo Stefano invece che S. Michele; ma, com’è avvenuto in altri casi, i nomi dei titolari delle chiese possono cambiare nel corso dei secoli.
Il Vito Amico nel suo Lessico (v. Agrigentum, Girgenti nella traduzione di G. di Marzo) afferma: “ Nei tempi cristiani meritò Agrigento come una delle primarie città dell’isola venir costituita sede vescovile e affidata a S. Libertino. Venne consacrata dal glorioso suo sangue sparso per la fede di Cristo; è menzione di lui negli atti di S. Felice vescovo in Africa, il quale dicesi accolto in Agrigento, navigando per Roma.”.
Si tratta di Felice, Vescovo di Tubzak (Thibiuca), di cui abbiamo diverse passiones”, dipendenti da una passio di un contemporaneo (cfr. BSS. s.v. vol. VII). Secondo la Passio di Venosa (cfr. AA.SS. Octobris X, Bruxelles 1861, pp. 618-34), città della Puglia, dove il suo culto è antichissimo, dall’Africa giunto in Sicilia, transitò per Agrigento, Taormina, Catania, Messina e infine giunse a Venosa, ove il prefetto lo fece decapitare. Nel testo di questa Passio non ho però trovato “menzione” di Peregrino, come dice il Vito Amico, che probabilmente ha consultato un'altra passio.
Dopo la breve notizia su S. Libertino l’autore della nostra Passio dice: “Dopo queste cose, il predetto Silvano pervenne nel monastero dove abitava il servo di Dio Peregrino….”. E’ evidente quindi che Silvano si allontanò da Agrigento per recarsi nel monastero di Peregrino.
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