parte seconda

La Basilica di S. Maria Maggiore di Ispica:

Storia e Arte  (PARTE 1)

01) copertina

Basilica S. M. Maggiore (Foto. Salvatore Brancati)

 

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LA BASILICA

 STORIA

  Dopo il terremoto del 1693, per ospitare la statua del Cristo alla Colonna, miracolosamente recuperata, fu subito edificata la Cappella nel nuovo sito, sull'ameno colle della Calandra, con le stesse pietre della distrutta, antichissima chiesa di S. Maria della Cava. Nel 1696 l'edificio era stato ampliato, perché nella visita del vescovo Termini di quell'anno risultano fatti, oltre all'altare del Cristo alla Colonna, anche il maggiore, dedicato a S. Maria Maggiore e quelli di S. Anna e S. Corrado. I lavori continuarono negli anni seguenti, su progetto del siracusano Rosario Gagliardi. Questo illustre architetto, nella prima metà del Settecento, rielaborando in modo originale i modelli romani, realizzò diverse chiese a Noto ed il S. Giorgio a Ragusa Ibla, con le loro scenografiche facciate. La consacrazione avvenne l' 11 marzo 1725. 

  Ma il 6-1-1727 un altro sisma fece cadere la navata destra, quasi tutto il tetto e parte della cupola, mentre restò in piedi la navata sinistra con la Cappella del Cristo. Subito dopo iniziarono la ricostruzione e l'ornamento della chiesa, che durarono oltre trent'anni. Nel 1749 un altro architetto notinese, Vincenzo Sinatra, portò a termine il loggiato. Fra il 1750 ed il 1761 il palermitano Giuseppe Gianforma completò gli stucchi.

  Nell'ottobre 1761 l'Arciconfraternita fece il contratto con Olivio Sozzi (Catania 1690 - Ispica 1765), “per pitturare tutto il tetto della chiesa, col cappellone, le quattro vele della cubbola maggiore ed un quadro grande.” L'artista fu convinto ad accettare l'incarico dal Principe-Marchese di Ispica Francesco Saverio Statella e Gaetani; si trasferì ad Ispica ed iniziò i lavori il 20 maggio 1762. Furono suoi collaboratori i figli Francesco e Nicola, il giovane Sebastiano Monaco ed i pittori Giuseppe Tracuzza ed i fratelli Mollica. Le preziose indorature furono fatte negli stessi anni da Francesco Massa e Giuseppe Giudice di Modica.

 

03) loggiato del sinatra 1

Loggiato del Sinatra (Foto Melchiorre Trigilia)

04) loggiato del sinatra 2

Loggiato del Sinatra -Particolare (Foto. Salvatore Brancati)

07) santa maria maggiore

Basilica Santa Maria Maggiore.

(Foto. Salvatore Brancati)

08) particolare della recinzione

Particolare della recinzione

(Foto. Salvatore Brancati)

 

 Il 19 giugno 1763 la chiesa fu consacrata dal Vescovo De Requisens quale unica Basilica del Comune. L'opera del Sozzi si protrasse fin quasi al 31  marzo 1765, giorno  in  cui “rese la beata anima a Dio, fra le lacrime  di   dolore  e d'affetto dei Spaccafornani”, per il grande artista e  per l'uomo tanto virtuoso e pio. Secondo le sue volontà, il suo corpo fu inumato con la veste di terziario francescano nella cappella dell'Assunta.

Nel 1768 Vito D'Anna (Palermo 1718-69) marito di Luisa figlia di Olivio, dipingeva il mirabile quadro dell'altare maggiore. Nel 1895 furono riportati alla luce i resti mortali del Sozzi che vennero solennemente esposti in un'urna di vetro alla grata memoria dei cittadini. Il 24-2-1908 la Basilica fu eretta a Monumento Nazionale e nel 1928 a Parrocchia autonoma. Nel luglio del 1943 due bombe tirate dalle navi degli alleati danneggiarono la navata sinistra, mentre un'altra colpì la cappella del Cristo alla Colonna, ma, miracolosamente, non esplose.

05) san gregorio

San Gregorio

(Foto Melchiorre Trigilia)

06) santa rosalia

Santa Rosalia

(Foto Melchiorre Trigilia)

09) stemma

Stemma

(Foto. Salvatore Brancati)

10) particolare recinzione

Particolare recinzione

(Foto. Salvatore Brancati)

 

ESTERNO

  La facciata della chiesa è semplice e lineare; ha una lunghezza di 22 m. ed è divisa in due parti: l'inferiore ha sei lesene con capitello ionico e tre portali con archi a tutto sesto; la superiore, separata da un attico, ha quattro lesene binate corinzie in fila con le sottostanti, un finestrone architravato con cornice, sovrastato da un bel frontone triangolare, e due volute alquanto ristrette al corpo centrale. é  stata rifatta, in modo conforme al primitivo disegno, nel 1875-78 dai fratelli Catania, perché il calcare era stato eroso dagli agenti atmosferici.

Sulla lesena laterale destra della facciata c'è la statua in calcare di S. Gregorio Papa, protettore della Basilica. Il santo, in atteggiamento solenne, col volto pieno di dignità e capo leggermente piegato a sinistra e ricoperto dal triregno, è in abito pontificale. Con la sinistra tiene sollevata una falda del manto affibbiato sul petto, mentre tiene alzato il braccio destro, privo della mano che si è spezzata. Nel lato sinistra c'è S. Rosalia. La santa è in veste di terziaria con la mantellina che le gira sul petto e le spalle e l'ampia lunga veste, sollevata in un lembo dalla mano destra; la sinistra è invece piegata in alto con grazia. Il capo è rivolto a destra ed ha al solito la corona di rose, ma il volto è quasi del tutto corroso. Sopra il portale principale c'è un rilievo raffigurante lo stemma della Basilica. Il grande scudo è diviso in due parti. Nell'inferiore ci sono due putti alati sporgenti e in basso una conchiglia e una foglia d'acanto. Un ampio manto, sollevato da un angioletto alato  e  annodato  nel  lato  sinistro,  circonda la parte superiore contenente la scritta evangelica “Signum cui contradicetur”(Luc. 2, 34); sotto un'altra: “De basilicis haec una est Pont.(ificalis) Rom.(anus)”.

Secondo la testimonianza di anziani capimastri locali, le due statue e lo stemma facevano parte dell'antica facciata settecentesca. Lo stemma, spezzatisi durante i bombardamenti dell'ultima guerra, venne ricomposto dal capomastro G. Trincali. Negli stessi anni 1875-78, il valente capomastro - scalpellino Carlo di Gregorio, autore della nuova facciata della Chiesa dell'Annunziata,  aggiunse la recinzione esterna coi pilastri ornati da eleganti volute ed i grandi vasi riccamente decorati con foglie e rose.  La volta dell'androne della navata centrale e le decorazioni in stucco furono realizzate all'inizio del secolo da Carmelo Lauretta. I capimastri ispicesi Tringali, Nigro e Guarnieri fecero i lavori di restauro per i danni causati dalle bombe del 1943.

  Il loggiato esterno, progettato dal Sinatra sul modello del colonnato del Bernini a S. Pietro, è di forma semiellittica e comprende tre arcate centrali e altre dieci per lato. Il terzo sabato di settembre, fino alla fine del 1800, vi si svolgeva la fiera franca di S. Rosalia. Agli inizi del secolo le logge furono chiuse ed adibite a botteghe. Recentemente sono state sottoposte a restauro conservativo.

  La  poderosa torre campanaria  fu  eretta  nei  primi  del ’700 e nel 1709 vi fu collocata la campana grande, fusa con le offerte e gli ori dei fedeli. Nel 1911 fu aggiunta la cupola dal capomastro ispicese Carmelo Padova.

 

11) interno della chiesa

Interno della chiesa

(Foto. Salvatore Brancati)

12) affreschi navata centrale

Affreschi navata centrale

(Foto. Salvatore Brancati)

13) Trionfo della Fede

Trionfo della Fede

(Foto. Salvatore Brancati)

14) Trionfo dell'Eucaristia generale

Trionfo dell'Eucaristia generale

(Foto. Salvatore Brancati)

 

INTERNO

  Il tempio è a croce latina: la navata centrale è lunga m. 43 ed ha la stessa altezza del transetto che misura m. 32; le tre navate sono larghe m. 20.

  La Basilica fu eretta a monumento nazionale data “la sua importanza per la storia della pittura in Sicilia, essendo decorata da buone pitture”, di Olivio Sozzi e Vito D'Anna, i più illustri pittori del Settecento siciliano. Senza dubbio essa è il più organico e ricco complesso di affreschi e tele di tutta la vasta produzione sozziana ed uno dei grandi capolavori pittorici del sec. XVIII in Sicilia. Certo la bellezza delle figure e dei colori così luminosi dopo oltre due secoli, assieme al disegno armonico incentrato sulla Trinità, Cristo, Maria e la Chiesa, oltre a raggiungere alti livelli artistici, dimostra un sincero sentimento religioso, confermato dalla vita del Sozzi, ed un'approfondita conoscenza biblico-teologica e storico-agiografica. é l'ultima e più grande sua opera, il suo “testamento artistico e spirituale”. L'originalità della  creazione  non è sminuita né dall'influsso dei maestri romani e napoletani, né dal fatto che alcune scene siano state riprese da bozzetti e da opere dello stesso Sozzi e del genero, che lavorava con lui in “ineffabile e proficua collaborazione”; qualche altra scena sarà poi copiata da pittori minori della fine del secolo. Un restauro conservativo è stato fatto negli anni cinquanta dal Prof. Nicolosi di Catania, con gli aiuti, Calvagna Carmelo e Cassisi Carmelo. Come mi è stato detto dallo stesso Prof. Nicolosi, il restauro si limitò alla rimozione di precedenti  grossolani  restauri  ottocente-

schi e a lievi ritocchi e stuccature.

  

15) Trionfo Chiesa

Trionfo Chiesa

(Foto. Salvatore Brancati)

16) Trionfo della Croce intero

Trionfo della Croce intero

(Foto. Salvatore Brancati)

17) Maria in gloria

Maria in gloria

(Foto. Salvatore Brancati)

18) cupola

Cupola

(Foto Melchiorre Trigilia)

 

 

AFFRESCHI

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Navata centrale.  Gli affreschi sono in tutto 26. Il primo, vicino all'ingresso, rappresenta il Trionfo della Fede sull'idolatria. Al centro, su un trono mobile, siede la Fede in figura di donna maestosa; ha vesti chiare e alza nella destra il calice con l'ostia, mentre nella sinistra, appoggiata al petto e all'omero, tiene la croce. I quattro bracci del trono, riccamente scolpito, sono sostenuti dai due Padri latini, S. Girolamo e dietro S. Agostino  a destra; a sinistra, da altri due della Chiesa greca; il primo sembra simile al S. Atanasio dei bellissimi medaglioni affrescati dal nostro nel monastero basiliano di rito greco di S.Maria delle Grazie a Mezzoiuso nel 1752; dietro c'é  S. Giovanni Crisostomo o S. Gregorio Nazianzeno o Nisseno o S. Basilio Magno.

Nel lato destro, vicino alla cornice, ci sono un uomo ed una donna col bambino in braccio, che rappresentano la famiglia cristiana, mentre nello sfondo, su un cielo azzurro, ci sono delle nuvole vaporose con teste di angeli. A sinistra si ergono due possenti colonne su alto basamento, resti di un tempio pagano abbattuto, e a destra una parete architettonica, sul cui pilastro sta ritta la statua del Principe degli Apostoli, Pietro, che con l'indice della mano destra distesa mostra la Fede trionfante; dietro, nell'angolo, il ben noto e ripetuto ( nel 3° riquadro) cupolone di S. Pietro. La simbologia è chiara: la Fede cristiana, che ha vinto l'idolatria pagana, ha il suo centro nella Chiesa di Roma, sede di Pietro e dei Papi suoi successori; e da Roma essa è portata e diffusa nel mondo. In basso poi, ai piedi dei Padri e Dottori, ci sono un calamaio, il cappello cardinalizio ed il libro della Volgata di S. Girolamo; il copricapo orientale come la sua veste, di S. Atanasio; in fondo a destra, un  turibolo da cui fuoriesce il fumo dell'incenso dell'adorazione. Sotto, lo scudo con la scritta “Olivio Sozzi dipinse”.

31) PP Vasta trionfo eucarestia

PP Vasta trionfo eucarestia

(Foto Melchiorre Trigilia)

32) Bozzetto del Louvre

Bozzetto del Louvre

(Foto Melchiorre Trigilia)

33) bozzetto trionfo della croce

Bozzetto trionfo della croce

(Foto Melchiorre Trigilia)

La composizione è rilevante per l'ampia impostazione architettonica, le magnifiche figure in primo piano di S. Girolamo a torso nudo secondo la più diffusa tradizione iconografica, e S. Atanasio, col suo superbo omoforon greco; il poggiolo di nubi  diffonde una paradisiaca luce dorata.

  Per il grandioso affresco centrale il Sozzi e P. Paolo Vasta nella Chiesa del Purgatorio di Acireale, si servirono di un bozzetto di Corrado Giaquinto; un altro bozzetto, attribuito al nostro, si trova al Louvre; un terzo nel museo di Termini Imerese. Questo però non toglie merito alla superba realizzazione  del  Sozzi, che  vince di  gran lunga il confronto col Vasta, i cui colori sono più scialbi e le figure assai meno curate. Misura ben 40 mq. di superficie ed è detto “L'Antico ed il Nuovo Testamento” o “Trionfo della Mensa Eucaristica”. é un'imponente composizione che riassume i due Testamenti, incentrandoli nell'apoteosi dell' Eucaristia, cuore e fonte della vita cristiana. Si può dividere in quattro piani. In basso, Adamo ed Eva con Seth; dietro, Giacobbe e l'angelo; accanto, Ruth che coglie le spighe e Giuditta con la testa di Oloferne e la serva che l'aiuta. Sopra, gli esploratori della terra promessa, Davide e Gedeone. Dominante la figura di Mosè, con Aronne, Maria e Giosuè. Al centro, Cristo Redentore vicino alla sacra mensa, con la croce, la corona di spine ed il calice con l'ostia; sotto, i simboli dei quattro evangelisti (non si vede il toro di S. Luca); in adorazione, S. Pietro con in mano le chiavi, S. Paolo e gli altri Apostoli; a sinistra la Madonna, avvolta da uno splendido manto azzurro, con dietro Maria, Marta e la Maddalena; in alto, nei cieli con le lievi nuvole evanescenti e dorate dell'empireo, ci sono  l'Eterno Padre e lo Spirito Santo in forma di colomba.

 

  Il terzo affresco  rappresenta il Trionfo della Chiesa sull'eresia . In alto, su uno sfondo di cielo azzurro, in mezzo a vaporose nuvole, è distesa la Chiesa, in figura di donna maestosa, con regale ammanto ed in capo il triregno; ha nella destra la croce e poggia la sinistra sulla cupola di S. Pietro. Sotto, il Papa S. Gregorio, protettore della Chiesa di S.Maria, nel suo abito pontificale; un angelo sorregge sopra il suo capo la tiara, mentre la colomba è simbolo dello Spirito Santo che lo ispirava nei suoi scritti e nella sua opera. Io ho rilevato una forte somiglianza coi ritratti del Papa del tempo, Clemente XIII (1758-69). Si confronti il ritratto di Raphael Mengs); non c'è da meravigliarsi, perché in diverse opere di altri pittori, il ritratto di Gregorio cela quello del Pontefice regnante (come Leone X di Angelo del Maino, Clemente VII del Vasari e Gregorio XIII di Federico Zuccari). In basso, con uno scorcio assai efficace, il demone dell'eresia, simboleggiata dall'idra dentro la Bibbia; la stessa figura si trovava nella parte inferiore del distrutto soffitto della libreria dell'Università di Catania e si trova nella volta della navata centrale della Matrice di Melilli. Sopra l'angelo col fulmine dell'anatema.

27) Virtù 1

Virtù 1

(Foto. Salvatore Brancati)

28) Virtù 2

Virtù 2

(Foto. Salvatore Brancati)

29) Virtù 3

Virtù 3

(Foto. Salvatore Brancati)

30) Virtù 4

Virtù 4

(Foto. Salvatore Brancati)

Le quattro virtù cardinali. Ai lati dei tre ripartimenti della volta della navata centrale, sono simmetricamente disposti, due per lato, quattro piccoli affreschi, incorniciati da stucchi dorati e con uno scudo ricco di fregi e volute in basso al centro e due rami frondosi ai lati. Il primo medaglione a sinistra  simboleggia  la Giustizia, in forma di bellissima regina che tiene nella mano destra una bilancia simbolica con cui pesa a ciascuno il suo, e nella sinistra il fascio littorio delle verghe legate ad una scure, simbolo del diritto romano. Il secondo raffigura la Temperanza, rappresentata da una donna che tiene nella sinistra uno specchio, simbolo della virtù su cui modellarsi, e nella destra un'asta con attorcigliato il serpente della tentazione. Il primo medaglione a destra rappresenta invece la Fortezza, in forma di vigorosa guerriera, con l'elmo piumato in testa, la lancia e lo scudo per vincere la battaglia della fede. Il secondo raffigura la Prudenza, sempre in forma di bellissima donna, che osserva attentamente la catena che ha fra le dita, simbolo della cura che si deve avere in ogni parola, opera e pensiero.

L'allegoria delle virtù cardinali era già stata rappresentata da V. D'Anna nei peducci della cupola della chiesa di S. Matteo a Palermo. Ma qui il Sozzi, dando la sua impronta personale, raggiunge la perfezione per la bellezza delle immagini, la vivacità dei colori e la mirabile ottica.

La cupola.  Questa cupola è senza tamburo, e, a differenza di quella del Gesù a Catania, non è continua ma a tazza internamente divisa  da  costoloni dorati, anticipo del gusto neoclassico.  L'unità delle  varie  scene rende ampia e sensibile ogni superficie  e utilizza la luce in modo esemplare. Perfetta risulta l'armonia compositiva e coloristica.

Nei pennacchi  o peducci ci sono quattro donne maestose simbolo dei quattro continenti allora conosciuti (Europa, Asia, Africa, America), simili a quelle già riprodotte dal D'Anna a S. Caterina a Palermo e dallo stesso Sozzi nella cupola del Gesù a Catania.

Importante il confronto estetico fatto dallo scultore e pittore ispicese Salvo Monica. Non si può anzitutto parlare di uso degli stessi cartoni, ma, al più, di semplici bozzetti, non essendo le figure identiche. Nella figura dell'Asia i colori del D'Anna sono più sfumati e tenui. La testa nel Sozzi è più sorridente e dolce; il collo della figura di Vito è molto lungo ed un'imperfezione si rileva nella gamba, che sembra un po’ rachitica; anche il piedino è appena abbozzato, mentre in Olivio è più curato. Il puttino in alto è differente: più bello quello del S., modellato con sapienza plastica straordinaria.

In conclusione dal confronto si evince che il S. è più padrone nella composizione e nel colore. Le sue figure risultano più maestose nelle forme e splendide nei colori; come in altri casi Olivio non co­pia e non si ripete e anche se prende spunto, apporta elementi nuovi.

23) africa

Africa

(Foto. Salvatore Brancati)

24) europa

Europa

(Foto. Salvatore Brancati)

25) america

America

(Foto. Salvatore Brancati)

26) asia

Asia

(Foto. Salvatore Brancati)

L'Europa ha un bel viso rotondo bianco-roseo e gli occhi luminosi. Uno splendido manto giallo oro ne avvolge in molteplici pieghe il corpo formoso. Porta  in capo la corona, nella destra lo scettro e alza con l'altra mano la bandiera: tutti simboli del suo re­gale primato sulle nazioni. Ai piedi ha l'elmo piumato e lo scudo  a ricordo delle guerre sostenute per il dominio materiale e spirituale sulle genti. In alto a destra i simboli della Chiesa di Roma: la tiara e la cupola di S. Pietro.

L'Asia maestosa, in ampio manto ondeg­giante, stretto ai fianchi da una cintura d'oro e di gemme. Il bel capo, adorno di una lunga chioma scura intrecciata di erbe e fiori, ha il volto illuminato da un vago sorriso. Col bianco braccio alzato porge ad un putto alato una collana di gemme; con la destra stringe la mano di un altro puttino, che sostiene un braciere dal quale s'innalza il profumo degli incensi e degli aromi caratteristici dell'Oriente.

L'Africa è simboleggiata da un'altra bella donna di carnagione scura, sul cui capo due putti alati stendono un'ampia ombrosa falda del manto. Ha nel petto una corona di rose, con la destra tiene un mazzo di spighe e con la sinistra i coralli che le porge un angioletto. Ai piedi c'è un fulvo leone, il re degli animali, caratteristico della fauna dell'Africa, “ubi sunt leones”.

La figura di giovane amazzone che rappresenta l'America ha in capo un serto di fiori e alza con la sinistra una corona di perle. Morbido al solito il panneggio della veste sul corpo sinuoso, mentre il manto è sollevato in alto a destra da un puttino. Un altro genietto tiene nelle mani l'arco e la faretra, adatti per cacciare nelle foreste tropicali.

19) Vela Madonna

Vela Madonna

(Foto. Salvatore Brancati)

20) Vela S. Ignazio di Loiola

Vela S. Ignazio di Loiola

(Foto. Salvatore Brancati)

21) Vela Mosè

Vela Mosè

(Foto. Salvatore Brancati)

22) Vela San Filippo Neri

Vela San Filippo Neri

(Foto. Salvatore Brancati)

La prima delle quattro vele rappresenta il trionfo delle Vergini:. Al centro della scena, assisa al solito sulle nubi in mezzo agli angeli, c'è la Madonna in gloria, con il capo amabilmente piegato e lo sguardo umilmente chino; ha nel lato sinistro l'anziano sposo Giuseppe, il quale tiene in mano la biblica verga fiorita, e, a destra, ritto in piedi il Bambino Gesù, che protende la corona di fiori, simbolo della vita eterna, sul capo di S. Rosalia. A destra infatti, in posizione preminente, c'è la vergine patrona di Palermo, ovunque invocata contro le pestilenze, la quale ha ai piedi il vangelo ed il chiodo con cui incise il suo nome nella grotta della Quisquina. Dietro in alto c'è Ursula, la condottiera delle diecimila vergini martiri (secondo la tradizione), con in capo la corona perché figlia di re, la quale tiene issata la grande bandiera sormontata dalla croce ed ha ai suoi piedi  la fedele compagna Cardula, che stringe nelle mani la croce del martirio. Nell'altro lato  le altre più venerate Vergini martiri: Lucia di Siracusa, Agata di Catania e Agnese di Roma.

 Nella seconda ci sono i fondatori di Ordini religiosi: In posizione centrale e dominante c'è S. Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti, con in mano il libro  degli  “Esercizi” coi due motti dell'Ordine: I.H.S.(Gesù Salvatore degli Uomini) e A.M.D.G. (a maggior gloria di Dio). Il Sozzi ripropone fedelmente le fattezze dei primi ritratti del Santo: la fronte nuda, il naso affilato, gli occhi profondi ed intenti. Le stesse sembianze ha il quadro del Novelli della Cattedrale di Palermo. La tipologia è ripresa dalla gloria dell'ordine gesuitico, dipinta dal Sozzi nella grandiosa cupola della chiesa del Gesù a Catania, qualche anno prima, nel 1760. Ma, conformemente al gusto barocco, Olivio trasforma in rapimento estatico l'austerità del volto secco ed emaciato e sostituisce alla tonaca e al mantello nero la flessuosa e magnifica pianeta di color scarlatto.

 Il santo a destra viene identificato col discepolo prediletto di S. Ignazio, S. Francesco Saverio, il grande apostolo delle Indie, Patrono delle Missioni, che però non è fondatore di ordini; perciò possiamo meglio identificarlo con S. Gaetano da Tiene, fondatore dei Teatini. Dietro, in fondo al riquadro, con lo sguardo fisso al libro, c'è S. Domenico di Guzman, fondatore dell'Ordine dei Predicatori, col suo bianco abito e la mano sinistra al petto, mentre nella destra tiene tre gigli. Sotto, di spalle, S. Agostino (Agostiniani), rivestito di una superba pianeta episcopale, con ai lati la mitra ed il pastorale tenuti da due angioletti. Al centro in basso, siede S. Francesco d'Assisi (Francescani), applicato nella lettura del libro della sua Regola. A sinistra, il vecchio profeta Elia con la fluente barba bianca, Patriarca dell'Ordine Carmelitano. Infine nell'angolo c'è S. Teresa d'Avila o S. Caterina da Siena. La grande mistica spagnola, riformatrice di quest'Ordine, come fondatrice delle Carmelitane Scalze, è riconoscibile dal cuore che ha al centro del petto, che ricorda la sua trafittura mistica per mezzo del dardo dorato dell'angelo. Ma può essere anche S. Caterina da Siena, riformatrice dell'Ordine Domenicano, col cuore nel petto, a ricordo del mistico scambio del suo col cuore di Cristo, di cui parlano le fonti.

Nella terza, c'è il Trionfo dei Santi e martiri illustri. Domina la mistica  figura  di  S. Filippo Neri. Ha gli occhi levati al cielo, un giglio nella mano destra, simbolo della purezza, e nella sinistra  il  cuore, simbolo del suo ardente amore a Cristo; è costretto ad aprire la tonaca, quasi per dare sfogo alla forte fiamma della carità che gli dilata il petto. Sotto, a destra, S. Nicola di Bari, in abito orientale col pastorale e la Bibbia con tre palle d'oro, simbolo della SS. Trinità. Alle spalle, nascosto, c'è S. Francesco di Paola, col suo motto “Caritas”. Nell'altro lato, in basso a sinistra, S. Carlo Borromeo e S. Francesco di Sales in amabile conversazione (Sono portato ad escludere che si tratti del nipote Federico Borromeo, perché non è stato elevato  alla gloria  degli  altari e perciò non poteva essere proposto alla venerazione dei fedeli, assieme agli altri santi canonizzati). Dietro, il diacono S. Lorenzo, con in mano lo strumento del suo martirio, la graticola. Per ultimo S. Giovanni Nepomuceno, che tiene il dito sulla bocca, per significare la sua condanna a morte, per non aver voluto violare il sigillo sacramentale.

Nella quarta, i Patriarchi ed i Profeti: . Al centro, in basso, c'è il vecchio Mosè, che sorregge con entrambe le mani le pesanti tavole della Legge. A destra Noè che poggia le mani sull'arca e tiene fra le dita il ramoscello d'olivo. In fondo il sommo sacerdote Aronne col caratteristico copricapo ed in mano l'incensiere. Nel piano superiore a destra il re Davide con l'arpa e dietro c'è la testa del profeta Samuele; a sinistra la vigorosa figura del guerriero Gedeone, con l'elmo piumato in testa, lo scudo luccicante nel braccio destro e la spada nella sinistra. Nell'angolo sinistro in alto, il vecchio padre Abramo ha lo sguardo rivolto in alto, pronto a sacrificare a Jahvè il figlio Isacco, che sta sotto piegato sotto il peso della legna portata sul monte per il suo sacrificio.

Nel cupolino, in forma di corona circolare, armoniosamente intrecciati a ghirlande di fiori, danzano molti angioletti festanti. Si tramanda che il Sozzi si sia ispirato ad un gioco popolare fatto dai fanciulli del paese, che dandosi l'un l'altro le mani in cerchio, danzavano e cantavano. Nel cerchio della lanterna ritorna poi la colomba simbolo dello Spirito Santo, in mezzo a cori di angeli. Nel cartiglio sorretto da puttini in stucco, c'è la scritta: “Primatum habui” (ebbi il primato), quale unica Basilica.

Transetto. I due affreschi del transetto sono due capolavori nei quali il Sozzi raggiunge il culmine della sua arte, poiché la bellezza e precisione delle immagini si fonde col concetto storico-morale-teologico che contengono. A sinistra c'è Il Trionfo del Redentore: in basso, Adamo ed Eva, pieni di vergogna per la trasgressione dell'ordine divino, si nascondono oppressi dalla coscienza del peccato e della morte. Possente e michelangiolesco il dorso nudo di Adamo e straordinario lo scorcio che riesce a piegare in poco spazio, senza deformarlo, il corpo formoso di Eva, che emana un fascino di voluttà e dolore.  Al centro domina il Cristo con la sua lunga e pesante croce redentrice; la figura è di una vigorosa bellezza mista a grazia e mitezza. In alto a destra, l'Eterno Padre, coronato da schiere di angeli, in mezzo a nuvole bianche e cielo azzurro. In fondo, in parte fuori dal riquadro, cioè fuori dall'ordine voluto da Dio, l'infernale cherubino, cacciato via nell'inferno. Questa composizione è simile ma non identica a quella affrescata  dal  D'Anna  nel  lato destro del transetto della Chiesa di S. Matteo a Palermo. Dal confronto risulta evidente che Olivio ha superato il genero. I colori anzitutto sono più intensi e brillanti, mentre quelli del D'Anna, invero anche a motivo dell'umidità, più tenui e sbiaditi. La composizione è più armonica e la scena risulta perfetta e completa. La testa dell'Eva del D'Anna è difettosa, mentre l'Adamo è bello in entrambi gli affreschi, ma è del tutto diverso non certo una copia. Differenze notevoli, nel viso, gambe e braccia ci sono anche nel demonio, che è certo risolto meglio nel nostro. Nel D'Anna la parte superiore è confusa e manca il Padre Eterno; più bella, completa e piena di luce che cade dall'alto, quella del Sozzi (Salvo Monica). Di questo affresco esiste un bozzetto inedito, attribuito allo stesso Sozzi, di proprietà dell'antica famiglia Favi di Ispica.

A destra, la Vergine in gloria . Questo quadro ha anch'esso grandi pregi, per la finezza delle immagini e la ricchezza di luci e colori che circonda la figura estatica della Beata Vergine, rapita tra le nubi del cielo, in mezzo agli angeli festanti. Nel piano inferiore l'Arcangelo Michele, in costume guerriero, che con la spada di fuoco caccia Lucifero dal paradiso. Possente lo scorcio della bruna figura del  Maligno che sobbalza e precipita fuori; meno riuscita risulta invece la figura dell'Arcangelo, che poteva essere più grandioso e severo. Il tema dell'Assunzione era stato svolto da molti pittori; famosa soprattutto la tela, più complessa, del Tiziano, che il Sozzi ha certo tenuto presente. é importante rilevare che la Vergine in gloria era già stata dipinta da Olivio nella chiesa della Martorana a Palermo. Ci sono indubbiamente somiglianze ma anche notevoli diversità; il che dimostra, ancora una volta, a differenza di quanto qualcuno dice, che il nostro non si ripete, né copia, né da sé stesso né dal genero, D'Anna.

Ai lati del transetto, ci sono due piccoli affreschi di forma circolare, invero deteriorati e bisognosi di restauro. Nella parte destra il Profeta Isaia con la barba bianca e testa in parte calva; tiene con la sinistra il rotolo spiegato con la scritta biblica che predice la venuta del Salvatore e la mostra con l'indice dell'altra mano: “Deus ipse veniet et salvabit nos” (Dio verrà e ci salverà) (Is. 35,4). L'altro santo vegliardo del lato sinistro rappresenta  l'evangelista S. Luca che tiene con le due mani un grande foglio con un passo tratto dal suo vangelo, e precisamente dal “Magnificat” della Vergine: “Deposuit potentes [manca “de sede”] et exaltavit humiles” (Luc. 1, 52 ).

34) Abside totale

Abside totale

(Foto. Salvatore Brancati)

35) Dio Padre

Dio Padre

(Foto. Salvatore Brancati)

36) Ascensione

Ascensione

(Foto. Salvatore Brancati)

37) Ascensione - particolare

Ascensione - particolare

(Foto. Salvatore Brancati)

Abside. Nel centro della volta del presbiterio, assiso nel suo trono di nuvole dorate, sta solenne il Divin Padre, in figura di vecchio dalla veneranda canizie, dalla maestà regale e paterna, con nella mano sinistra lo scettro, simbolo dell'onnipotenza. Attorno al capo si svolge, lieve al vento, il roseo manto, che poi gira morbidamente sul grembo; ai lati e di sotto gli angeli osannanti. Di questo quadro esiste un bozzetto preparatorio, custodito nella Galleria Regionale di Palermo, mirabile per “la sicurezza del tratto, gli scorci arditi, l'ampio e svolazzante articolarsi del panneggio e infine per l'acquarellatura che sembra condensarsi come grumi di colore”(M. Genova).

Il Cristo Risorto che ascende al cielo, principio e fine di tutta la storia della salvezza di chiara ispirazione raffaellesca, domina, grandioso e solenne, nel catino absidale, che è il punto focale di tutta la chiesa. Il Salvatore, maestoso e stupendo, ascende al cielo con le braccia aperte, nudo nella parte superiore del corpo, mentre un candido velo svolazzante lo avvolge nel basso ventre. Tutto nella scena è mirabilmente proporzionato nelle figure, spazi, linee, movimenti, colori. A terra rimangono gli Apostoli meravigliati e attoniti. Nei due riquadri laterali, che, sebbene separati, fanno parte integrante della scena dell'Ascensione, sono raffigurati gli altri sei Apostoli in diversi atteggiamenti, ma tutti con lo sguardo ed il cuore rivolti verso il loro Signore, desiderosi anch'essi di resuscitare spiritualmente in Cristo. Secondo una tradizione attendibile il più anziano degli apostoli sarebbe l'autoritratto del Sozzi.

Sopra l'Ascensione, in una cornice più piccola, c'è la colomba ad ali spiegate, simbolo dello Spirito Santo, al solito fra nuvole ed angeli festanti.

 

38) gli apostoli ammirati 1

Gli apostoli ammirati

(Foto Melchiorre Trigilia)

39) gli apostoli ammirati 2

Gli apostoli ammirati

(Foto Melchiorre Trigilia)

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San Luca

(Foto Melchiorre Trigilia)

40) isaia

Isaia

(Foto Melchiorre Trigilia)

IL GIUDIZIO ESTETICO

  Bisogna anzitutto, in soggetti sacri, rilevare la profonda religiosità della pittura del Sozzi. Il Concilio di Trento nel decreto sulle sacre immagini dichiarava che per mezzo di esse il popolo cristiano deve essere istruito nella fede e spinto ad amare Dio, a venerare ed imitare i santi, a coltivare la pietà. Ed il Cardinale Federico Borromeo, nel suo “De pictura sacra”, ammonisce:“ Se i pittori prima non si saranno sforzati di eccitare nel proprio animo i sentimenti, non potranno trasfondere nelle loro opere ciò che essi non sentono, la pietà ed i nobili sentimenti dell'animo.” Orbene la vita tutta, l'appartenenza al terz'ordine francescano, il suo testamento, le testimonianze  concordi delle fonti, l'affetto e la stima del popolo e del clero ispicese, manifestata nei solenni funerali, confermano pienamente la sincera e profonda fede del Sozzi. Validissimo perciò il giudizio di Padre Pietro Roccaforte: “Dotato com'era di fervida fantasia, di spirito poetico, di nobiltà di idee, di squisita sensibilità, di grazia trasparente e di luminosità interiore, scaturita da profonde convinzioni religiose e dall'illibatezza della sua

coscienza,  Don  Olivio seppe trasfondere tesori di fascinosa bellezza nelle sue artistiche creature e nelle sue gaie e soggioganti composizioni.”

 In tutta l'immensa composizione della Basilica, sono in primo luogo da ammirare gli stupendi colori: vaporosi, leggeri e luminosi. Ci sono tutte le sfumature, dal dorato delle leggere nuvole e cieli spirituali  al tenue verde smeraldo, al violetto leggero dei manti, al rosa carnicino dei volti; tutti fusi assieme, senza violenze in una mirabile sinfonia coloristica. Un cenno al panneggio: è certo sovrabbondante, secondo la moda del tempo, ma è senza dubbio straordinario, per flessuosità e varietà delle falde e dei movimenti. Dice bene il pittore letterato discepolo del Sozzi, il Padre Cappuccino Fedele da S. Biagio (1780): “Se voi senza prevenzione considerate tutto, ravviserete in D. Olivio il dono dell'eleganza e graziosità, nelle fisionomie, nei panni e nella vaghezza e stabilità delle sue composizioni… Li migliori suoi quadri in verità mettono in soggezione qualunque pittore e per il vago colorito e per la grazia delle figure”. A giudizio di P. Fedele e del Gallo, studioso palermitano della prima metà dell'Ottocento, i quali riportano la comune opinione dei contemporanei, gli affreschi di S. Maria sono l'opera più riuscita, il suo capolavoro finale. Più di recente anche Il Marino Mazara esprime un simile giudizio: “I dipinti di S. Maria sono l'opera migliore del S., la più spirituale e sincera, nella quale egli, superando la leziosità ed il manierismo del suo ambiente, acquista un'originalità chiara e vigorosa ed uno stile sobrio e pacato. Con quelle pitture egli lasciò al mondo il suo ultimo poema e rivolse a Dio la sua finale preghiera.”  D'accordo anche il Prof. Gaetano Gangi: “Il S. è uno dei grandi affrescatori, la cui opera è tanto più significativa quanto più è legata alle architetture. Il suo capolavoro sono gli affreschi brillanti e magistralmente concepiti, che egli dipinse nella cupola a tazza e nella volta di S. Maria Maggiore di Ispica.”Concludiamo con le parole che nel 1942 scriveva il critico d'arte catanese Salvatore Lo Presti:“ Tutte le opere del Sozzi che ancora si conservano testimoniano della signorilità della sua opera, non  priva di potenti espressioni coloristiche e di vigoria nel disegno…I grandiosi affreschi di S. Maria sono il suo ‘canto del cigno’.… Di lui non s'è finora scritto e detto abbastanza; si sono è vero, apprezzate le sue tele e si è insistito molto  nel decantare i suoi affreschi, nei quali egli riesce sovrano per potenza di affetto e freschezza di colorito, rendendosi originale nei lavori di scorcio e di sotto in sù.

Ma uno studio quale meriterebbe  manca. Egli purtroppo è uno degli artisti che ancora attendono giustizia”!

Spero  che  con  la mia completa monografia, con il necessario aiuto di enti ed istituzioni, pubbliche e private, possa adempiere questa giustizia e dare il dovuto onore e gloria a questo grande pittore ed alla nostra città che lo ospitò e ne conserva i resti mortali e dove egli volle lasciare il suo capolavoro finale, il suo testamento artistico e spirituale che dura e durerà nei secoli.

 

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