parte seconda
La Basilica di S. Maria Maggiore di Ispica
Storia e Arte
(PARTE 2)
QUADRI AD OLIO
San Corrado (Foto. Salvatore Brancati) |
Addolorata (Foto. Salvatore Brancati) |
Sacra Famiglia (Foto. Salvatore Brancati) |
Santa Rosa da Lima (Foto. Salvatore Brancati) |
I quadri di maggior pregio, che possiamo ben attribuire al Sozzi o al D'Anna sono la Sacra Famiglia, la Madonna della Mercede ed il S. Nicola; gli altri, di più modesta fattura, sono opera dei collaboratori, che certo usarono i cartoni del maestro.
Nella navata destra, il primo altare è dedicato a S. Rita.
Nel secondo, c'è il Transito di S. Corrado di Noto. Il santo, in ginocchio sulla nuda roccia, com'era solito fare nel suo eremo dei Pizzoni, col suo abito di terziario regolare di S. Francesco, è in atteggiamento estatico, col viso dall'ampia fronte e gli occhi fissi verso il paradiso, indicato al solito da nubi ripiene di testine alate di angeli. Nel lato destro un angelo, in figura di bel giovane con grandi ali ed il viso rivolto all'indietro, abbraccia il manto del santo. A sinistra, genuflesso, c'è un sacerdote, che non può essere S. Luigi Gonzaga (Fronterrè), estraneo al culto del Patrono della Città di Noto, ma è il “devoto previti (prete) che molte fiate gli dava la confissioni e la comunioni” erroneamente chiamato Guidi e considerato l’autore della “Vita Beati Conradi” del sec. XIV. La conferma è data dal libro che nel dipinto è aperto ai piedi del santo.
. Le figure sono molto scurite, il loro valore estetico è modesto; opera dei collaboratori.
Nel terzo c'è l'Addolorata. La Vergine siede su uno sperone di roccia, composta nella sua profonda afflizione, espressa nel suo volto dolente e nella veste scura che avvolge il suo corpo e il suo capo. Un coltello le trafigge il cuore, secondo la profezia di Simeone. Le sta davanti alle ginocchia un giovane angelo, con le gambe piegate ed il viso a lei rivolto, che tiene nelle mani la scritta I.N.R.I. Alcuni puttini stanno sulla destra, mentre in alto, su fitti, scuri nembi, due angeli col corpo prono coprono con le mani il viso in segno di dolore e pianto. Lo sfondo è caratterizzato da cime di monti e, a destra, in piccolo, la facciata di una basilica e accanto un battistero (Firenze?). Il viso della Vergine non ha però né la bellezza né l'intenso pathos delle Pietà sozziane. Attribuibile ai discepoli.
Nicola di Bari (Foto. Salvatore Brancati) |
Madonna della Mercede (Foto. Salvatore Brancati) |
Immacolata (Foto. Salvatore Brancati) |
Vito D'Anna - Madonna Cava (Foto. Salvatore Brancati) |
Nel quarto, la Sacra Famiglia con S. Elisabetta, S. Gioacchino e S. Giovannino. Le figure sono disposte con attenta cura su due diagonali che s'incontrano al centro nella Madonna col Bambino, la quale, in posa equilibrata e dignitosa, diventa “il fulcro della dinamica contenuta del gruppo. Il gusto classicheggiante dell'insieme è accentuato dallo sfondo architettonico, che, mediante un'abside, sottolinea la centralità spaziale della Vergine”. Il tema della Sacra Famiglia è trattato da altri pittori locali della Contea di Modica della prima e seconda metà del Settecento. “Ma la tela del Sozzi è di ben più alta levatura artistica per lo schema compositivo e la bellezza delle figure e dei colori”(G. Flaccavento). Non c'è dubbio che le figure di Giuseppe, Zaccaria, e dei Bambinelli paffutelli e riccioluti, sono propri di Olivio. Caratteristica la tipologia del volto di Maria “delicatmente reclinato, dal naso diritto e affilato, dalla bocca piccola e dalle palpebre timidamente ribassate.”(M. Genova). I dubbi sull'attribuzione del dipinto ci sembrano infondati. Il panneggio non è “duro” ma al solito abbondante, flessuoso e morbido; il gioco chiaroscurale, con la luce che promana dal lato destro in alto, è sapiente ed efficace; le mani di S. Elisabetta, lungi dall'essere “rigide”, sono invece dolcemente piegate ed, essendo forse la parte del corpo più difficile da raffigurare con perfezione anatomica e nelle pieghe delle luci e ombre, dimostrano la "mano”! del maestro (V. Assenza). Per quanto riguarda i colori che risultano poco luminosi e “insistenti su toni terrosi, sui verdi e sui grigi”, rileviamo anzitutto che il S. sceglie un ambiente interno poco luminoso; ma soprattutto possiamo essere certi che i colori originari erano più splendidi e vivi; l'alterazione, comune a tanti altri dipinti dei secoli passati e difficilissima se non impossibile da rimuovere, è causata dall'alterazione chimico-fisica, per i fumi delle candele, la polvere, la luce stessa e soprattutto le ridipinture e le vernici usate dai restauratori. In conclusione riteniamo che questo mirabile quadro sia esclusivo del Sozzi, senza intervento di altri collaboratori.
Madonna del Rosario (Foto Melchiorre Trigilia) |
Particolare madonna Rosario (Foto Melchiorre Trigilia) |
Particolare madonna rosario (Foto Melchiorre Trigilia) |
Madonna Santi (Foto Melchiorre Trigilia) |
Nel primo altare della navata sinistra c'è S. Rosa da Lima. La santa (1586-1617 - Canon. 1671) nell'abito del Terz'Ordine Domenicano, con la destra solleva un lembo della veste e porta la sinistra al petto. Ai piedi accovacciato c'è un agnello, simbolo della sua innocenza o di Cristo, agnello di Dio. Ha il capo e lo sguardo rivolto in estatica contemplazione verso il suo Signore, che in figura di bellissimo giovane seduto sulla nuda roccia, le porge con la destra tre rose: sarebbero perciò rappresentate le nozze mistiche col divino sposo. Molto suggestivo lo sfondo con maestosi alberi dall'ampia chioma e di fronte una ripida parete rocciosa da cui sgorga a cascata una sorgente abbondante d'acqua pura, simbolo della divina grazia. Si può pensare che il pittore si sia ispirato al paesaggio della cava, con i grandi noci, i precipiti fianchi dirupati e le fresche sorgenti e cascate del Busaitone. La tela purtroppo è troppo scurita ed il panneggio lascia a desiderare. Attribuibile agli aiuti.
Nel secondo S. Nicola di Bari. Si tratta di S. Nicola, vescovo di Mira (Asia Minore) nel IV Sec., detto di Bari, perché le sue reliquie vi sono custodite nella cattedrale, dove furono traslate nel 1087. é certo uno dei santi più venerati nella Chiesa Greca e Latina. Il santo è in abito episcopale, col bastone e la Bibbia nella sinistra e la mano destra alzata e distesa. Il viso sereno e solenne, con barba e capelli bianchi, è simile a quello effigiato nel primo quadro della cupola, dove però il santo ha vesti e bastone episcopale orientali. In alto c'è la solita gloria di angioletti, mentre lo sfondo è formato da una campagna con alberi di melograno. In piccolo, in basso a destra, è raffigurato l’episodio del giovane coppiere, prigioniero di un re pagano, qui con la regina nel suo padiglione, che fu liberato dal santo. E’ uno degli episodi della sua leggenda, tanto ricca di fatti prodigiosi e particolari suggestivi. A destra infine una fontana ornamentale a tre piani. L'attribuzione al Sozzi si può accettare per la bellezza del viso, simile a quello della cupola, e l'eleganza e morbidezza del panneggio. Si nota però qualche ingenuità: il Pastorale è bello, con la voluta che ha forme arricciate a spirale e termina in un fiore a quattro petali; ma non si regge e sarebbe stato meglio sostenuto con la mano destra, la quale è invero troppo piccola (V. Assenza). Questi errori si possono attribuire ai collaboratori, ma si ricordi che anche i sommi pittori non erano esenti da simili sviste!
Nel terzo altare sinistro c'è la Madonna della Mercede. La Vergine, che ha il caratteristico viso e atteggiamento delle Madonne sozziane, seduta in trono, al centro in alto, col Bambino in braccio, dà il bianco abito dell'Ordine della Mercede a S. Pietro Nolasco, fondatore dei Mercedari, per la redenzione degli schiavi cristiani dai Mori. Lo stemma portato sull'abito bianco è quello di Aragona, concesso dal re Giacomo I quando l'Ordine fu fondato nel 1218 a Barcellona. Nell'altro lato in basso un santo alza nella destra un'ostensorio e tiene nella sinistra un fascio di verghe. Ai suoi piedi uno schiavo redento con al collo l'abitino dell'Ordine. Più in alto una santa in abito monacale. Secondo la Fronterré, questi due santi sarebbero S. Giovanni dei Sacramenti (Eudes) e S. Teresa d'Avila. Ma poiché anch'essi, come il Nolasco, hanno l'abitino dei Mercedari, ciò si può escludere, ed essendo santi dell' ordine, vanno identificati con S. Pietro Pascasio vescovo (ha la mantellina rossa) e martire (le verghe simbolo del martirio), devoto dell'Eucaristia. La donna è invece S. Maria di Cervellon, spagnola (1235 – 1290), fondatrice nel 1265 del 2° Ordine femminile. Il soprannome Maria del Soccorso le fu dato quale protettrice dei naviganti e dei frati dell'Ordine dai frequenti pericoli delle tempeste e dei pirati; ecco perché, anche in questo dipinto, è raffigurata con un veliero in mano. L'opera è valida e, avendo qualità affini alle altre opere autentiche, si può ben attribuire al Sozzi (V. Assenza).
Nel quarto altare c'è il dipinto raffigurante L'Immacolata e le anime purganti. La dolcissima figura della Vergine domina al centro del quadro in mezzo a nuvole e angeli festanti, col capo lievemente piegato a destra, il manto svolazzante e la falce della luna sotto i piedi, come la Donna dell'Apocalisse. In basso le anime del Purgatorio, emergendo dalle fiamme, invocano gemendo l'aiuto della Madre di Dio e della Chiesa, perché le liberi dalle loro pene. Il viso e la figura della Madonna sono certo del Sozzi e sono quasi identiche alle altre, anche nell'inclinazione del capo (Sacra Famiglia); si può perciò parlare di cartoni, ma qui le lunghe bionde chiome escono dal velo e si poggiano morbidamente sugli omeri. Qualche difetto si riscontra però nei visi degli angioletti e delle anime purganti.
Nel lato destro del presbiterio è stato recentemente collocato il grande quadro raffigurante la Madonna e santi imploranti per la cessazione della peste. Il quadro ha le stesse misure e forme di quello del D'Anna dell'altare maggiore e si trovava al suo posto fino al 1768, quando fu rimosso e sostituito. Si tratta del “quadro grande” commissionato dall'arciconfraternita al Sozzi, come conferma la tradizione orale locale, riferitami dall'anziano scalpellino ispicese Giuseppe Nobile.
Mosè detta le tavole (Crestadoro) (Foto. Salvatore Brancati)
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Assunta (Foto. Salvatore Brancati)
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La scena è divisa in tre piani: in quello inferiore ci sono gli appestati con abiti discinti che implorano, gementi ma fiduciosi, l'aiuto di S. Rosalia; nel secondo, al centro del quadro, sta la vergine palermitana con in capo una corona di rose, che mostra alla Madonna, con le mani distese in basso, i languenti colpiti dal morbo, e la supplica perché lo faccia cessare, assieme a S. Gaetano da Tiene e S. Lucia, che stanno ai lati più in alto. Nel terzo registro in alto, c'è la nobile figura della Madonna; ha il Bambino poggiato sul grembo, che mostra la scena dolente al Divin Padre, grave e severo con lo scettro in mano e lo prega perché ponga fine alla pestilenza ed al castigo. Attorno alla Vergine ed al Bambino ci sono gruppi di angeli, mentre ai suoi piedi, in ginocchio e con le mani giunte, intercede anche il Papa S. Gregorio in abiti pontificali. La Madonna ed il Bambino si possono attribuire al Sozzi e sono identici al quadro della Madonna che salva un'anima del purgatorio, attribuito a Corrado Giaquinto, che si trova nel palazzo Biscari di Catania. Ma gli errori anatomici nelle figure degli appestati, i panneggi che non hanno la spontaneità e brillantezza caratteristiche del nostro, alcune figure stentate ci inducono ad attribuire la grande tela agli allievi che si sono serviti dei cartoni del maestro (V. Assenza).
L'Altare Maggiore. Due imponenti colonne cd. alla salamona con ricco capitello composito ornano i lati dell'altare. Su di essa poggia la festosa, abbondante trabeazione con due figure allegoriche di donne distese, una che allatta, l'altra che tiene in braccio il figlioletto. Al centro c'è lo stemma ornato da rami e cartocci che contiene la lettera iniziale stilizzata di Maria; ai lati tre putti svolazzanti con grazia e leggerezza. La decorazione plastica fu completata da G. Gianforma intono al 1759, mentre le indorature furono fatte nel 1762 da Don Giuseppe Giudice da Modica. La decorazione sembra un po’ pesante ma è vista come necessaria integrazione dello spazio con funzione decorativa e scenografica.
La grande tela del D'Anna dell'altare maggiore rappresenta la Madonna, col Bambino ed i santi Lucia e Girolamo ed, in basso, il Papa Gregorio Magno e Rosalia. Come dice l'iscrizione in basso, fu dipinta nel 1768, quando era rettore della chiesa il Sac. Pietro Oddo: “Oddo benemerito rectore, Eques Vito D'Anna pingebat”. In alto sulla destra domina la nobile figura della Madonna regalmente assisa in trono, avvolta nell'ampio manto, la quale con la destra sorregge il Divin Figliuolo, mentre nella sinistra protesa tiene una melagrana, frutto che molto abbonda nella Cava d'Ispica. Il bambino, che assieme agli angeli in volo manifesta l'ispirazione raffaellesca, tiene nella sinistra legato ad un filo un cardellino che porge ad un puttino il quale scende dall'alto. La melagrana ed il cardellino sono due degli oggetti simbolici più ricorrenti nell'iconografia della Madonna col Bambino (J. Hall, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell'arte). La prima è il simbolo cristiano della Resurrezione; inoltre con i suoi semi rappresenta i fedeli cristiani uniti nell'unico Corpo della Chiesa. L'uccello, che figura solitamente in mano al Bambino Gesù, è simbolo dell'anima cristiana che alla morte vola via dal corpo. Viene preferito il cardellino per il suo attraente piumaggio e soprattutto per la pia leggenda secondo la quale la sua macchia rossa sul capo comparve nel momento in cui esso sorvolò la testa di Cristo che saliva al Calvario e, togliendogli una spina dalla fronte, si macchiò con una goccia di sangue del Redentore. Dietro si profilano due oscure colonne scanalate che nella parte superiore si perdono entro un vasto panneggio. Dietro la sedia della Vergine, appartato e quasi nascosto, c'è S. Giuseppe, al solito in figura senile. A sinistra della Madonna, stanno i santi Lucia, patrona della diocesi di Siracusa, di cui allora faceva parte il paese, e S. Girolamo, dal vigoroso nudo petto, a ricordo della sua vita di penitente nel deserto siriano. é importante rilevare che il D'Anna copia il vigoroso nudo, anatomicamente perfetto, del santo Dottore dal S. Girolamo del Sozzi ora al museo Pepoli di Trapani. Questo dimostra che fra il discepolo ed il maestro più anziano c'era reciproco aiuto, collaborazione e scambio di idee e modelli, senza invidia e gelosia di mestiere. Il santo Dottore tiene in mano il libro della Bibbia da lui tradotta in latino, la cosidetta “Vulgata”. La Fronterré, con un pizzico di campanilismo, crede si tratti della “Vita Ilarionis”, il santo vissuto a Cava d'Ispica; ma quest'operetta è contenuta in pochi fogli e non è certo un grosso volume come quello del nostro dipinto. Alla destra di Maria, sta, più in basso ma in posizione di rilievo, la figura di S. Rosalia, circonfusa di religiosità. Sotto, ritratto magnificamente sia nel disegno che nel colore, Papa Gregorio Magno, i cui segni pontificali, tiara e bacolo, sono retti da due puttini.
Il quadro, luminoso e solenne, fu dipinto dal D'Anna un anno prima della sua morte per tisi, e con quello dell'Annunciazione, anch'esso nell'altare maggiore della chiesa dell'Annunziata di Ispica, si può considerare il canto del cigno dell'insigne artista. é da escludere che egli sia venuto ad Ispica, sia perché non abbiamo testimonianze che lo confermino, sia, soprattutto, per le sue non buone condizioni di salute. Queste due tele, come le altre quattro che si trovano a Ragusa Ibla, furono dunque commissionate e realizzate nella sua bottega palermitana e quindi traslate a Ispica. In esse ritroviamo “la solidità e plasticità di forme” (P. Nifosì), “le eleganze formali e le spiccate qualità cromatiche e luministiche così peculiari dello stile maturo del D'Anna” (G. Barbera).
Nella parete destra è stata sistemata la grande pala cinquecentesca della Madonna del Rosario, proveniente dall'ex chiesa di S. Anna. é di autore ignoto, probabilmente un seguace di Polidoro da Caravaggio o Vincenzo da Pavia, e può essere datata al 1567. In alto, la Vergine incoronata dalla SS.ma Trinità. Al centro, la sinuosa figura della Madonna col Bambino circondata da angeli musicanti con rosari e rose. In basso, santi e sante dell'Ordine domenicano; sotto, il sovrano di Spagna, Filippo II, ed il Pontefice Pio V con le loro corti (vedi sopra).
Le cappelle del transetto. Nella Cappella sinistra del transetto è custodita la venerata immagine del Cristo alla Colonna, proveniente dalla Chiesa di S. Maria del Crocifisso della Cava e miracolosamente salvata dal terremoto del 1693. Secondo la pia tradizione, risalirebbe ai primi secoli del cristianesimo. La parte superiore del Cristo è in legno di quercia. Faceva parte dell'antico Crocifisso da cui l'antica chiesetta prendeva nome, come provano la corona di spine, coperta ora da una folta parrucca e le mani forate dai chiodi. La modifica e adattamento a simulacro di Cristo legato alla colonna, col corpo curvo e la spalla destra piegata in basso, va probabilmente riferita al sec VIII (v. sopra, 730). Nel 1729 l'Arciconfraternita incaricò lo scultore in cartapesta Don Giuseppe Guarino da Avola, autore del Cristo alla Croce dell'Annunziata, di aggiungere alla statua i due “Giudei”. Il maestro, dopo aver presentato il disegno fatto a carboncino e custodito nella cd. “Casa della Cera” , adattò le due figure al Cristo: uno a sinistra, piegato in basso nell'atto di colpirlo con un fascio di verghe e l'altro con il flagello nella mano destra alzata.
F Sozzi - tele della passione (Foto. Salvatore Brancati) |
F Sozzi - tele della passione (Foto. Salvatore Brancati) |
F Sozzi - tele della passione (Foto. Salvatore Brancati) |
F Sozzi - tele della passione (Foto. Salvatore Brancati) |
Le quattro tele della Passione sono attribuite al figlio del Sozzi, Francesco; e agli altri artisti minori, fratelli Mollica e Francesco Tracuzzi (R. Fronterré); rappresentano l'Agonia, l'Ecce Homo, la Via Crucis, la Crocifissione con Maria e Giovanni. Furono un dono del Principe-Marchese Francesco Saverio. Infatti nell'angolo sinistro in basso del 3° quadro della Via Crucis, sotto lo scudo smaltato degli Statella, ornato della Croce dei Cavalieri di Malta, è scritto in latino: “Per devozione dell'Ecc.mo Sig. Priore Statella”. I quadri sono contornati da artistiche cornici in stucco, che hanno nella parte superiore ricchi e lunghi festoni di foglie di edera dorata.
Il primo rappresenta Gesù nell'orto del Getsemani. Il Salvatore, con viso dolente ma rassegnato alla volontà del Padre è in ginocchio e con le mani giunte. Un angelo dalle grandi ali lo conforta e lo sorregge, mentre un altro più in alto gli porta il calice della passione. Altre testine alate si vedono nell'angolo sinistro dell'arco superiore. Nel tondo che sta sopra la cornice c'è la scritta: “Coepit contristari”.
Il Cristo sofferente porta la pesante croce e piega le ginocchia per lo sforzo. Un soldato con l'elmo piumato tende la mano verso la croce, per aiutarlo a sostenerla o forse per spingerlo. Dietro un altro milite è a cavallo e si vede un anziano ebreo, forse Nicodemo. Nel tondo superiore c'è la scritta : “ Baiulans crucem”.
Il Crocefisso ha il bel corpo piegato su un lato ed il viso rivolto in basso verso la madre che sta ritta i piedi della croce con le mani giunte, composta nel suo immenso dolore. Ai piedi del Cristo, stretto alla croce, c'è il giovane discepolo Giovanni, mentre la Maddalena, in piedi dall'altro lato, volge il suo viso delicato e gli occhi pieni di pathos al Signore Gesù. Nel tondo superiore c'è la scritta ‘Expiravit”.
Il Cristo sta in piedi nel pretorio romano, davanti a Pilato, col volto composto nella sofferenza. Un ampio panno gli cinge i fianchi e nelle mani raccolte al nudo petto tiene la canna datagli come scettro dai soldati, mentre sul capo dalla scura chioma cascante sugli omeri, porta la corona di spine. Al fianco sta seduto il procuratore, rivestito della toga dall'abbondante panneggio, che mostra con la mano al popolo giudaico il suo re. Dietro ci sono le figure di due giovani soldati ed un anziano, forse un membro del Sinedrio e sullo sfondo un possente pilastro e altri elementi architettonici. Nell'angolo, case di Gerusalemme e alcune teste del popolo che assiste alla scena. Nel tondo superiore c'è la scritta: “Ecce Homo”.
Allo stesso pittore erano attribuiti i quattordici quadretti della Via Crucis, disposti nelle pareti laterali della chiesa, che purtroppo sono stati trafugati nel 1993 e non più recuperati.
Nel lato destro si trova un monumento sepolcrale della Famiglia Statella. Il sarcofago in tarsia di marmi policromi, diviso in tre parti da due fasce verticali, sporge per metà dalla parete ed è diviso a metà dal coperchio che ha forma piramidale; sulla sua punta c'è uno stemma statelliano in marmo bianco. Sotto la base separata in due parti, sulla bianca superficie del marmo, che ha la forma di una pergamena con alle estremità quattro zampe ed è chiusa da un riquadro ornato ai lati da due belle volute, c'è la seguente iscrizione latina (tr. it.): “L'Arciconfraternita di S. M. Maggiore eresse questo perenne monumento di ossequio e grato animo per i tre figli dell'Ecc.mo Principe Francesco Maria Statella, Cavaliere del Regale Ordine di S. Gennaro: Girolamo di 18 anni e Ignazio e Francesco Saverio nati prematuri.” Il rivestimento marmoreo della cappella fu fatto nel 1925 per devozione del Barone G. P. Modica e sorelle.
Nella chiave dell'arco d'ingresso della cappella, c'è il grande scudo quadri-partito del Principe Francesco Saverio Statella, anteriore al 1754: nel 1° quarto lo stemma statelliano, nel 2° quello della moglie Grifeo, nel 3° e 4° quelli dei nonni, Beccadelli e Gaetani (vedi sopra).
La cappella di destra, sul modello di quella del SS.mo Cristo, venne decorata con colonne tortili e statue in stucco da Giovanni Gianforma, figlio di Giuseppe, nel 1794.
Vi è custodita l'immagine dell'Assunta. La Vergine, assisa in trono con le braccia e le mani aperte, ha un mirabile, delicato viso roseo assorto nell'estatica contemplazione della patria celeste in cui è assunta. Una veste dorata ne ricopre il corpo fino ai piedi e un manto che sembra di seta operata, girando sul petto e le spalle, si poggia con flessuose pieghe sul grembo.
Accanto, unite al suo corpo, le stanno serafini e puttini alati; due angioletti sono separati, ai due lati, sopra la base dorata. Dietro la statua, in basso, è incisa la data 1598. La statua in legno e cartapesta, scampata alle rovine del terremoto del 1693, proviene dall'antica chiesa di S. Maria della Cava, dove era collocata nell'altare destro. La stessa ubicazione è stata mantenuta nella nuova chiesa. Per quanto riguarda l'autore, si può pensare ad un affermato scultore della fine del 1500 o anche ad un bravo artista locale. Una copia identica si trova nella Chiesa Madre di Avola e proviene da Avola Vecchia.
I quattro grandi manti e padiglioni di porpora, con corona globata e crociata, che decorano le pareti laterali, sono il simbolo araldico della regalità di Maria. Nel 1987 i due simulacri sono stati restaurati dal Sig. Giuseppe di Martino di Ispica.
Nella cappella di fondo della navata sinistra è stata sistemata la bella statua lignea della Madonna del melograno, recentemente restaurata, che è anteriore al terremoto (Sec. XVII). La simbologia del melograno è qui più completa perché la Vergine ha al suo fianco un alberello con rami e frutti, mentre nel quadro del D'Anna ha solo un frutto nelle mani. Maria è qui Madre e Regina della Chiesa universale, l'albero; i frutti sono le chiese locali, ed i grani i singoli fedeli.
Nel lato destro c'è il fonte battesimale in marmi pregiati con otto pannelli istoriati, fatto dallo scultore ispicese Salvo Monica nel 1955. Dalla porticina del lato sinistro si accede alla “casa della cera”, dove sono custoditi i bambinelli e gli altri voti di cera che i fedeli offrono al Padre alla Colonna per le grazie ricevute. Nel lato destro è custodita l'urna di vetro col corpo di Olivio Sozzi.
La cappella terminale della navata destra è dedicata all'Addolorata ed ornata coi quadretti dei sette dolori. Il settecentesco altare ha un bel paliotto di marmi colorati con al centro una croce greca in rilievo. Ai due lati ci sono due colonne tortili con capitelli compositi in marmo verde e nella parte interna della spirale foglie d'edera dorata. Sopra, al centro del frontone spezzato, c'è uno stemma della famiglia nobile dei Modica, con il leone rampante, contornato da volute e due lunghi festoni. Ai lati quattro graziosi puttini seduti e al di sopra la testa alata di un altro angioletto. La cappella era prima dedicata a S. Rocco e fu completata nel 1759 da D. Giuseppe Gianforma, come risulta dai documenti d'archivio dell'Arciconfraternita.
Nella bacheca del lato sinistro, sono state sistemate le reliquie di martiri e santi già custodite in un'arca argentea(vedi sopra). Si tratta di numerosi reliquiari in legno lavorato e laccato in oro, e precisamente: otto braccia e una gamba, che portano la reliquia all'interno di una finestrella oblunga. Un mezzo busto di santo con testa coronata da aureola dorata e teca all'interno del petto; è l'oggetto artisticamente più elaborato e pregevole. Una testa reliquiario di santo con corona. Un cofanetto sormontato da croce latina. Un quadro con cornice di legno scolpito contenente numerose minuscole reliquie. Una specie di ostensorio e quattro vasetti sigillati, anch'essi portareliquie. Nella volta della Sacrestia, c'è il grande affresco con Mosè che riceve le Tavole della Legge, dipinto nel 1783 assieme ai quattro piccoli quadri degli angoli, dal palermitano Giuseppe Crestadoro (1740-1808). Al centro domina il Padre Eterno, al solito in figura di maestoso vecchio, seduto sulle nubi, col braccio destro aperto e il capo rivolto verso Mosé. Anche questi è un anziano dalla veneranda canizie e tiene umilmente il capo e il ginocchio sinistro piegato su uno sperone di roccia, mentre un angelo, con le ali spiegate e la veste ondeggiante, gli porge le tavole della Legge. Ai lati serafini festanti in figura di bei giovani o di puttini alati. Nei due lati della parte inferiore c'è la seguente iscrizione: “Joseph Cristadoro P.nus (Panormitanus) P.xit (pinxit). Anno Domini 1783”. La scena è stata copiata, con modesta resa artistica (C. Siracusano), dall'originale del Giaquinto in S. Lorenzo in Damaso di Roma. I colori sono alquanto scialbi e superficiali e l'impasto è poco curato, specie se si fa il confronto con quelli brillanti e intensi del Sozzi. Quattro piccoli affreschi di forma ovale delimitati da un cordoncino di stucco ornano gli angoli della volta del salone. Rappresentano scene della vita del Legislatore. Il primo raffigura l'ancella che solleva nelle mani il piccolo Mosè salvato dalle acque e lo porge alla figlia del Faraone, dietro la quale si intravedono altre ancelle (cfr. Esodo, 2, 5-10). Il secondo raffigura Mosè sul monte Oreb, inginocchiato davanti al roveto ardente, che si ritrae spaventato alla vista della verga mutata in serpente (cfr. Es. 7,9). Nel terzo Mosè alza le mani e il capo coi caratteristici corni di luce verso Jahvé per intercedere a favore del suo popolo ribelle e ostinato, rappresentato nel lato destro da alcuni ebrei atterriti. Interessante lo sfondo caratterizzato da picchi e rocce. Nel quarto Mosè, con maestoso gesto, fa sprizzare l'acqua dalla viva roccia, nel luogo del deserto dove gli Ebrei tentarono il Signore. Ai suoi piedi Giosué e la sorella Maria. La decorazione fu fatta da Filippo Bruno di Scicli.
Il ritratto del Principe Francesco Maria Statella e Napoli, ultimo marchese di Spaccaforno (1738 -Inv. 1794- 1823), nipote del protettore del Sozzi. In questa tela, di cui esiste una copia nella sacrestia dell'Annunziata, l'illustre Principe Vicerè del Regno di Napoli è ritratto all'impiedi in veste di gran gala, con la fascia e le placche delle alte onorificenze conferitagli dal Sovrano. Il volto è allungato, il capo fortemente stempiato; grandi le sopracciglia, il naso lungo e affilato e le labbra sottili. Poggia la mano sinistra su un elegante bastone ed ha il braccio destro piegato e la mano al fianco. Nella parte inferiore è stata aggiunta, come risulta dalla cornice tagliata, un'iscrizione datata 1802. Il ritratto è quindi anteriore a quell'anno. Essa dice (tr. it.): “Ecc.mo Sig. Don Francesco Maria Statella Principe di Cassaro, Marchese di Spaccaforno ecc. ecc. Gran Siniscalco ereditario in questo Regno di Sicilia, Grande di Spagna, intimo Cubicolario con esercizio del Re che Dio conservi incolume, Cavaliere insigne del Regal Ordine di S. Gennaro, Gran Croce al Merito del prestantissimo Regio Ordine di S. Gennaro, già Capitano Emerito e per tre volte Pretore della felicissima Città di Palermo, già Luogotenente della sua Regia Maestà e Capitano Generale del Regno di Napoli. In atto Segretario, Ministro e Consigliere di Stato dello stesso Regno di sua Maestà. Protettore eccelso e munificentissimo di questa antichissima al di là della memoria degli uomini, laicale, inclita e di regia giurisdizione Arciconfraternita e della sua magnificentissima sacramentale chiesa Basilica di S. Maria Maggiore. Ecco a cui l'Italia e Cristo rendono grazie per la liberazione dalla contraria legge. Anno 1802.” Infatti nel 1802, anno in cui lo Statella ritornò a Palermo con l'incarico di Segretario di Stato e Maggiordomo Maggiore, l'Arciconfraternita ottenne il benestare del Sovrano per la ripresa della processione del Cristo alla Colonna (v. sopra). L'attribuzione del ritratto a Vito D'Anna, proposta dalla Fronterré, non è accettabile per il semplice fatto che nel 1802 il D'Anna era morto da ben 33 anni! Si può invece proporre Giuseppe Crestadoro, che nel 1783 aveva dipinto nella stessa sacrestia il grande affresco del Mosé.
Il ritratto più grande raffigura il figlio Conte Enrico Statella e Naselli (1792-1853), nell'uniforme di Maresciallo di Campo. Il Conte, con viso severo e militaresco, contornato da lunghi mustacchi e basette, è in piedi nell'alta uniforme di Maresciallo di Campo del Sovrano Borbonico. Fiero della sua carica e delle onorificenze che gli fregiano il collo ed il petto, poggia la mano sinistra, coperta dal guanto, su un tavolo e con l'indice della destra mostra compiaciuto il magnifico cappello piumato di Generale. Il dipinto si può datare al 1850, anno in cui fu ancora una volta riattivata la processione del Cristo alla Colonna e Don Enrico presiedette all'apertura delle porte ed alla discesa del SS. Cristo, con una compagnia di soldati e la banda musicale (Fronterré). L'autore è ignoto.
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