Heritage Sicilia

LE  TORRI DEL LITORALE DI SPACCAFORNO  - ISPICA

Di Melchiorre Trigilia
 

Sicilia: Centro Studi Helios

 

Il Villabianca (Francesco Maria Emanuele e Gaetani Marchese di, Torri di guardia per li fani o sia fuochi di avviso de’ littorali della Sicilia, ms. del 1797, a c. di S. Di Matteo, Palermo 1986) della Torre delle Formiche così scriveva: “ Sta sulla punta appellata delle Formiche e delli sette pantani della spiaggia delle Concerie nella marina meridionale di Spaccaforno.” E della Torre di Porto di Palo: “Sta tra la Terra di Spaccaforno e Capo Passero. Capace rendesi il suddetto porto di pochi legni.” Ma si tratta di un evidente errore, perché, come confermano gli altri storici e geografi del ’700 (A.Massa, V.Amico Statella, Castellalfero), il territorio di Spaccaforno terminava alla Marza (Porto Ulisse), dove cominciava quello di Noto; Pachino, edificata nel 1758, è subentrata nell’’800. 

 

IL “CASTELLAZZO DELLA MARZA” E LE TORRI COSTIERE

 

   Nel libro V delle Verrine (cap.35) Cicerone, parlando del grave affronto subito dalle navi romane comandate da Cleomene da parte di pirati della zona, dice: “Ed ecco che giunge la notizia che quattro brigantini di pirati si sono ancorati a poca distanza, nel porto di Edissa, ché questo è il nome di quel luogo; la nostra flotta era nel porto di Pachino”. L’autorevole Biagio Pace ( Arte e civiltà della Sicilia antica,  vol I, 438, 2a ed. Roma 1958) ne deduce che in quel luogo (la Punta di Porto Ulisse) e  in altri promontori e punte della “Sicilia, esistevano le torri di segnalazione, poi usate in tempi moderni in difesa contro gli sbarchi barbareschi.”

   Questa torre chiudeva dunque a ponente la città ed il vasto Porto che secondo Licofrone( Alessandra, vv. 1020-1030, a c. di V. G. Lazzara, Bur Milano, 2000), erudito alessandrino del III sec. a.C., presero il nome dal mitico eroe omerico che vi fece scalo: Odissea (o), che Cicerone muta in Edissa, mentre Tolomeo (II d.C), indica come “Promontorio Odisseo”.

Nel VII sec. d.C. Guidone e l’Anonimo Geografo Ravennate chiamano questa insenatura “Porto di Ina”, l’antica Ispica, a riprova della stretta relazione di dipendenza fra le due città: una interna nella Cava, ed una marittima (Cfr. M. Trigilia, Ina e Tiratina…, in bibliog.)

   Come confermano sia il relitto di una nave datata al 600-650 d. C. scoperto a Pantano Longarini nel 1964 ed alcuni saggi di scavo fatti nel 1969, il sito era certamente abitato in epoca tardoromana e bizantina.

 

   Siamo del parere che proprio nella metà del sec VII la vecchia torre di guardia romana sia stata trasformata in un “castello” fortificato in difesa contro gli sbarchi dei Musulmani (la prima scorreria è del 652). Dicono infatti in proposito due storici arabi del IX sec.: “ I Rum [Cristiani di Sicilia] ristorarono ogni luogo dell’Isola, munirono i castelli ed i fortilizi e cominciarono a far girare ogni anno intorno alla Sicilia delle navi che la difendevano”(Al – Athir in M. Amari, Biblioteca Arabo-Sicula, I, p. 363, Torino 1880). “Il paese fu ristorato d’ogni parte dai Rum, i quali vi edificarono fortilizi e castelli, né lasciarono monte che non v’ergessero una rocca” (Al-Nuwayri, ibid., II,113).

   Lo scrittore arabo Idrisi, nel famoso Libro del Re Ruggero del 1154 (El- Idris Scherif, in M. Amari e C. Schiapparelli, L’Italia descritta nel Libro di Re Ruggero, compilato da Idrisi, pp. 34-66, Roma 1883. Il Libro di Re Ruggero, a c. di U. Rizzitano, Palermo 1968. Edizione critica in 7 voll.: Idrisi, Opus geographicum sive Liber ad eorum delectationem qui terras peragrare studeant, ISMEO, Roma 1970-77), nomina “La Marza ovvero Porto Ulisse”, ma non parla del “Castello”. E’ probabile che, dopo la conquista araba, sia andato in rovina.

   Quattro secoli dopo ca. Tommaso Fazello, nel suo De rebus siculis decades duae, Palermo 1558, così scrive: “Nel promontorio occidentale dell’insenatura detta con termine saraceno “Marsa” (che in latino significa porto), Odissea da Tolomeo e Edissa da Cicerone … si vedono nella punta i resti di una rocca (arcis) battuta dal mare e di un edificio di antica costruzione, comprendente anche ambienti sotterranei… Oggi dalla rocca distrutta prende il nome di “Castellazzo”.

   Il Fazello accenna anche alla Rocca di S. Maria del Ficallo, anch’essa in rovina: “Vicino alla piccola città distrutta di S. Maria…si trova un colle che corre un poco verso il mare, a guisa di promontorio, detto volgarmente “Cozzo di S. Maria del Focallo”, nella cui cima si vedono le ingenti rovine di una rocca abbattuta e di antichi edifici.” (in cuius vertice arcis iacentis, aedificiorumque veterum ingentes ruinae visuntur).

   Due decenni dopo, nel 1577, l’ingegnere militare Tiburzio Spannocchi (v. sopra e bibliografia) annota che, essendo già distrutto il Castellaccio e la Torre di S. Maria, conviene costruire due nuove torri, una alla Punta di S. Maria e l’altra a Punta Castellazzo, “nel punto alto che sporge a mare, dove si vede vestigia di fabbrica antica; la qual torre costerà 250 scudi e guarderebbe una cala che è quasi porto…”

   Camillo Camilliani (v. sopra e bibliografia), architetto e ingegnere militare, qualche anno dopo, nel 1584, propone la costruzione di tre torri. “Sulla punta del Ficallo si è disegnato farvisi una torre, che serva per la guardia e sicurtà del paese,ed averà rispondenza con tutto il lido marittimo.

 Viene vista dal castello di Spaccaforno, lontano dalla detta punta e per la parte di tramontana ne’ monti e rocche più vicine a quattro miglia…Egli propone di spianare l’Isola dei Porri, perché vi si nascondevano facilmente le navi dei pirati.” I suoi scogli sono tanto alti… che comodamente il corpo quattro bergantini disalborati vi si può occultare, sicché da niuna parte può essere scoperto; e con facilità detti scogli si potriano spianare…e con poca spesa si potrebbe ovviare al pericolo.”La seconda torre “si è disegnato di farla a fronte della Marza, non solo per la sicurtà di quel luogo, ma ancora per le altre cale, che poco più innanzi seguono; e serva anco per la rispondenza dei segnali…” Cioè per trasmettere e ritrasmettere alle altre torri i fumi durante il giorno ed i fuochi nella notte, che erano tanti quanti le navi corsare avvistate. Dopo aver superato i numerosi e pericolosi “ridotti e antri grandissimi”, in cui “si può occultare una squadra di galeotte”…si arriva ad un “promontorio domandato “il Castellaccio”…dove ancor si veggono le vestigia di una rocca, parte consumata dal mare e parte distrutta dal tempo, e ci si veggono volte di mattoni ed altre muraglie di stupendo artificio… Quivi si è designato farvisi una torre per la guardia delle cale e rispondenze dei segnali…”.

     Nel sec. XVI, a partire dal 1535, i Viceré di Sicilia, Ferrante Gonzaga, De Vega e Marcantonio Colonna, per proteggere le coste dell’Isola dai frequenti attacchi dei Corsari Barbareschi (por remediar a las invasiones de corsaros), realizzarono un’organica ed estesa rete difensiva e di avvistamento, di torri costiere, che sostituiva ed integrava le fortezze indipendenti costruite nei secoli passati, nel Trecento e Quattrocento, da Re Martino in poi.

   La guerriglia marittima e costiera delle navi corsare è un fenomeno di lunga durata, che è registrato già alla fine del Duecento, si intensifica nel ’500 e ’600 e cesserà solo ai primi dell’Ottocento. I Corsari portavano di sorpresa agguati ed attacchi sia a navi mercantili e militari, sia a località costiere, per impossessarsi di merci e persone, vendute poi come schiavi nei numerosi mercati arabi del Mediterraneo.

   Altre due torri propose di costruire il Castellalfero (v. bibliog.) nella sua Relazione a Vittorio Amedeo di Savoia del 1713. “Nell’Isola delli Porri, come ivi seguono continui li contrabbandi, come pure si fa sovente nido de’ Turchi, vi sarebbe necessaria una Torre di Guardia.” E più oltre: “ Giunti al promontorio detto Punta del Castellazzo…girando a mano sinistra, si entra nella Cala della Marza, capace per barca d’ogni sorte per il suo bon fondo, per il  che vi vorrebbe ivi una torre.”

   Solo una torre di guardia fu riedificata nel sec. XVII, nello stesso sito della diruta “arx” di cui parla il Fazello, cioè nel “Cozzo di S. Maria”.

 Infatti nel tremendo terremoto dell’11 gennaio 1693, com’è scritto nel Verbale dei Giurati di quell’anno (M. Trigilia, Ispica ed il suo territorio. Il Terremoto del 1693, p. 101, Ispica 1995), “si diroccò anche la torre del Focallo, di cui parla il Fazello”. Poiché non può trattarsi dell’ “arx” già in rovina ai tempi del Fazello, siamo del parere che sia stata ricostruita dai Marchesi Statella nella prima metà del 1600, sul progetto del Camilliani e conformemente alla torre del loro stemma (cfr. M. Trigilia, Lo stemma della città di Ispica, Ispica 1992). Una conferma l’abbiamo in una Carta di Spaccaforno del 1725 ca. (M. Trigilia, Rappresentazione cartografica inedita del 1700 di Spaccaforno e del suo territorio, Ispica 1990), in cui è raffigurata, nella contrada S. Maria del Focallo, vicina alla contrada “Pirrello”, una torre rotonda a due palchi con due finestre di nero; manca la merlatura che dovette crollare appunto nel 1693. Anche il Castellalfero, nella citata Relazione del 1713, scrive che “alla Punta di S. Maria del Ficallo ci sono alcune rocche dalle quali scaturiscono fili d’acqua dolce, bastante per due bergantini.” Questa torre oltre che a guardia del litorale serviva per difendere il porticciolo di S. Maria. L’esistenza di questo porto è confermata dall’Houel nel 1776 nel suo Voyage in Sicilia (Houel Jean, Voyage pittoresque des Isles de Sicile, de Malte et de Lipari, voll. III, Paris 1782-87), che scrive (cap. 34°): “Il porto della Marza e il porticciolo di S. Maria del Focallo (le petit port de Saint-Marie in Focallo), dove si caricano tutte le derrate che provengono dalle campagne vicine…”.  L’Houel parla anche di un’altra torre non cilindrica ma quadrata e sita non in riva al mare ma a un quarto di miglio (500 mt. ca.) all’interno da S. Maria del Focallo, nella contrada Porrello: “Ho visto presso una torre quadrata (tour carrè) semidistrutta, grossi muri spessi tre piedi…lunghi 50 tese ed altrettanti nel ritorno ad angolo retto.” Questa torre di S. Maria nell’’800 andò completamente distrutta. L’idrografo e astronomo inglese William Smith (v. bibliografia) nel 1813 scrive soltanto “…la bianca roccia di Figallo…un dolce promontorio cosparso di antiche vestigie…”. Nel caseggiato di S. Maria disegnato in una planimetria di Spaccaforno del 1820, non c’è più la torre (Cfr. G. Calvo, E tu non lo sai … Immagini e notizie dell’antica e moderna Spaccaforno, p. 46s., Ragusa 1982).

   In conclusione, con l’eccezione della torre di S. Maria, le altre torri non vennero costruite e ne rimangono  solo i progetti degli architetti e i bei disegni dell’opera del Camilliani. Purtroppo gli ultimi resti del Castellaccio della Marza furono distrutti agli inizi degli anni 1960 dai militari della NATO, che spianarono Punta Castellazzo per costruirvi una base militare ed una pista per elicotteri. Un capomastro ispicese che diresse i lavori mi confidò che furono distrutte numerose fosse sepolcrali e i resti ossei furono bruciati!

 Tratto da Il Litorale Ispicese di Melchiorre Trigilia. Prossima pubblicazione sul sito La "Sicilia in Rete"

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