dioniso libero

CENTRO STUDI HELIOS

Culti, Miti e Leggende dell'antica Sicilia.

Culti di origine ellenica: Dioniso (Libero)

(di Ignazio Caloggero)

HERITAGE SICILIA

Dioniso

Testa di Dioniso giovane. Scultura ellenistica ritrovata nei pressi di Roma. Londra, British Museum

Tempio di Liber Pater a Sabratha - Libia


Il culto di Dioniso è molto antico, il suo nome si trova già in una tavoletta cretese del II millennio a.C..

Dioniso è visto probabilmente come il “figlio di Dio”. Nella lingua traco-frigia "nusos", infatti, significa "figlio"[1].

Dioniso era fondamentalmente il protettore della vegetazione, in particolare della vite e, quindi, del vino. Chiamato anche Bacco, fu identificato dai Romani con il dio italico Liber Pater da cui prese il nome di Libero. Il suo culto, così come quello dei Palici, è considerato servile, quindi a carattere popolare.

La sua leggenda è abbastanza complessa, è un’intreccio, infatti, di elementi greci e di elementi dei paesi vicini alla Grecia come la Tracia e la Frigia[2]. Il monte Nisa, dove secondo la tradizione sarebbe nato Dioniso, si troverebbe in diversi paesi: in Tracia, in Arabia, in India ed in Egitto;  e città con questo nome vengono ricordate in Tracia, Eubea[3], Asia ed Africa.[4]

Sulla nascita di Dioniso esistono diverse varianti. Secondo una di queste, Dioniso sarebbe figlio di Zeus e Persefone. Si racconta, infatti, che Demetra nascose la figlia Persefone in una grotta della Sicilia affidandola alla custodia di due serpenti; Zeus, allora, si trasformò in un serpente e riuscì ad accoppiarsi con Persefone generando Dioniso che nacque all’interno della stessa grotta ed aveva la testa ornata da due corna. In base alla seconda variante, Dioniso sarebbe figlio di Zeus e della tebana Semele[5]. Durante i rapporti amorosi, Zeus si presentava a Semele nelle vesti di un comune mortale. Era, venuta a conoscenza dell'ennesimo tradimento del marito, volle vendicarsi della rivale già incinta di sei mesi ed assunte le sembianze della nutrice di Semele, le insinuò il dubbio che il suo amante non fosse il dio Zeus, consigliandole, per accettarsene, di chiedere a Zeus un amplesso in cui lui si presentasse nelle reali vesti divine e non più sotto le vesti di comune mortale. Semele, caduta nel tranello, chiese a Zeus di mostrarsi a lei in tutto il suo splendore divino e il dio, per compiacerla,  esaudì il suo desiderio ma, alla vista di tanto splendore, la povera Semele cadde fulminata. Zeus, allora, sottrasse il bimbo che Semele portava in grembo ed aiutato da Efesto (che già aveva avuto modo di operare come ostetrico, in occasione della nascita di Atena) si fece cucire il bambino sulla coscia portando lui stesso a termine la gestazione. Nacque così Dioniso, il dio nato due volte.

Una leggenda narra che Dioniso si unì alla cretese Arianna, la figlia di Minosse che seguì Teseo dopo che questi ebbe ucciso il Minotauro. Teseo abbandonò Arianna nell'isola di Nasso, qui fu vista da Dioniso che se ne innamorò e la fece sua sposa dopo aver ottenuto per lei l'immortalità da Zeus[6].

 A Dioniso sono attribuiti molti viaggi. Si narra che durante uno di questi viaggi, fu rapito dai pirati etruschi che volevano venderlo

come schiavo in Asia. Il dio, allora, trasformò i remi dei pirati in serpenti, coprì la nave d'edera e fece risuonare ogni punto della stessa con musica proveniente da flauti invisibili ed infine paralizzò la nave con ghirlande di vite. I marinai, impazziti, si gettarono in mare dove si tramutarono in delfini. E' da questa leggenda che è nata la credenza secondo la quale i delfini sono amici degli uomini e cercano di salvarli dai naufragi: essi sarebbero i pirati pentiti della leggenda di Dioniso.

I viaggi di Dioniso interessarono anche la Sicilia, dove incontrò, o meglio, si scontrò con Alpo, un gigante siciliano. Alpo viveva nei monti Peloritani, aveva molte braccia e la sua capigliatura era formata da cento vipere. Il suo passatempo preferito era quello di attendere i viaggiatori che si smarrivano nelle gole della montagna, li schiacciava lanciando grossi macigni e, per finire li divorava.  La montagna in cui viveva il gigante rimaneva, pertanto, sempre deserta poiché nessuno aveva il coraggio di avventurarsi per quei luoghi. Questa situazione durò fino a quando Dioniso, durante uno dei suoi tanti viaggi, decise di fare una capatina da quelle parti. Alpo, non appena lo vide, lo attaccò usando interi alberi come armi e un grosso macigno come scudo. Dioniso, per difendersi gli lanciò contro il suo tirso che lo raggiunse diritto in gola uccidendolo e liberando, così, la montagna che poté essere nuovamente popolata.

 Tra gli attributi associati a Dioniso c’è la verga. A proposito di questo Diodoro Siculo[7] dà la seguente spiegazione:

 “Quando fu scoperto il vino per la prima volta non si era pensato di mischiarlo con l'acqua, per cui il vino era bevuto puro, ma quando alcuni amici, radunatosi, diventarono folli a causa dell'abbondanza del vino bevuto puro, usarono i loro bastoni di legno per colpirsi reciprocamente. Di conseguenza, dal momento che alcuni erano feriti e altri ricevettero ferite mortali nei punti vitali, Dioniso si offese per l'accaduto, e sebbene non prescrivesse di frenarsi dal bere vino puro in abbondanza, proprio perché il bere era frutto del piacere, ordinò loro di portare una verga e non i bastoni di legno”.

 Tra le figure che accompagnavano spesso Dioniso sono da ricordare: Sileno, suo maestro e compagno di viaggi, che cavalcava un asino perché vecchio e obeso ma soprattutto perché sempre ubriaco, i Satiri[8] e le baccanti o Menadi, come venivano chiamate le donne che prendevano parte al culto orgiastico di Dioniso. Queste portavano un lungo bastone che aveva sulla sommità una pigna, e, masticando foglie d’edera, entravano in uno stato di furore; a volte, giunte al massimo dell'eccitazione, sbranavano un cerbiatto, incarnazione di Dioniso, e ne mangiavano le carni crude.

Dioniso con Satiro e due Menadi. Cratere attico (fine del V sec. a. C.)

Ricostruzione del Tempio di Dioniso di Selinunte

In Grecia, così come in Italia, il culto di Dioniso assunse le caratteristiche di una religione misteriosofica, permettendo la nascita di legami tra Dioniso ed altre divinità tra cui Cibele e Demetra, i cui culti si basavano, in parte, sui misteri.

Le feste in onore di Dioniso erano moltissime e quasi tutte a carattere orgiastico. Famose le Baccanali, durante le quali la popolazione (soprattutto le donne), prese da un delirio mistico, percorrevano le campagne lanciando grida rituali. A Roma, a causa del loro carattere orgiastico, queste feste furono proibite dal senato romano nel 186 a.C. In Grecia erano chiamate Agrionia ed erano caratterizzate da un’estrema violenza: le Baccanti, infatti, invase dal furore dionisiaco, facevano a pezzi, sbranandole, le bestie che incontravano lungo il loro cammino.

Non meno famose erano in Grecia le Nittelie duranti le quali, per tutta la notte, si festeggiava con orge e schiamazzi di tutti i tipi.

Quasi ogni mese vi era una festa dedicata a Dioniso.

A Gennaio si festeggiavano ad Atene le Lenee durante  le quali, nel tempio consacrato a Dioniso e chiamato appunto Lenèo, si banchettava e si assisteva a delle rappresentazioni teatrali.

A Febbraio, venivano celebrate le Antesterie che duravano tre giorni: il primo giorno si aprivano le botti e si beveva abbondantemente il vino novello; il secondo giorno si celebrava la festa delle brocche (ovviamente piene di vino), con gare fra chi riusciva a svuotarne di più e con una cerimonia religiosa in onore di Dioniso; il terzo giorno era la festa delle pentole, nelle case venivano cotti semi di varia specie offerti a Dioniso. Per tutta la durata delle Antesterie i templi rimanevano chiusi e si svolgevano cerimonie atte a far allontanare gli spiriti dei defunti, poiché si credeva che in quei giorni girassero liberamente.

Ad ottobre si celebravano le Oscoforie, in cui veniva ringraziato il dio per il buon raccolto delle olive e (soprattutto) dell'uva.

A Dicembre, infine, si celebravano le Ascalie o feste dell'Otre, in cui venivano indette delle gare fra quanti riuscivano a scavalcare, saltando con una sola gamba, un otre gonfio di vino.

 Il dissenso per la religione dionisiaca non ebbe luogo solo a Roma, nacque, pertanto, la necessità di difendere il culto di Dioniso. In Grecia, a tal fine, nascono tutta una serie di leggende e racconti mitologici sulle punizioni subite da coloro che si opponevano alla religione dionisiaca.

Omero[9] parla di un certo Licurgo, re della Tracia, che inseguì le nutrici di Dioniso attaccandole con una scure e per quest’azione fu reso cieco dagli dei.

Il re di Tebe Penteo si oppose all'inserimento dei riti dionisiaci a Tebe e per questo motivo fu squartato dalla madre Agave, presa dal furore dionisiaco.

Quando le tre figlie di Preto, re di Tirinto, si rifiutarono di partecipare ai misteri di Dioniso, il dio le punì rendendole pazze e facendole vagare per i monti in balia di frenesie erotiche.

Così come le baccanti adottavano un comportamento piuttosto cruento, poiché spesso le loro vittime, animali o uomini che fossero, finivano a pezzi, anche l'iniziazione degli adepti ai misteri dionisiaci implicava delle prove particolarmente difficili da superare.

Gli stessi sacrifici dedicati a Dioniso erano spesso caratterizzati da estrema violenza, tanto da comprendere sacrifici umani veri e propri. Solo nella festa annuale di Orcomeno, dedicata a Dioniso, le vittime erano le stesse baccanti che venivano inseguite dal sacerdote che aveva il diritto di uccidere la prima di quelle che riusciva a raggiungere.

 In Sicilia il culto di Dioniso ebbe, quindi, una certa affinità con quello di Demetra e di Persefone. Fiorì principalmente a Siracusa dove, in un suo tempio, era ospitata una statua di Aristeo che fu sottratta da Verre[10].

Anche se in forma minore, il culto di Dioniso era presente nel resto dell'isola; dei  tre templi di Selinunte, tradizionalmente designati con le lettere dell'alfabeto E, F, e G, il tempio designato dalla lettera F è attribuito al culto di Dioniso[11], confermato dalla scoperta, a Selinunte di una metopa[12] raffigurante Dioniso, ora conservata al Museo Nazionale Archeologico di Palermo[13].

 Nonostante l’avvento della religione cristiana, continuarono a permanere alcuni cruenti riti attribuiti agli adepti dei misteri di Dioniso. In Grecia, nei pressi di Salonicco, ancora oggi, nella ricorrenza dei santi, Costantino ed Elena, si svolge un rito, proibito dalla chiesa Ortodossa, che trae origine dai riti di iniziazione dionisiaci: alcune persone in delirio eseguono delle danze sui carboni ardenti, agitando croci e libri di preghiere[14].

In Sicilia, fino a qualche anno fa, in alcune feste religiose potevano scorgersi residui delle forme baccanali. Famosa era la "calata d'imbriachi" dove i reduci della festa di Sant'Alfio di Trecastagne, dopo aver mangiato, per devozione a S. Alfio, carne di pecora al forno accompagnata da abbondante vino, davano spettacolo durante il viaggio di ritorno nei vari comuni dell'Etna da dove erano partiti. Pitrè, a proposito della calata degli ubriachi raccontava[15]:

 “Vedete quanti ce n'entra in un carro tirato da un povero asinello o da un mulo bolso! Vedete come suonano, cantano, gridano, picchiando cembali, urtando piattini di latta, straziando violini e chitarre, soffiando contro fischietti e orciucoli! Gli uomini si sdilinquiscono dal vino e dal sonno; le loro donne più di loro: e tutti con certi visi di spiritati, cascanti e moventisi solo per annaspare in aria o per strascicar parole senza costrutto e senza significato”.

 A Gratteri, in provincia di Palermo (non lontano da Cefalù), il protettore della vendemmia e della vite è S. Giacomo. Durante la festa patronale, alla statua di S. Giacomo venivano offerti, legandoli al suo bastone d’argento, i più bei grappoli di uva. Vino in abbondanza, inoltre, veniva bevuto durante la processione e offerto ai portatori della statua; gli effetti del vino bevuto in onore del santo si facevano sentire presto caratterizzando, in questo modo, la processione.

 Ma il santo cristiano che più di ogni altro ha preso il posto di Dioniso, come protettore del vino, è senz’altro S. Martino. Il calendario popolare festeggia questo santo l'11 Novembre, proprio nel periodo in cui si degusta il vino novello, non a caso il motto che recita:

  A San Martino Ogni mosto è vino

 In Sicilia un motto popolare è ancora più esplicito:

 Cui si leva di vinu dici : viva Sammartinu!

 Durante le feste popolari siciliane in onore di S. Martino, vengono aperte le botti con il vino nuovo e, sempre in suo onore, vengono alzati i bicchieri di vino in gare che assomigliano a quelle dedicate una volta a Bacco, molte sono le analogie con le Antesterie greche. 


[1]Ambrogio Donini: Breve storia delle religioni. p.140.

[2] La Frigia è una regione della Turchia, nella parte nord-occidentale dell'Anatolia.

[3] L'Eubea è un’isola della Grecia, separata dalla penisola balcanica dai canali Talandi e Euripo.

[4] E.W.Stoll: Manuale delle religioni e mitologia dei greci e dei Romani. p.136.

[5]Diodoro lib IV.4

[6] Pausania Lib. I, 20,3

[7] Diodoro Siculo Lib.IV.4

[8] Nella mitologia classica i Satiri erano demoni della natura. Erano raffigurati in maniere diverse: ora la parte bassa del corpo era quella di un cavallo e, la parte alta, a cominciare dalla vita, era quella di un uomo; ora la loro animalità era quella di un caprone. In entrambi i casi, erano dotati di una coda lunga e larga simile a quella di un cavallo, e di un membro virile perpetuamente eretto, di proporzioni sovraumane.

[9] Iliade VI.130

[10] Cicerone, Verrine II.IV 128.

[11]Filippo Coarelli e Mario Torelli: Sicilia “Guide Archeologiche Laterza” p.84.

[12] La metopa è un pannello liscio tra due triglifi, è tipica dell'architettura dorica. E’ costituita da un grosso blocco di pietra (terracotta oppure marmo) inserita in scanalature laterali. Il triglifo è un elemento architettonico del tempio dorico, è composto da una lastra quadrangolare che riproduce l'estremità delle travi appoggiate sull'architrave.

[13]Filippo Coarelli e Mario Torelli: Sicilia “Guide Archeologiche Laterza” p.26.

[14]Ambrogio Donini: Breve storia delle religioni p.192

[15] Giuseppe Pitrè: Feste Patronali in Sicilia. p.239

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