L’influenza orientale sui culti in Sicilia, è la conseguenza di due fattori che tengono conto del periodo e dei vettori con cui il pensiero religioso orientale è arrivato nell’isola. Si potrebbe ipotizzare che i culti di origine orientale siano arrivati in Sicilia grazie all'elemento fenicio. In realtà, per trovare un’impronta orientale nei culti religiosi siciliani, si deve risalire fino alle più antiche popolazioni che abitarono l’isola.
I Sicani e gli Elimi, che possiamo considerare appartenenti alla razza mediterranea, hanno la loro origine culturale in Oriente. E non dobbiamo neanche dimenticare che gli Elleni, in quanto appartenenti alla razza indoeuropea, nella forma più primitiva dei loro culti, riportano le influenze delle loro terre d’origine.
Generalmente si vuole distinguere tra l’influenza orientale legata all'origine stessa dei popoli che si stabilirono nel Mediterraneo e quella successiva, relativa al periodo in cui era avvenuta una separazione di fatto fra le due culture: orientale e occidentale. In quest’ultimo contesto i vettori principali dei culti di origine orientale in Sicilia furono i Fenici prima e i Punici dopo.
Una caratteristica normalmente attribuita alle antiche religioni orientali è la presenza, in molti riti religiosi, di sacrifici umani; in realtà, tali sacrifici erano diffusissimi in tutta l'antichità e iniziarono probabilmente con le prime manifestazioni religiose.
La forma più antica di sacrificio umano è forse quella concernente i cosiddetti "sacrifici edilizi" in cui, in occasione di nuove costruzioni, sotto le strutture del nuovo edificio venivano seppellite delle vittime. Ritrovamenti archeologici testimoniano la presenza di sacrifici edilizi presso i popoli preistorici dell'Europa. La barbara usanza fu lentamente abbandonata, o comunque sostituita con simulacri a carattere puramente simbolico. In Italia, nel territorio di Praglia presso i Colli Euganei, sotto le strutture di un villaggio neolitico, è stata trovata una sagoma umana in legno. Secondo alcuni archeologi ciò testimonierebbe che in Italia, sin dalla prima età del bronzo, il sacrificio edilizio assunse un carattere meno cruento, a differenza di altre popolazioni europee dove, invece, fu mantenuto sino ad epoca storica.
Sacrifici edilizi esistevano pressi i Celti. Vincenzo Manzini, con riferimento alla leggenda di S. Colombano, riferisce che questi, chiese alla popolazione che un volontario si offrisse affinché il suo corpo consacrasse il luogo dove sarebbe stata costruita la chiesa:
“..Si levò Odharano, dicendo: Se voi accettate io sono pronto. Rispose Columkille : O Odharano, tu avrai la tua ricompensa; nessuna grazia sarà accordata ad alcuno sino a che quegli non chiederà di te. Odharano andò al Cielo. Columkille fondò la chiesa di Hy in quel luogo”.
Testimonianze su sacrifici edilizi provengono anche dalla Bibbia; nel libro dei Re, 1.XVI, 34 si parla di un certo Hiel di Bethel, che, durante il regno di re Achab, ricostruì Gerico sopra Abiram suo primogenito e depose, sotto le sue porte Segub, figliolo di Num.
Nel 1907, la società tedesca per gli scavi archeologici in Palestina scoprì, sotto le mura di Mageddo, lo scheletro di un fanciullo di circa 15 anni. Sacrifici umani erano praticati anche presso gli antichi Egizi e in Mesopotamia, dove venivano sacrificati, al dio Sole e alla dea Luna, bambini appena nati.
In Grecia non era raro sacrificare vittime umane ad Artemide, Dioniso, Apollo, Poseidone, Zeus ed altre divinità. I sacrifici umani furono successivamente sostituiti con sacrifici di animali.
Tracce di una trasformazione verso forme meno cruente di sacrifici si hanno anche nella mitologia classica; lo abbiamo visto a proposito di Ifigenia, destinata ad essere sacrificata in onore di Artemide, e che la stessa dea salvò, accontentandosi di farla diventare sacerdotessa di uno dei suoi templi. I Lacedemoni sacrificavano ad Artemide uomini che venivano sorteggiati. A tale rito si sostituì quello della flagellazione, senza uccisione, di uomini, sempre tratti a sorte, il cui sangue, veniva cosparso sull'altare della dea.
Un altro esempio di trasformazione verso una forma simbolica di sacrificio umano, si potrebbe rinvenire in una cerimonia che aveva luogo il primo giorno delle Targèlie, le feste espiatorie che si svolgevano nel mese di Targelione (Aprile - Maggio) ad Atene e nelle città ioniche, in onore di Apollo e di Artemide. Durante la cerimonia, due persone erano condotte in città e dopo essere stati accusati, da tutti i cittadini, per i loro delitti, venivano messi al bando. E' probabile che, nella forma più antica della cerimonia appena descritta, le due persone venissero, in realtà, sacrificate.
Non sempre però l'orrendo costume del sacrificio umano scomparve dalla cultura greca. Ancora nel II sec. d.C., in Arcadia, infatti, si continuavano a sacrificare vittime umane a Zeus Lykaios.
Nell'area del Mediterraneo, il triste primato di sacrifici umani, per frequenza e diffusione, spetta ai Fenici ed ai Punici. Presso questi popoli, sacrifici umani si compivano in onore di Baal, Melkart (una sorta di Ercole Fenicio), Astarte, (la consorte di Baal venerata, con questo nome dai Fenici e con quello di Tanit dai Punici). Tra i sacrifici umani, il più frequente era quello di sacrificare un primogenito. In Fenicia la diffusione di questo costume era così radicata che perdurò anche dopo l'arrivo delle genti israelitiche, di religione ebraica.
Nella forma più antica del decalogo tratta dal capitolo XXXIV dell'Esodo, il libro che descrive la fuga degli Ebrei dall'Egitto sotto la guida di Mosé, si legge:
“Ogni primogenito maschio sarà mio, anche del bestiame, buoi e pecore che siano, sarà mio. Riscatterai con una pecora il primo nato dell'asino e, se non lo vuoi riscattare, uccidilo. Riscatterai i primogeniti dei tuoi figli e non comparirai dinanzi a me a mani vuote”.
Sempre in Esodo (cap. XII.2) Dio, parlando a Mosé, dice:
“Consacrami ogni primogenito che apre il seno della madre tra i figli di Israele, tanto degli uomini che degli animali, perché mie sono tutte le cose”.
Nei Salmi, il libro degli inni a Dio, al cap. CV, si legge:
“Prestarono (gli Ebrei) culto ai loro idoli (quelli dei cananei) che divennero per essi un laccio. Immolarono i loro figli e le loro figlie ai demoni. E versarono sangue innocente: Il sangue dei loro figli e delle loro figlie, che sacrificarono agli idoli di Canaan, e il paese fu profanato dal sangue”.
Il rito fu osteggiato dalla religione ebraica ufficiale che impose una serie di divieti per scoraggiare la pratica del sacrificio umano. Nel Levitico, il libro contenente le prescrizioni riguardanti, le feste, le purificazioni e le funzioni sacerdotali, si legge al cap. XVIII:
“Non darai dei tuoi figlioli per essere consacrati all'idolo Moloc e non profanerai il nome del tuo Dio”.
Nel libro di Geremia, al cap. XIX, si legge:
“Poiché essi mi hanno abbandonato, hanno reso straniero questo luogo, avendoci fatto libazioni a dei stranieri che erano sconosciuti ad essi, ai loro padri e ai re di Giuda, poiché hanno riempito questo luogo di sangue innocente, poiché hanno fabbricato degli alti luoghi a Baal, per bruciare nel fuoco con i loro figli in olocausto a Baal, cose che io mai comandai, di cui mai feci parola e che mai mi vennero in mente, per questo, ecco che viene il tempo, dice il Signore, in cui questo luogo non sarà più chiamato Tofet, ne Valle dei figli di Ennom, ma Valle della strage”.
Tracce di un uso iniziale dei sacrifici umani e di una loro evoluzione verso forme meno cruente, si possono intravedere nel notissimo racconto tratto dal libro della Genesi cap. XXII, in cui il Signore prima comanda ad Abramo di sacrificare in suo nome il primogenito Isacco ma, quando costui ha già pronto il coltello per immolare il suo giovane figliolo, lo fa fermare da un Angelo, ed Abramo sacrifica, al posto del figlio, un ariete che si trovava nelle vicinanze.
Residui dell'antico rito sacrificale potrebbero intravedersi durante la festa di S. Sebastiano a Melilli, in provincia di Siracusa, dove, alcuni bambini vestiti di rosso vengono spogliati davanti alla statua di S. Sebastiano e offerti simbolicamente al santo.
Nella tradizione popolare siciliana, tracce di sacrifici umani che ricordano gli antichi sacrifici edilizi si possono scorgere nelle modalità previste per impossessarsi dei tesori incantati (truvature). Si narra, infatti, che, in alcuni casi, l'incanto sia stato compiuto uccidendo un uomo sul posto in cui si è nascosto il tesoro e che esso può essere tolto con un nuovo tributo di sangue.
Si racconta che nei pressi di Naro (Agrigento) c'è un monte chiamato La Montagna del Furore, dove è nascosto un immenso tesoro. Per disincantarlo occorre sacrificare sul luogo sette bambini innocenti.
Nella cava di S.Lena, non lontano da Chiaramonte, in Provincia di Ragusa, pascolerebbe un gregge tutto d'oro. Ci si può appropriare del gregge se nel giorno di Venerdì Santo si uccide sul luogo un uomo.
In una chiesa del territorio di Modica, detta Chiesa di Scrofani, esisterebbe un tesoro incantato. Per prendere tale tesoro, bisogna uccidere un fanciullo che si chiami Clemente, per mano della sua madrina che, sul posto, ne deve mangiare il fegato. Qualcuno deve averci provato, infatti, verso la fine del secolo scorso, si svolse, a Modica, un processo che aveva ad oggetto il seguente avvenimento: una donna, che aveva un figlioccio di due anni chiamato Clemente, portò via il piccolo all'insaputa della madre e, accompagnata da un'altra complice, entrò in chiesa; le due donne uccisero il bimbo sulla lastra che, secondo il popolo nasconde il tesoro, gli strapparono il fegato ma non riuscirono a mangiarlo crudo, ne vomitarono un poco, ed il tesoro non poté, quindi, essere disincantato.
L’episodio modicano mette in luce un’altra antichissima abitudine, quella di mangiare alcune parti del corpo delle vittime sacrificali. Diodoro Siculo, (LIb.XXII.5) parlando del Tiranno Apollodoro che cospirava per conquistare il potere, racconta:
“ e volendo rendere sicuro l’esito della sua cospirazione, chiamò un giovinetto, amico suo, come per un sacrificio, lo sgozzò come offerta per gli dei, ne diede da mangiare le viscere ai cospiratori, e, mescolatone il sangue a del vino, lo fece bere loro”.
Alle grandi Madri, quali erano originariamente Gaia, Cibele e Demetra, ecco che, dall'Oriente, si aggiunge, ad un certo punto, Iside, destinata a diventare il perno di un grande movimento sincretico che preparerà il terreno alla grande madre dei Cristiani, la Madonna. Iside, vista dagli Egiziani come madre degli dei, rappresentava, come le altre madri, il concetto della fecondità. Grazie a queste caratteristiche, pur essendo la dea degli Egiziani, il suo culto si diffuse nel mondo greco-romano, dove fu spesso comparata a Demetra.
In Sicilia il culto di Iside dovette diffondersi, assieme a quello di Serapide, verso il III, II sec. a.C.. Attorno a lei si formò quel fenomeno chiamato “sincretismo religioso” cioè quella mescolanza di diversi culti che, in origine distinti l'uno dall'altro, erano accomunati da una ideologia comune.