Nella mitologia greca le ninfe (dal greco ninphe cioè fanciulla, sposa) sono divinità inferiori, rappresentano gli spiriti dei campi, dei boschi, delle acque e della natura in genere. Sono distinte in diverse categorie a seconda dell'ambiente che li circonda, vi sono quindi:
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Ninfe delle acque. Comprendono le ereidiiNereidi, divinità marine figlie di Nereo e personificazione, forse, delle onde del mare. Quelle che però sono maggiormente conoscitue, in Sicilia come in Grecia, sono le Naiadi, ninfe delle acque dolci che alimentano gli alberi, il bestiame e quindi anche l'uomo. Ogni sorgente celebre ha la sua Naiade e la sua leggenda. In Sicilia, la Naiade più famosa è Aretusa, che legò il suo nome alla famosa fonte Aretusa di Siracusa. Le Naiadi, a differenza di altre ninfe, sono considerate mortali, così come le fonti che rappresentano.
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Ninfe dei boschi e degli alberi (Driadi o Amadriadi). Così come le ninfe acquatiche, le ninfe degli alberi non sono immortali, poiché la loro vita è legata agli stessi alberi che rappresentano.
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Ninfe dei monti (Oreadi). Queste ninfe vivono sui monti e nelle valli. Nella mitologia greca, era famosa la ninfa Eco che s’innamorò non corrisposta del giovane Narciso che, invece, non voleva saperne né di lei né delle altre che si erano innamorate di lui. Eco, affranta, si ritirò in solitudine, dove dimagrì a tal punto che di lei rimase solo la voce. Narciso per questo fu punito dal cielo ed un giorno, sporgendosi su una sorgente per dissetarsi, vide la sua immagine riflessa nell'acqua se ne innamorò e nel tentativo di raggiungerla cadde nell'acqua e morì annegato.
Spesso le ninfe allevano i bambini nati da amori divini, come nel caso di Dafni e di Ermes. A volte sono loro stesse ad avere relazioni amorose con degli dei, come nel caso di Talia che dall’amore con Zeus generò i Palici, oppure fanno parte del seguito di una divinità maggiore, come le ninfe che accompagnavano Artemide nelle sue battute di caccia o le Menadi, le terribili accompagnatrici di Dioniso.
In Sicilia il culto di divinità fluviali, spesso personificazioni maschili di sorgenti e fiumi, così come il culto di divinità femminili legate agli stessi aspetti della natura e simili alle ninfe delle acque, come le Naiadi greche, doveva essere presente molto tempo prima dell'arrivo dei Greci nell'isola per il carattere prevalentemente pastorizio e agricolo delle popolazioni indigene, che godevano dei benefici derivanti dall'utilizzo di sorgenti e fiumi. Ecco perchè non era inconsueto ricorrere alla personificazione, sia maschile che femminile, di sorgenti e fiumi, anche se in seguito il sopravvento della religione greca portò alla perdita delle caratteristiche indigene del culto, sostituite da quelle prettamente elleniche.
Tutti i principali fiumi della Sicilia erano personificazione di un dio o di una ninfa, anche se, della maggior parte di essi, sono rimaste solo poche tracce nella letteratura classica ed in qualche antica moneta. Questo aspetto doveva probabilmente riguardare il fiume Anapo a Siracusa, il Simeto a Catania, di cui si sa solo che la ninfa che lo personificava era considerata, a sua volta, la madre del dio fluviale Aci, l'Heloros (l'attuale Tellaro), il fiume Agrakas che diede il nome all'omonima città e altri fiumi della Sicilia. I culti descritti in questo paragrafo sono quindi solo una piccola parte della costellazione di ninfe e divinità fluviali che popolarono la mitologia della Sicilia antica.
La tradizione popolare cristiana ha fatto sì che le ninfe della tradizione mitologica greco-sicula fossero sostituite da diavoli, spesso con sembianze femminili, oppure da fate più o meno capricciose.
Le fiabe e leggende popolari siciliane sono ricche di personaggi con caratteristiche che ricordano quelle delle antiche divinità fluviali.
Una figura con queste connotazioni è la Monacella della Fontana, conosciuta soprattutto nei paesi dei monti Iblei, nel ragusano.
La Monacella della Fontana è una figura giovanile, vestita come le monache. E' sempre accompagnata da un cane e porta in mano un canestro con fiori e monete d'oro. E' possibile vederla nei pressi di una fontana, i primi tre martedì di giugno e svanisce tuffandosi nella fontana e sciogliendosi in acqua. E’ considerata spesso la guardiana dei tesori nascosti lungo il corso di fiumi e sorgenti. Offre la ricchezza a coloro che la vedono, ma fugge alla vista di rosari o immagini sacre. Quest'ultimo particolare sottolinea il tentativo di accomunare la Monacella della Fontana con le figure demoniache nemiche della nuova religione cristiana.
Altre figure simili sono le cosiddette “Donne di fuora” o “Belle Signore” o ancora “Patruni di casa” o semplicemente “donzelle”. Sono esseri soprannaturali simili alle streghe che vivono nei boschi o sottoterra vagando durante la notte e trasformandosi, in uccellacci, serpi o gatti neri. Una Donzella custode di un tesoro terrorizza coloro che hanno la sventura di entrare in una casa incantata. E nel “Cortile delle sette fate”, sette “donne di fora”, di notte, fanno vedere cose mirabili per poi sparire la mattina.
Riportiamo, data la sua brevità, il racconto del Pitrè “ Lu curtigghiu di li sette Fati”, raccolto a Palermo:
‘Ntra stu Curtigghiu di li setti Fati, ‘nta la vanidduzza chi spunta ‘nfacci lu Munasteriu di Santa Chiara, vonnu diri ca la notti cci vinìanu sette donni di fora, tutti una cchiu bedda di ‘n’àutra. Sti donni si purtavanu quarchi omu o puramenti quarchi fimmina chi cci parìa a iddi, e cci facianu vidiri cosi mai visti: balli, sònura, cummiti, cosi granni. E vonnu diri puru ca si li purtavanu supra mari, fora fora, e li facianu caminari supra l’acqua senza vagnàrisi. Ogni notti faciànu stu magisteriu, e poi la matina spiriànu e, un si nni parrava cchiui. Di ddocu nni veni ca stu curtighiu si chiama lu curtigghiu di li setti Fati.