BAROCCO SICILIANO: RAGUSA E MODICA

Antony Blunt: Sicilian Baroque (Londra - 1967)

Il brano che segue è tratto dall'opera Sicilian baroque, pubblicata a Londra nel 1968, e nel medesimo anno stampata dal Polifilo di Roma, con la traduzione di Bruno Maffi.

Le storie architettoniche di Ragusa e di Modica corrono parallele; e ciò non sorprende, perché le due città, sebbene in varia guisa rivali, sorgono in posizione analoga, appartenevano alla stessa area amministrativa, la Contea di Modica, e distano 15 km. l'una dall'altra. In entrambe ha un'importanza cruciale il terreno in ripido declivio, che deve aver suggerito agli artisti locali i grandi effetti scenici in cui risiede la più spiccata caratteristica della loro architettura.

Entrambe le città, danneggiate dal terremoto del 1693, furono ricostruite in uno stile che si collega a quello usato nello stesso periodo a Catania. Il Duomo di S. Giovanni a Ragusa, disegnato nel 1964, e la chiesa di S. Pietro a Modica, forse degli stessi architetti, illustrano mirabilmente questa maniera, che si avvale di gigantesche lesene, ma di un bugnato più sobrio del comune tipo orientale, e di forme molto più semplici per le finestre. In ognuno dei casi il tempio sorge su un pendio, ma l'architetto sfrutta la posizione in modo diverso: S. Giovanni è posto su una terrazza che sporge sulla piazza antistante, mentre S. Pietro è preceduto da un'ampia scalea fiancheggiata da statue, secondo il disegno preferito in questa zona.

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San Pietro - Modica

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San Pietro - Modica

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San Giovanni - Ragusa

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San Giovanni - Ragusa

Fu nella generazione successiva e nella persona di Rosario Gagliardi che l'architettura di Ragusa e di Modica produsse le opere più significative. Poco si sa della sua vita, ma è chiaro che era una personalità importante nel distretto se firmò orgogliosamente i disegni per la chiesa di S. Giorgio a Ragusa "ingegniere della città di Noto e suo Vallo", cioè architetto non solo della città ma dell'intero Val di Noto - termine usato a indicare la divisione sud-orientale dei tre in cui è ripartita la Sicilia. Nel caso di S. Giorgio, nella città bassa di Ragusa, o Ragusa Ibla, ci muoviamo al sicuro, perché i disegni recano non solo la firma dell'architetto ma anche la data 1774, e risulta che furono "comprati" da parroco Don Felice Giampiccolo. In relazione alle abitudini architettoniche dell'epoca, è interessante notare che le piante erano state esaminate ed approvate da Michele Longari, architetto della città di Messina, e da Giovanni D'Amico, architetto del "Patrimonio" dell'intera Isola. Il parroco non correva rischi.

S. Giorgio a Ragusa è la sola chiesa documentata come opera del Gagliardi, ma è impossibile separarne il prospetto dalla chiesa di Modica dedicata allo stesso santo, che dev'essere o del Gagliardi o di un suo collaboratore molto stretto e intelligente. In entrambe l'architetto fa un uso brillante della località prescelta per disporre di fronte ad essa un'ampia scalinata, che a Ragusa scende verso una piazza leggermente di sbieco rispetto all'asse della chiesa, mentre a Modica si snoda giù per il declivio con duecentocinquanta gradini, fino a raggiungere la strada sottostante. Quella di Ragusa è la più piccola delle due chiese, perché ha una facciata a tre partiti che in S. Giorgio a Modica diventano cinque; ma in entrambi i casi l'intero disegno tende con spinta ascensionale verso il culmine della torre campanaria che svetta dal corpo centrale e conferisce un vigoroso accento curvilineo all'intero impianto. La sezione centrale convessa è accentuata e arricchita da gruppi di colonne a fusto libero, che a Ragusa sono sistemate a tre a tre e avanzano in piani paralleli alla facciata, mentre a Modica si dividono in una colonna isolata contro il muro principale e in una coppia sporgente ad angoli retti sul corpo centrale ricurvo. A Ragusa il campanile segue esattamente il disegno del Gagliardi; a Modica, invece, la parte terminale sembra risalire al secolo XIX, e ne è una conferma la cupola un po' troppo elaborata che sovrasta l'insieme.

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San Giorgio - Modica

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San Giorgio - Modica

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San Giorgio - Modica

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San Giorgio - Modica

Nelle facciate di entrambe le chiese i portali intervengono a esaltare potentemente l'effetto. A Ragusa il portale maggiore è circondato da festoni racchiusi in una cornice stranamente angolosa, rotta da uno scudo araldico sostenuto da putti. Al disopra di questa struttura, e ad essa collegato solo da elementi curvilinei in bassorilievo, è un timpano decisamente convenzionale e piuttosto pesante. A Modica il numero delle porte è esteso a cinque in corrispondenza alla larghezza dell'edificio, e la loro decorazione raggiunge un grado di fantasia molto più elevato. In quelle laterali, i timpani sono nettamente spezzati in due sezioni: due elementi convessi prorompenti agli stipiti e una sezione centrale alta al disopra della porta e collegata alla inferiore da elementi straordinariamente curvilinei. Putti, cartocci, palme e stelle in altorilievo adornano lo spazio fra ordine superiore ed inferiore. Nella porta centrale, che è alta due volte quelle laterali, la soluzione è ancora più audace, e gli elementi di raccordo fra la porta e il timpano presentano forme più capricciose, con dettagli che preludono al Rococò. I discepoli romani del Bernini e del Borromini avevano sviluppato un tipo di disegno che isolava il timpano dalla porta sottostante - come nella facciata della chiesa S. Maria Maddalena a Roma - ma non l'avevano mai applicato con la libertà che si dispiega nella chiesa di Modica e che ricorda non tanto l'architettura continentale italiana, quanto l'architettura tedesco-meridionale o addirittura portoghese.

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San Giuseppe - Ragusa

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San Giuseppe - Ragusa

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San Giuseppe - Ragusa

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San Domenico - Noto

Le chiese di S. Domenico a Noto e di S. Giuseppe a Ragusa Ibla sono tradizionalmente attribuite al Gagliardi e l'attribuzione è, sul piano stilistico, interamente plausibile. La seconda è una versione più compatta della chiesa di S. Giorgio a Ragusa; la prima una sorta di prova generale per la chiesa di S. Giuseppe. Né l'una né l'altra possiedono le qualità drammatiche o scenografiche che caratterizzano i due S. Giorgio, ma sotto certi aspetti il loro disegno è ancora più sottile. In entrambi i casi il partito centrale convesso risulta accentuato - come nelle due chiese di S. Giorgio - da colonne che ne sporgono ortogonalmente, ma ancora una volta la loro disposizione varia. Nella chiesa di S. Domenico, dove gli ordini sono dorico romano piuttosto pesante sul piano inferiore e ionico su quello superiore, la sporgenza si realizza in due colonne a fusto libero, una al margine estremo e l'altra notevolmente più vicina al centro. In S. Giuseppe gli ordini sono il corinzio e il composito, e il Gagliardi ne ha controbilanciato la maggior leggerezza unendo i due elementi di spinta in avanti in uno solo, collocato al margine della curva e consistente in due colonne e un pilastro quadrato. L'effetto è nello stesso tempo più semplice e più drammatico. In entrambe le chiese i partiti laterali sono decorati nel piano superiore con volute di complessità insolita, in uno stile tipico del Gagliardi. Il prospetto di S. Domenico è coronato da un frontone secondo la tradizione romana, mentre nella chiesa di S. Giuseppe il Gagliardi completa il suo disegno con la torre campanaria siciliana, integrandola con bella eleganza nell'intera facciata.

Il Gagliardi dà il meglio di sé nel disegno dei prospetti, ma sono pure interessanti e vari i suoi interni. Nel caso di S. Giorgio a Modica la nave appartiene forse a una chiesa più antica, ma in S. Giorgio a Ragusa il progetto mostra che, a prescindere dalla cupola centrale ottocentesca, l'intera chiesa venne costruita in conformità al suo disegno e le arcate sono composte di pilastri in pietra con lesene corinzie su basi di marmo nero. La trabeazione consta di modiglioni decorati, di una modanatura con fregio sopra la cornice e di una specie di motivo a ovuli come lo si ritrova nelle nicchie angolari di S. Francesco a Comiso; e questa ricchezza conferisce un grado sorprendente di vivacità e di moto a un disegno che pure, nei suoi elementi fondamentali, si collega alle modeste arcate del Duomo di Catania. Come S. Giorgio, S. Domenico a Noto è a croce latina; ma la chiesa di S. Giuseppe a Ragusa è, come il Carmine a Noto, un ottagono allungato di belle proporzioni e con un'elegante decorazione rococò nei campi bianchi. La soluzione data dal Gagliardi al problema del campanile siciliano trasformando il partito centrale in una torre - soluzione accennata nel Duomo di Siracusa - non sembra aver riscontro in Italia, ma riecheggia, probabilmente per caso più che per influenza diretta, un tipo abbastanza diffuso nell'Europa settentrionale, di cui si trovano esempi nelle chiese dell'Hawkmoor a Londra e di Balthasar Neumann in Franconia. Il modello venne largamente ripreso nel Val di Noto e se ne incontrano varianti in molte città minori. La più elegante è la chiesa di S. Giovanni nella città alta di Modica, che come S. Giorgio sorge al culmine di una scalinata, ma sembra tradire nella forma concava e nel dettaglio severo l'influenza di Stefano Ittar. Se è esatta la data 1839 attribuita da storici locali al suo prospetto, esso è un esempio significativo di come uno stile essenzialmente settecentesco abbia potuto durare a lungo con autentica vitalità in certe parti dell'Isola. L'uso brillante che il Gagliardi fa di prospetti curvilinei e il disegno audace dei suoi portali dovevano esercitare un'estesa influenza anche nel distretto di sud-est: ne è un esempio di eccezionale bellezza la chiesa di S. Antonio a Buscemi che, sebbene incompiuta, mostra nell'ordine inferiore la vivacità della forma gagliardiana eseguita in una pietra bianca di sapore quasi siracusano.

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San Giovanni - Modica

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San Giovanni - Modica

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Duomo - Catania

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Duomo - Siracusa

La città nuova di Ragusa, ordinata intorno alla Cattedrale ai primi del secolo XVIII, vanta un certo numero di bei palazzi il cui disegno è piuttosto insolito. Essi sono quasi sempre lunghi e bassi - probabilmente per misura antisismica - e constano di due piani con asse centrale accentuato sia da una tribuna sia da un portale aperto su un giardino, mentre il resto della facciata è rotto da finestre dalle cornici liberamente arcuate e da balconi, belli ma semplici, in ferro battuto. Anche qui vien fatto naturalmente di pensare a certi palazzi portoghesi, per esempio a Braga.

Evidentemente la vecchia Ragusa Ibla guardava alla nuova come ad un'intrusa di origini plebee e nella sua area gelosamente isolata si continuò fino ai primi anni del secolo XIX a costruire palazzi nello stile tradizionale. Quasi all'ingresso della città sorgono due palazzi con balconi sorretti da figure grottesche come quelle di Palazzo Villadorata a Noto, ma al vertice del promontorio sul quale si annida la città vecchia, oltre S. Giorgio, oltre S. Giuseppe, in zona oggi silenziosa e spettrale, v'è un gruppo di palazzi che rispecchiano tuttora l'atmosfera claustrale della città antica. Essi sono meno grandiosi di quelli della città alta, ma contengono dettagli di un fascino inatteso - un balcone barocco poggiante su modanature ancora più bizzarre di quelle della facciata di S. Giorgio, un Circolo costruito in un severo stile dorico romano, una scalea ovale squisitamente inserita in un cortile angusto. Il più incantevole e probabilmente l'ultimo della serie è un palazzetto ordinato intorno ad un cortile con scalone esterno di un familiare disegno barocco ma in dorico romano con eleganti balaustre neoclassiche in ferro battuto. Dopo di che sembra che nessuno abbia più costruito altro a Ragusa Ibla.