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Lo Zingaro: la costa com’era una volta Lo Zingaro è
un vero paradiso della natura per la grande varietà di ambienti naturali
presenti sui suoi 1.600 ettari. La costa si apre sul mare con muraglioni
calcarei alti e frastagliati, interrotti da calette, anfratti rocciosi e grotte.
L’altitudine delle sue vette varia dai 610 m s.l.m. di Pizzo Passo del Lupo ai
913 di Monte Speziale. Partendo dal livello del mare, e proseguendo in risalita
sino alle vette più alte, si incontrano diversi tipi di ecosistemi, tutti
estremamente significativi: i trottoirs a Lithophyllum e a Vermetus sul livello
del mare; gli ambienti rupestri; le praterie; la gariga ad arbusti dominata
dalla palma nana; i radi frammenti di vegetazione arborea caratterizzata da
lecci o sughere; le grotte terrestri e marine; i piccoli ambienti umidi di
contrada Acci; agli ambienti di forra; le praterie ad ampelodesma; i pendii
scoscesi e le pietraie.
Qui vivono circa 600 specie vegetali, di cui ben 40 endemiche e nidificano 39
specie di uccelli, compresa la ormai rara aquila di Bonelli (vedi box): proprio
un paradiso naturale! Sino a tempi non molto lontani, lo Zingaro era popolato da
contadini; oggi, al posto delle colture abbandonate troviamo praterie steppiche:
vaste distese erbacee che dominano sul paesaggio interrotte da aree a gariga,
caratterizzate da bassi arbusti tra cui spicca la palma nana che arriva ad
assumere portamento arboreo (vedi box) e che si insedia soprattutto nelle zone
basse di Pizzo Passo del Lupo e nelle frange iniziali di contrada Sughero.
MUSEI E CENTRI VISITA
• Museo Provvisorio di Scopello: tel. 0924.596100. Orario di apertura: 1
Maggio-30 settembre lunedì e martedì ore 13:00-20:00. Da mercoledì a domenica
ore 09:00-20:00. Dall’1 ottobre al 30 aprile: lunedì chiuso, gli altri giorni
ore 09:00-16:00.
• Museo di Preistoria, “Torre di Ligny”, a cura dell’Associazione Trapanese di
Preistoria e Protostoria, via Torre di Ligny n. 1, 91100 Trapani – tel.
0923.22300.
• Museo Regionale “Agostino Pepoli”, via Conte Pepoli n. 200, 91100 Trapani tel.
0923.553269 – fax 0923.535444. Visite: lunedì, mercoledì, venerdì e sabato ore
09:00-13:30; martedì e giovedì: ore 09:00-13:00 e 15:00-17:30; domenica e
festivi ore 09:00-12:30.
• Museo del mare, via Savoia, 57 San Vito Lo Capo (TP) - tel. 0923.972464.
Visite: ore 9:00-13:00 e 17:00-20:00 da ottobre a giugno ore 9:00-13:00.
• Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi”, Villa Landolina, viale Teocrito, n.
66, Siracusa - tel. 0931.464022. – Chiuso il lunedì. Visite: domeniche e festivi
ore 9:00-13:00; feriali ore 09:00-13:00 e 15:00-17:00.
COMUNI DI APPARTENENZA
• Castellammare del Golfo, 60 m slm a 40 Km da Trapani CAP 91014 prefisso
telefonico 0924; abitanti 13.515 (castellammaresi).
• Stazione ferroviaria più vicina: Castellammare del Golfo (a km 3).
• San Vito Lo Capo, 6 m slm a 30 Km da Trapani CAP 91010 prefisso telefonico
0923; abitanti 3.567 (sanvitesi). • Stazione ferroviaria più vicina: Trapani (a
km 39).
• Scopello (Castellammare del Golfo) 106 m s.l.m. CAP 91014 – prefisso
telefonico 0924; abitanti 5.096 (francavillesi).
• Stazione ferroviaria più vicina: Castellammare del Golfo.
INFORMAZIONI
• Direzione della riserva: via Segesta, Castellammare del Golfo – tel.
0924.35108.
• “Terme Segestane”, Località Ponte Bagni di Castellammare del Golfo – Casella
Postale n. 36 – tel./fax 0924.530057.
• Municipio di Castellammare del Golfo, Assessorato al Turismo – tel.
0924.33543.
• Comune di San Vito Lo Capo, tel. 0923.621211 e 972253 fax 0923.621205 e
974211.
• Azienda Provinciale per il Turismo di Trapani, piazzetta Saturno, Plesso
Comunale – tel. 0923.29000.
• Ufficio Provinciale Azienda (U.P.A.) di Trapani, via Virgilio n. 119, 91100
Trapani – tel. 0923.807111 e 807231. • Servizio antincendio: tel. 1515 (numero
verde).
LA FLORA
Nella riserva sopravvivono radi lembi di vegetazione arborea costituita soprattutto da lecci (sulle pendici settentrionali di Monte Passo di Lupo e, in piccoli nuclei, nelle contrade Acci e Uzzo, a Pizzo dell’Aquila e Cala del Varo): a questi alberi troviamo associati l’orniello, l’asparago pungente, il pungitopo, alcune piante lianose come il tamaro, lo stracciabrache, la robbia selvatica e l’edera, oltre al ciclamino primaverile, alla bellissima rosa peonia e ad alcune piccole felci.
Leccio |
Orniello |
Asparago pungente |
Pungitopo |
Tamaro |
Stracciabrache |
Robbia selvatica |
Edera |
Ciclamino primaverile |
Rosa peonia |
Quercia da sughero |
Le querce da sughero rappresentano una vera curiosità ecologica perché
normalmente non si insediano su suoli calcarei e si trovano sulle pendici
meridionali di Pizzo Candela e contrada Uzzo tra i 50 e i 400 m s.l.m. In questi
piccoli ambienti umidi vegetano diverse specie erbacee tipiche: la lisca a
foglie strette, la carice ispida, il giunco tenace, il sedano comune e d’acqua e
l’orchidea acquatica.
Allo Zingaro si trovano anche forre, cioè ambienti molto simili a quelli delle
rive dei corsi d’acqua stagionali, che ospitano la tipica flora ripariale
formata dal salice pedicellato, dall’olmo canescente, dal trifoglino palustre,
dall’agnocasto, dalla canna domestica e dal giunchetto meridionale.
La palma nana E’ l’unica palma spontanea siciliana, relitto di epoche in cui il
clima era tropicale (prima dell’ultima glaciazione).
Normalmente è presente in forma arbustiva, ma in condizioni particolarmente
favorevoli (come avviene allo Zingaro) può assumere portamento arboreo. E’
caratterizzata dal fatto che dal tronco si dipartono fronde palmate, grandi
lamine a forma di ventaglio suddivise in segmenti detti “lacinie”. Il segmento
di innesto (picciolo) di ogni fronda è lungo e robusto e dotato di aculei
ricurvi. Il tronco è formato da fibre e scaglie legnose che rappresentano gli
innesti delle fronde degli anni precedenti.
E’ una pianta a sessi separati, le infiorescenze sono vistose pannocchie
giallastre. L’individuo femminile produce frutti tondeggianti od ovoidi, a
buccia coriacea, che raggiungono a maturità il diametro di 3 cm, colorandosi di
marrone: sono drupe, frutti carnosi con nocciolo duro, molto graditi agli
animali selvatici.
La palma è un elemento della macchia mediterranea tipico degli ambienti assolati
e caldi, può essere pioniera o il risultato di uno stadio maturo della
vegetazione.
Se colpita dal fuoco ricaccia nuovi getti. Vive negli ambienti rocciosi costieri
e subcostieri, possiede una certa resistenza alla salinità e si spinge sino a
600 m di quota, come avviene nel bosco di Santo Pietro di Caltagirone. E’
diffusa su tutte le coste siciliane, principalmente sulle coste del Mediterraneo
occidentale, ad eccezione del versante tirrenico da Messina a Cefalù.
Si spinge anche all’interno localizzandosi, in genere, in ambienti semirupestri.
I suoi nomi dialettali sono Giummara, Scupazzu e Scuparina, gli ultimi due
attribuitele perché in passato le sue foglie venivano largamente usate per la
preparazione di scope e di altri prodotti artigianali come cestini, stuoie,
corde e cappelli. Sfibrata, era utilizzata per la preparazione del crine
vegetale.
LA FAUNA
Negli ambienti più aperti, là dove dominano pendii
scoscesi e pietraie, si trovano molti rettili: piccoli come il geco e
l’emidattilo (formidabili arrampicatori di pareti verticali grazie alle sottili
lamelle uncinate presenti sotto le dita), o il gongilo ocellato, simile ad una
lucertola dalle corte zampette, o le due specie di lucertola (la siciliana e la
campestre) Non è improbabile incontrare anche serpenti come il nero biacco e la
vipera, quest’ultima, a volte, vittima degli attacchi del riccio.
Qui cacciano quei volatili che prediligono gli spazi aperti: il gheppio e il
falco pellegrino, abilissimo e velocissimo predatore di uccelli. Lo Zingaro è il
regno del coniglio selvatico, pasto prelibato della rara aquila di Bonelli che
si potrebbe scorgere in picchiata, mentre tenta di catturarne uno: la presenza
di questo rapace nella riserva riveste un significato particolare poiché è in
pericolo d’estinzione.
Lo Zingaro è anche il regno della coturnice di Sicilia. Mentre all’imbrunire le civette
cacceranno topolini e soprattutto insetti, di notte l’allocco assale topi, ratti
e piccoli roditori.
Una menzione a parte va fatta per l’area nei pressi dell’abbeveratoio di
contrada Acci: qui le pozze d’acqua, formatesi dal lento scorrere di piccole
risorgive superficiali, ospitano, sorprendentemente, il raro granchio di fiume e
il discoglosso dipinto, un anfibio molto simile ad una rana, assente nel resto
d’Italia.
Il discoglosso si avvicina all’acqua solo nel periodo riproduttivo per garantire
alle uova un ambiente adatto per lo sviluppo dei girini. In questi ambienti si
trovano molti insetti di specie varie tra cui spiccano in primavera le violacee
Xilocope, api di tipo solitario o la bella Vanessa atalanta, l’unica farfalla
che sverna in questi luoghi anche allo stato adulto.
Molti gli uccelletti, stanziali o migratori, mentre nelle steppe è più facile
trovare il saltimpalo, il cardellino e i migratori come il culbianco e le
monachelle. Nelle aree arbustive vola il piccolo occhiocotto, dall’anello rosso
intorno agli occhi (che qui è stanziale), e l’usignolo di fiume che si adatta
bene a quest’area arbustiva. E poi scriccioli, cappellacce, fanelli, merli,
sterpazzoline.
Insomma un’avifauna ricca e variegata che nelle ore più fresche del giorno fa
sentire la sua presenza con gli incessanti richiami canori… là dove di notte
domina il canto dell’usignolo. L’aquila di Bonelli E’ un’aquila di medie
dimensioni che si trova in pericolo di estinzione in Italia.
La sua silhouette è più slanciata rispetto all’aquila reale: la coda più lunga e
le ali più arrotondate, è lunga sino a 65 cm e l’apertura alare arriva a 1,70 m.
La femmina è sempre più grande del maschio.
Gli accoppiamenti, dopo le parate nuziali, avvengono a dicembre; a gennaio la
coppia ristruttura con grossi rami uno dei nidi presenti sui terrazzini dei
dirupi o saldamente ancorati agli arbusti che sporgono dalle pareti rocciose:
qui a metà febbraio la femmina depone due uova e le cova fino alla schiusa
(l’incubazione dura 45 giorni), poi si occuperà di accudire ai piccoli, mentre
il maschio procaccerà il cibo.
I pulcini sono coperti da un fitto piumino bianco e si involeranno nel mese di
giugno. Mentre in Spagna ed in Africa nidifica anche su alberi d’alto fusto, in
Sicilia predilige le rupi in vicinanza di corsi d’acqua stagionali: si insedia
in fasce che vanno dal livello del mare sino a 1.000 m di quota, scegliendo zone
collinari, ampi spazi aperti a macchia mediterranea e boschi non troppo fitti
sia di querce che di conifere.
In volo è agile, caccia uccelli di medie dimensioni come corvidi e colombi,
contribuendo al loro controllo numerico, ma se c’è abbondanza di coniglio
selvatico, allora lo preferisce. La coppia, tranne che nel periodo della cova,
caccia sempre insieme. Secondo studi attendibili, pare che nel Mediterra-neo
siano presenti circa 1.000 coppie di cui 600 stabilizzate in Spagna e le
rimanenti in Francia centro meridionale, in Grecia e in Italia meridionale: le
presenze italiane più consistenti sono proprio quelle siciliane, mentre in
Calabria nidificano tre sole coppie, della Sardegna si hanno notizie scarse.
La popolazione siciliana conta circa quindici coppie, più un ridotto numero di
giovani e di subadulti erratici. Nella nostra regione è ormai sparita dal
settore orientale: avvistamenti sono stati effettuati nell’area centro-orientale
e nei parchi dei Nebrodi e delle Madonie.
Allo Zingaro questo animale trova condizioni ideali di vita. Solo questo
basterebbe a giustificare l’istituzione dell’area protetta. Infatti, il motivo
della sua regressione è dovuto non solo alla caccia ed agli atti di vandalismo
ai suoi nidi, ma anche al degrado dei suoi habitats prediletti, alla diminuzione
delle prede (coniglio soprattutto), all’alta mortalità giovanile e al suo
isolamento geografico che la porta a non poter sfruttare corridoi naturali di
comunicazione con altri individui della stessa specie, in territori diversi.
Geco |
Emidattilo |
gongilo ocellato
|
Vipera |
Riccio |
Gheppio |
Falco pellegrino |
Aquila di bonelli |
Allocco |
Biacco |
Coturnice di Sicilia |
Granchio di fiume |
Discoglosso dipinto |
Xylocopa violacea |
Vanessa atalanta |
Saltimpalo |
Culbianco |
Monachella |
Occhiocotto |
Usignolo di fiume |
Cappellaccia |
|
|
Sterpazzolina |
LA STORIA, IL PAESAGGIO E L'UOMO
Visitando la riserva
dello Zingaro si scorgono ovunque tracce lasciate dall’uomo, anche se ciò che
colpisce, sulle prime, è l’aspetto selvatico di queste zone.
Attraversato solo da trazzere e mulattiere, questo territorio racchiude tesori
di ogni specie, da quelli naturalistici a quelli umani. Il paesaggio è di rara e
aspra bellezza, qui terra e mare sembrano un tutt’uno. Per lo più, gli individui
che hanno abitato questi luoghi sono stati pastori ed agricoltori mentre la
pesca è stata considerata attività saltuaria e di contorno.
Le numerose grotte dei dintorni (le testimonianze più antiche sono quelle della
grotta dell’Uzzo), diedero rifugio a tanta gente e sono state utilizzate anche
nelle attività lavorative, ad esempio come riparo per le greggi (nella grotta
Zubbia è stato trovato un mulino in pietra).
I siti, quindi, sono certi, non così le origini etniche degli individui che lì
abitarono. Le coste tirreniche della Sicilia offrirono riparo ed approdo a
diverse popolazioni, molte delle quali ne fecero il loro luogo di elezione; gli
Elimi sono i primi dei quali abbiamo notizie più ampie. In questi luoghi
riuscirono a creare una cultura originale che durò fino all’arrivo dei Romani.
Da questo momento non si hanno che scarse notizie di questa parte della Sicilia
fino all’epoca bizantina. Anche del periodo arabo mancano documenti certi, ci
sono soltanto le descrizioni poetiche dei viaggiatori islamici, talvolta
confortate da reperti, da alcuni toponimi (al-dagal, la terrazza in pendenza;
balat al-bayda, la pietra bianca) e da tecniche costruttive che si ritrovano in
bagli, cisterne e impianti d’irrigazione. L’area che oggi appartiene alla
riserva, nel 1199 fu assegnata come sostentamento, da Guglielmo il Buono prima e
nel 1241 da Federico II dopo, al comune di Monte San Giuliano (Erice); in
seguito, e per circa cinque secoli, il territorio sarà diviso: in parte
infeudato, in parte assegnato al demanio comunale, con la caratteristica del
latifondo monoculturale che produceva un’economia povera per gli abitanti del
luogo.
Nella metà dell’Ottocento la fame spinse alla rivolta gli abitanti quando le
terre, provenienti dall’alienazione dei beni ecclesiastici, demaniali e
nobiliari (i baroni avevano sfruttato e basta…), passarono nelle mani rapaci di
più astuti e avari nuovi ricchi che furono, per certi versi, causa e forte
riferimento per la sopravvivenza del brigantaggio e del fenomeno mafioso,
agevolato anche dalla conformazione e dalla natura dei luoghi di questo
comprensorio della Sicilia nord-occidentale.
Ma la popolazione è fatta soprattutto da individui generosi, dediti solo al
lavoro che spesso hanno dovuto inventare, utilizzando i pochi elementi che la
natura ha offerto: bagli, stalle, frantoi, palmenti, tonnare, casupole, pagliai,
oggetti ricavati dallo sfruttamento totale delle piante, alimenti saporiti,
prodotti dagli animali con i quali convivono, sono l’esempio delle loro capacità
e della loro operosità.
Emergenze paesaggistiche
Cala Mazzo di Sciacca: ingresso da Scopello. Area attrezzata, centro
accoglienza visitatori. Punto di partenza per gli itinerari della riserva.
Punta della Capreria: museo naturalistico; rifugio forestale di servizio.
Grotta del Sughero: interesse speleologico. Si apre con una voragine in contrada
Sughero a 250 m di altezza. Grotta dell’Uzzo: a 6 km da Scopello e a 1,5 da San
Vito Lo Capo. Interesse archeologico.
Nei pressi:
museo archeologico ed osservatorio ornitologico.
Borgo Cusenza: sede di servizi della riserva, sito nella parte alta, tra
contrada Uzzo e contrada Acci.
Monte Passo del Lupo: sull’ingresso nord di San Vito Lo Capo, in linea con la
Tonnarella dell’Uzzo. Sede di significativi endemismi botanici. Valenza
ecologica altissima.
Tonnarella dell’Uzzo: segna l’inizio della riserva da San Vito Lo Capo:
area di parcheggio e di servizi ai visitatori.
Laboratorio e museo del Mare.
La riserva dello Zingaro è la prima area naturale protetta istituita in Sicilia,
per volontà popolare di migliaia di persone che con essa hanno voluto dare
l’avvio alla conservazione della natura nella nostra Isola. Il suo valore
naturalistico consiste soprattutto nel fatto che questi 7 km di costa nella
Sicilia nord-occidentale sono sopravvissuti in maniera integra, e rappresentano
ciò che potrebbe essere oggi il litorale tirrenico, se non avesse subìto i
pesanti interventi di antropizzazione dal dopoguerra ad oggi.
Lo Zingaro è soprattutto una riserva di paesaggio da cui godere scorci
incantevoli: bianche calette calcaree dove potersi immergere in acque
limpidissime che si alternano a ripidi muraglioni che precipitano a strapiombo
sul mare.
Grotte marine e terrestri tra cui quella maestosa dell’Uzzo che si apre con una
sorta di anfiteatro su una bellissima cala. Allo Zingaro vivono oltre 600 specie
botaniche di cui moltissime rare o elettive di questi luoghi. Qui nidificano
molte specie di uccelli sia stanziali che migratori.
Qui l’uomo ha abitato per millenni, lavorando la terra e fondendosi con lei, ma
anche sfruttando le risorse del mare, come testimoniano le tonnare presenti nel
territorio. Diversi musei raccontano la storia di questi luoghi, alcuni
all’interno della stessa area protetta.
Il visitatore potrà condurre piacevolissimi trekking, esplorare i fondali marini
o accedere alle grotte sottomarine, se esperto sub. Ai due ingressi della
riserva il visitatore troverà ristoro nelle aree attrezzate per i pic-nic. Chi
ama il birdwatching potrà avvistare trampolieri in migrazione o uccelli rari
come l’aquila di Bonelli.
Come dice Silvano Riggio, “Lo Zingaro è uno dei tratti più suggestivi della
costa siciliana (…) Esso è in realtà espressione dell’ambiente costiero della
Sicilia occidentale (da Capo Gallo alle Egadi), che è forse il più bello e il
più ricco – oltre che il più tropicale – dell’intera Isola”.
La speranza è che al più presto venga istituita la riserva marina che
consentirebbe il ripopolamento ittico oggi osteggiato dalla pesca irrazionale e
dall’indiscriminato uso di imbarcazioni turistiche che si avvicinano troppo alla
costa.
Le tonnare La pesca del tonno veniva praticata fin dai tempi più remoti come
testimoniano grandi autori del passato. Omero e Plinio scrivono anche sulle
tonnare di Sicilia, Oppiano, poeta greco del terzo secolo d.C., ci descrive,
invece, in un suo poema sulla pesca, le tonnare utilizzate ai suoi tempi: porte,
gallerie, atri, corti. Sembra che illustri quelle che si utilizzano ancora oggi.
La pesca del tonno era diffusa in tutta la Sicilia, prova ne sia che su tutto il
suo litorale sorgevano tonnare (ne parla anche Edrisi nel suo Libro di Ruggero)
e stabilimenti, molti dei quali fanno ancora bella mostra di sé sulle coste, per
il ricovero delle barche, la conservazione delle reti e per la lavorazione del
pesce. Lo specchio d’acqua che si apre davanti e nei dintorni di Trapani fino ai
nostri giorni s’è colorato di rosso sangue per la “mattanza” (pesca del tonno).
Le tonnare della Sicilia occidentale sono, infatti, le ultime che praticano
quest’antica attività che va scomparendo. La riserva dello Zingaro contava tre
tonnare: quella di Scopello, quella di San Vito detta Sicco e quella, dell’Uzzo,
nella quale si pescava poco e solo tonnetti che servivano ad integrare la magra
economia della popolazione locale, che smise per prima di operare.
La Grotta dell'Uzzo E’ uno dei più importanti siti della preistoria
mediterranea. Le ricerche archeologiche condotte in questa grande abside
naturale dimostrano che la vita umana allo Zingaro dovette iniziare molto
presto, intorno a 12.000 anni fa, durante il periodo chiamato Paleolitico
Superiore.
Quest’antro, come gli altri che si trovano sul litorale nord-occidentale della
Sicilia, che giunge al promontorio San Vito, si formò a causa degli effetti
erosivi delle onde marine che sbattevano contro la roccia, in alcuni tratti
ricca di friabili calcari. Dal 1975 la Grotta dell’Uzzo è stata oggetto di uno
studio che aveva come scopo la ricostruzione dell’ecosistema preistorico della
zona e la funzione dell’uomo in quei luoghi.
Gli scavi hanno dimostrato che dalla sua comparsa in quest’area, l’uomo non ha
più smesso di abitarvi o di utilizzarla per svariate attività fino al XX sec..
Uno degli aspetti più interessanti della ricerca sta nella scoperta che gli
abitanti indigeni hanno autonomamente vissuto quella che i libri di scuola
chiamano la rivoluzione neolitica: il passaggio da una vita nomade,
all’inseguimento del cibo, ad una vita stanziale, fatta di agricoltura ed
allevamento: fino a quel momento si era creduto che il cambiamento tra gli
abitatori delle grotte fosse stato mutuato dall’Oriente, per immigrazione.
Invece in questa zona si è visto che molto lentamente si andavano acquisendo ed
inserendo elementi nuovi al tradizionale modo di sopravvivere, dato dalla caccia
e dalla raccolta: si erano sperimentati contemporaneamente nuovi sistemi di
reperimento del cibo. Rifugio di animali prima, di uomini poi, la grotta negli
ultimi secoli è stata utilizzata soprattutto dai pastori, ma ha nascosto anche
ladri e briganti: pare che da lì scendesse una corda che veniva ritirata dal
malfattore inseguito.
Negli anni venti la grotta diventò sede di un’impresa economica collegata alla
pastorizia per cui venne suddivisa in ambienti, dove si svolgevano le diverse
attività. Per quanto riguarda gli ambienti rupestri bisogna fare riferimento
all’origine geologica del territorio: qui le rocce sono calcaree e si sono
formate in periodi che vanno dal Triassico (220 milioni di anni fa) al Miocene
dell’era Quaternaria (6 milioni di anni fa).
Si tratta di un unico complesso detto “Panormide” che va da San Vito Lo Capo
alle Madonie (comprendendo anche i monti di Palermo) e che emerge a causa di
complesse questioni tettoniche risalenti a circa 5 milioni di anni fa. Gli scavi
hanno permesso di ritrovare negli strati più antichi fossili di molluschi marini
e di alghe che segnano epoche ben precise e lontanissime nel tempo. Megalodonti,
ammoniti, belemniti: questi alcuni dei fossili che caratterizzano il territorio.
All’epoca, le condizioni climatiche erano diverse e molto simili a quelle di
isole tropicali come le Bahamas. Queste alte pareti, nel loro sollevamento lento
e costante, hanno subito l’azione del mare tanto che sulla superficie si trovano
parecchi segni di carsismo dovuto all’azione dell’acqua e degli agenti
atmosferici: scannellature, fori di dissoluzione, vaschette di corrosione e
canyon.
L’acqua che penetra nel suolo crea anche fenomeni di carsismo sotterraneo che si
risolvono nella formazione di grotte che si trovano sia a livello terrestre che
sottomarino. Tra quelle terrestri, interessante, dal punto di vista
speleologico, è la Grotta del Sughero, che si apre sulla parte alta della
riserva con una voragine, mentre dal punto di vista archeologico la più
interessante è la Grotta dell’Uzzo. Questi ambienti sono prediletti dalle otto
specie di pipistrelli presenti nella riserva tra cui il raro orecchione, il
ferro di cavallo, diversi vespertilioni, il miniottero e il pipistrello
albolimbato.
Grotte se ne trovano anche sul livello di costa: queste sono state ulteriormente
ampliate dal mare. Tra quelle marine, la cui apertura si trova sotto il livello
del mare, particolarmente interessante per grandezza ed articolazione è la
Grotta della Ficarella che si trova a 15 m di profondità, in corrispondenza di
una sorgente superficiale d’acqua dolce. Probabilmente queste grotte erano
frequentate dalle foche monache (vedi box su Filicudi) oggi scomparse dalle
coste italiane, anche se pare che in qualche rara osservazione qualcuna sia
stata avvistata in questi ambienti.
Le rupi a strapiombo sul mare si presentano alte e frastagliate, orlate dalla
cornice a litofilli (trottoir a Litophyllum), una sorta di mensola organica
frangiflutti formata dalle lamelle calcaree di alghe rosse che crescono sotto
forma di piccoli cuscinetti pietrosi, là dove l’impatto delle onde è più
violento. Quando le pareti invece si aprono sulle cale (Cala Disa, Cala Capreria
e Cala del Varo), sui versanti laterali, prima che si formi il piano ciottoloso,
ecco il trottoir a vermetus.
Si tratta di un vero e proprio “marciapiede” cresciuto a pelo d’acqua e
costruito dall’opera paziente di innumerevoli molluschi gasteropodi dalla
conchiglia a forma di tubicino calcareo, lunga da 10 a 20 cm, che cresce
saldandosi a quella degli individui vicini: gli animaletti si proteggono
dall’esposizione dovuta alla bassa marea con opercoli che riaprono al momento
della nuova inondazione.
Questa formazione costiera è preziosissima dal punto di vista ecologico ed è
anche indice di buona salute del mare dato che tende a degradarsi in presenza di
inquinamento. Il trottoir a vermetus è presente solo sulle coste della Sicilia
nord-occidentale, ed in altri pochissimi siti del Mediterraneo meridionale: in
Algeria, in Libano e sulle coste israeliane dove è protetto.
Superato il livello dei trottoirs, salendo in altitudine, là dove arrivano gli
spruzzi e le mareggiate si insediano gli ctamoli: conetti pietrosi, somiglianti
a piccoli crateri appiattiti in cima e chiusi da un opercolo che trattiene
internamente l’acqua e sigilla l’animale nelle fasi di bassa marea. Sono molto
simili ai “denti di cane” che infestano le chiglie delle imbarcazioni. Presso la
linea dei frangenti si incontrano le chiazze, nere e ruvide, dei licheni marini
su cui brucano le littorine neritoides, piccoli molluschi dalla conchiglia
conica, e in estate, la Ligia italica, crostaceo appiattito, simile ai
porcellini di terra, di colore brunastro.
Oltre troviamo la fascia delle alofite, piante che resistono agli spruzzi marini
come il limonio flagellare – specie endemica molto rara e localizzata – il
finocchio marino, l’enula bacicci, la carota marina, il ginestrino delle
scogliere che, non di rado, vengono raggiunti dalla palma nana. Sugli scogli
prospicienti le alte pareti rocciose, spesso, durante il periodo migratorio,
sostano grossi trampolieri come aironi, nitticore e garzette.
Una popolazione di gabbiani reali invece nidifica sulle superfici rocciose, in
un’area confinante con la riserva (vedi box su Alicudi).
Le pareti rupestri interne sono distribuite su tutta la riserva, fino a quota
750 m. Su di esse si trovano numerose piante endemiche tra cui il rarissimo
limonio di Todaro e lo sparviere del Cofano. Ma non sono le sole: qui crescono
anche diverse altre specie endemiche o rare come la camomilla del Cupane, il
cavolo di Bivona-Bernardi, il cavolo di Trapani, i perpetuini delle scogliere,
l’erba perla mediterranea, la finocchiella di Boccone, l’iberide florida, il
villucchio turco, l’euforbia di Bivona-Bernardi e il fiordaliso delle scogliere.
In situazioni meno accidentate la vegetazione erbacea può evolvere arricchendosi
in leccio o in euforbia arborea. Le rupi sono il regno incontrastato di molte
specie d’uccelli: da qui s’avvistano poiane, l’aquila di Bonelli, i corvi
imperiali, il colombo selvatico e la passera lagia o l’elegante passero
solitario dalla livrea azzurra e tre tipi di rondone di cui due nidificanti (il
pallido e il comune) e il maggiore, che nidifica fuori riserva ma caccia da
queste parti. Fin qui si spinge anche la coturnice di Sicilia, di cui abbiamo
già parlato a proposito dei pendii scoscesi e delle pietraie. Infine, le colture
agricole: individui isolati di carrubo ed olivo o sesti abbandonati di mandorlo
e frassino da manna.
Va detto, infine, che lo Zingaro è stato insediamento agricolo e punto di
approdo di fortuna per i pescatori colti dalle tempeste. Una “summa” degli
aspetti naturalistici della riserva è rappresentata nel museo naturalistico
presso il centro visitatori di Punta della Capreria.
Fonte del testo: Regione Sicilia - Dipartimento Azienda Regionale Foreste Demaniali
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