LA STORIA DEL VINO
 

Si pensa che la Vitis Vitifera, la specie di vite con cui si fa la maggior parte del vino moderno, si sia sviluppata intorno al 7500 a.C. nella regione transcaucasica che oggi corrisponde all'Armenia e alla Georgia. Da allora fino all'era classica, la cultura della vite si diffuse in quasi tutti i paesi del mediterraneo e giunse fino al medio oriente. Si pensa che Muscat e Syrah siano i vitigni più antichi del mondo, come indica la stessa etimologia dei loro nomi. I reperti archeologici fanno risalire i primi esperimenti di vinificazione nel periodo neolitico (8000 a.C.): in Turchia, Giordania sono stati rinvenuti enormi depositi vinaccioli che suggeriscono che le uve venissero spremute. Al tempo, tuttavia, il vino si faceva da uve selvatiche, mentre le prime prove di qualche attività di viticoltura vengono dalle Georgia 3000 anni dopo, nell'età della Pietra. Le prime testimonianze della pratica della viticoltura ci giungono dalla Genesi (cap.9) quando Noè, finito il diluvio universale, attraccò a terra, piantò la vite e si ubriacò del suo vino.

Le prime attestazioni dell'attività vinicola sono degli antichi Egizi e giungono a noi in un affresco tombale conservato a Tebe, che riproduce in dettaglio ogni fase del processo di vinificazione, della vendemmia, delle uve sino al trasporto sulle imbarcazioni lungo il Nilo. I vini erano in gran parte rossi, dato che le uve raffigurate sono solo uve nere tipiche dei climi temperati. Il vino veniva conservato in anfore dal collo stretto, solitamente a due manici, chiuse da un tappo d'argilla. Chi faceva vino apponeva anche un sigillo con l'anno della vendemmia; prima prova di una rudimentale pratica di invecchiamento. Con l'emergere di altre civiltà, la viticoltura e la vinificazione si affermarono più a nord, lungo le coste del Mediterraneo. Creta e Micene dominarono il mondo culturale ed entrambe erano civiltà commercianti che riconobbero il grande valore del vino.

L'Iliade di Omero è ricca di citazioni, ulteriore prova del grande significato che il vino assunse nel mondo greco: a Itaca, Ulisse, nella sala del tesoro, conservava non solo oro, bronzi, tessuti, olio, ma anche "vasi di vino vecchio, dolce da bere" (Odissea II, vv 340). Micene cadde sotto mano nemica e la popolazione si rifugiò sulla terra ferma, in Grecia, portando con sé l'arte della coltivazione della vite e dell'olivo. Gradualmente, lungo il corso dei secoli, migrarono verso l'Italia, che chiamarono Enotria, la terra della vite, poiché qui le viti prosperavano. Il vino, infatti, era già comparso in Sicilia oltre 2000 anni a.C. a opera inizialmente dei Fenici che portarono nuove qualità di Vitis Vinifera Sativa e nuove tecnologie di coltura. In tutto il territorio, poi colonizzato dai Greci, vi fu una vera e propria fioritura della civiltà del vino : in Calabria, vicino a Sibari, venne costruito un veno enodotto, cioè un condotto di argilla che convogliava il vino nella zona portuale dove veniva raccolto in anfore e quindi imbarcato. Le stesse colture palafitticole dell'età padana vinificavano: ce lo testimoniano i naturali ammassi di vinaccioli ritrovati; così come in Veneto il ritrovamento delle situle, ossia di bicchieri di terracotta che servivano da vasi vinari. Intorno al 1000 a.C. gli Etruschi diedero maggiore impulso alla diffusione della viticoltura e proposero la diffusione della vite in piccole piante potate (alberello basso); alcune fonti sostengono che la vite coltivata secondo questa tradizione si chiamasse lambrusca ; i greci invece accostavano la vite ad alberi di medio e alto fusto permettendo così alla pianta di arrampicarsi.

In questa fase preromana possiamo individuare in Italia due diverse civiltà del vino :
una meridionale, caratterizzata da un clima caldo, più progredita che accoglie in sé l'evoluzione della civiltà enoica delle culture mediterranee;
una settentrionale, caratterizzata da un clima freddo, che si è sviluppata posteriormente e solo in un secondo tempo, ad una rudimentale coltura della vite, ne ha fatto seguire una più evoluta che prevede non solo il trapianto ma anche la potatura e l'innesto.
La differenza tra le due culture si evidenzierà in seguito soprattutto a causa delle diversità climatiche. Nell'età romana è bene fare una divisone in sottoperiodi:
il primo, dalla nascita di Roma alle Guerre Puniche;

il secondo arriva alla vigilia della nascita di Cristo;
il terzo prosegue fino alla fine dell'Impero.
Con la caduta dell'Impero Romano, lo sfacelo politico e le scorribande barbariche, la cultura viticola fu abbandonata. Le campagne devastate e saccheggiate venivano abbandonate dai contadini che cercavano sicurezza presso chi poteva proteggerli. Chi seppe riempire questo vuoto di potere fu la Chiesa Cristiana che offrì proprio sicurezza e protezione. Nei monasteri, piccole oasi di pace, protetti da alte mura di cinta, si coltivavano ortaggi, ma anche la vite: la vite per il suo vino e il vino per il culto. Nei Vangeli il vino è elemento presente ed essenziale, dalle "Nozze di Cana" fino all'episodio dell'ultima cena. Da questo momento e in questo momento il vino che rallegra l'anima, che guarisce, che introduce nel mondo dionisiaco, diviene simbolo profondo di un momento sacrificale. Il vino diviene sangue, è il sangue della terra "sanguinis uvae" insieme al pane azzimo diventano il nutrimento dell'anima. Il vino e il pane, nel momento dell'offerta, vengono trasmutati in sangue e corpo di Cristo. La religione Cristiana, avendo bisogno del vino per il compimento del culto, rappresentò la forza di conservazione del poco rimasto e poi di propulsione per lo sviluppo della viticoltura. I monasteri divennero centri di aggregazione di tutti quegli uomini legati alla campagna che non chiedevano altro di poter lavorare la terra. Il paesaggio cominciò a modificarsi e numerose famiglie di contadini cominciarono ad adunarsi attorno all'Abbazia. L'estensione territoriale di questi centri aumentò e l'abate divenne il punto di riferimento non solo morale ma anche civile, in quanto assicurava ordine e giustizia. I monaci insegnavano le tecniche della viticoltura e della vinificazione e si trovavano nei monasteri persino "...taberna in monasterium...", e visto che le regole dei monasteri si facevano sempre meno rigide, il vino veniva bevuto spesso e volentieri non solo durante l'uffizio religioso al punto che "ora et labora" venne talvolta affiancato a "bibite frates ne diabolus vos otiosos inveniat" (bevete fratelli affinché il diavolo non vi colga oziosi); venne coniata la scomunica papale agli ecclesiastici che si ubriacavano. Se l'abate era il punto di riferimento alla vita agricola, il vescovo lo era nella società cittadina e la vite era coltivata e protetta perchè il vescovo potesse somministrare il vino a tutti i credenti. La vigna divenne così simbolo di ricchezza, venne difesa da recinti, protetta dal pascolo. Anche le popolazioni barbare, che piano piano si stanziarono nel territorio romano e si innestarono al tessuto sociale, presero in considerazione la coltivazione della vite: il mondo civile fece propria la vite assunta a simbolo dalla cristianità. Rotari, prestigioso Re longobardo, fissò nel famoso editto tutta una normativa a difesa della vite; anche Carlo Magno, re dei franchi, nel suo famoso "Capitolare..." dettò le regole per la vinificazione. Chiesa e Impero organizzarono la normativa agraria.

bicchiere vinoNel 200, Federico II di Svevia ordinò che agli adulteratori del vino venisse coniata la fustigazione e in caso di recidività, prima il taglio della mano e poi la decapitazione. Intanto, dalle campagne, il vino affluiva in città e sorsero luoghi aperti al pubblico per sorseggiare boccali di vino. La richiesta aumentò la produzione e il vignaiolo preferiva vendere il vino buono che gli consentiva ottimi affari e tenere per sè il vinello. La stessa municipalità cominciò a distribuire il vino buono per compensare lavori straordinari o nel caso di feste o cerimonie. Con il diffondersi del vino nacquero i commercianti e, oltre il taverniere, apparve il cabarettiere, che portava la sua taverna (panche e tavoli chiuse in un recinto di legno) nelle feste e nei mercati. In Francia Luigi IX concesse nel 1250 il primo status ai mercanti di vino, che in seguito si organizzarono in corporazioni. Nasceva intanto l'osteria, locale più dignitoso della taverna, ma non esisteva ancora un luogo ove si potesse, oltre che bere, mangiare. Durante il periodo delle potenze marinare, soprattutto a Venezia, ecco arrivare quel "vino greco" che aveva fatto il suo ingresso in Italia già in epoca preromana: vino dolce di uve di uve moscato o malvasia delle isole di Cipro o di Creta. Vino per l'alto prelato o per il ricco mercante che amavano vini ricercati o raffinati così diversi dall'italico. I viticultori italiani non si fecero attendere e migliaia di talee di malvasia e moscato vennero messe a dimora nella fascia mediterranea e soprattutto nel sud.

Il '500 fu un secolo significativo per la viticoltura: le idee e le conoscenze cominciarono a circolare con maggior facilità e sempre più zone vennero sottratte ai boschi per essere coltivate a vite. Proprio in questo periodo un grande studioso, Andrea Bacci, naturalista e medico di Sua Santità, autore di una "Natura Vinorum Historia" esaltava il buon vino romano: da lui veniamo a conoscenza di quali erano i vini italiani dell'epoca.

Fu nel 1600 che in Inghilterra, Re Giacomo I proibì che le vetrerie utilizzassero legno da ardere (tutela del legno boschivo che serviva per il mantenimento della flotta): i vetrai, allora, impiegarono il carbone e il vetro acquistò una notevole consistenza. Così, nel XIX secolo, dopo lunga storia, si affermò il connubio "vino-bottiglia" preceduto solo dall'esempio dello Champagne Francese. Non esisteva il tappo perfetto come quello di sughero, ma piccoli legni avvolti da stracci imbevuti nell'olio o legati da una colata di cera erano le sole chiusure di cui disponevano.

Ai primi del 700, autorizzata la vendita dello Champagne, si aprì la conoscenza dell'introduzione forzata del tappo nel collo della bottiglia. Sempre nel corso del 700, la diffusione di pubblicazioni che svolgevano temi vitivinicoli divennero sempre più numerose e diffuse, e si fecero grandi sperimentazioni soprattutto in Toscana.

L'800 rappresentò un secolo determinante per l'enologia: G. Acerbi nel trattato "Delle viti..." operò una metodica nonché scientifica classificazione dei vitigni, creando una raccolta di monografie di altri autori. Nell'atto pratico si registrano sviluppi : sia il Conte Cavour (chiamò in Italia l'enologo francese Oudart), sia i marchesi Falletti diedero vita a una nuova produzione di Barolo simile a quella attuale, mentre Boschero diffondeva in Piemonte il sistema di viticolture Guyot. In Toscana il barone Ricasoli pianificò la produzione del Chianti, mentre Carlo Gancia trapiantò le bratelle di Pinot e cominciò la produzione dello spumante classico. Il vino, pur mantenendo il suo fascino, perdeva molti suoi misteri: ad esempio la chiarificazione, che fin dall'antichità veniva praticata aggiungendo ai vini o ai mosti ingredienti che quasi per magia perdevano torbidità, veniva ora fatta capendo che le sostanze aggiunte, depositandosi, assorbivano o trascinavano meccanicamente sul fondo del recipiente le particelle solide che si trovavano in sospensione. Ma la più grande scoperta del secolo è da attribuirsi a L. Pasteur : la pastorizzazione.

Nel corso del nostro secolo si è fatto moltissimo per la coltura vinicola dal punto di vista tecnologico anche se il carattere del vino è prima di tutto determinato dall'ambiente: il clima e la composizione geologica dei terreni su cui l'uva è maturata. Un grande vino è quello che riesce a cogliere nel modo più compiuto i profumi, i colori, il sapore che madre natura ha nascosto nel chicco lucente dell'uva matura, che sa esplicitare nel liquore i misteriosi affascinanti legami fra terra e sapori.

 

Tratto da:  http://www.serenatamburini.it/it/storia_vino.htm