Le Popolazioni Leggendarie

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Se è vero che le leggende nascondano sempre un pizzico di verità, è giusto annoverare tra i primi ipotetici abitatori della Sicilia anche quelli dovuti alla mitologia omerica: Lotofagi, Ciclopi, Feaci e Lestrigoni.

 

LOTOFAGI

Secondo Erodoto (Lib. IV.177), I Lotofagi vivevano  nelle coste africane, cibandosi esclusivamente del frutto del loto;

 “Questo frutto di loto è grosso quanto una bacca di lentisco e per dolcezza è molto simile al frutto della palma: i lotofagi detraggono anche un vino”.

 

In realtà con il nome di Loto gli antichi indicarono piante assai diverse tra di loro; la più famosa era l'albero dei Lotofagi il cui frutto, secondo Omero, era così buono da far dimenticare la patria agli stranieri. Quest'albero detto "Ziziphus lotus" o piu semplicemente "giuggiolo selvaggio" ("Nzinzuli sarvaggi") è un arbusto della zona Mediterranea che cresce anche in Sicilia.

Nel IX libro dell'Odissea (vv. 82-102), si narra come Ulisse approdasse presso questo popolo dopo nove giorni di tempesta che lo portarono oltre l'isola di Citera. I Lotofagi accolsero bene i compagni di Ulisse e offrirono loro il dolce frutto del loto, unico loro alimento che però aveva la caratteristica di far perdere la memoria, per cui Ulisse dovette imbarcarli a forza e prendere subito il largo per evitare che tutto l'equipaggio, cibandosi di loto, dimenticasse la patria e volesse fermarsi in quella terra (nell'Odissea non si dice se fosse su un'isola o sulla terraferma).

In Sicilia scrittori del passato hanno ipotizzato che la sede dei Lotofagi fosse nella zona meridionale dell'isola e precisamente da Camarina fino ad Agrigento.[1]

 

CICLOPI

CICLOPI

Il popolo dei Ciclopi, ricordato anche dallo storico Tucidide (lib VI.2) è, secondo Omero, un popolo di Giganti antropofagi, forti e dediti alla pastorizia. Ciò che caratterizzava questo popolo, oltre alla grande statura, era il fatto che possedevano un unico occhio in mezzo alla fronte. Tommaso Fazello[2], parlando del popolo dei Giganti, li dipinge come dei gran cattivoni:

“Questi, confidando nella grandezza e nella forza del loro corpo, inventate le armi, facevano violenza su tutti e, schiavi dei piaceri, si procurarono ampie e lussuose dimore, strumenti musicali e ogni delizia. Erano mangiatori di uomini, si procuravano bambini non nati, e se  li preparavano per i pasti; inoltre, si univano carnalmente alle madri, alle figlie, alle sorelle, ai maschi, ai bruti. Non c’era delitto che essi non commettessero, spregiatori, quali erano, della religione e degli dei”.

Il Fazello che crede nei ciclopi chiamandoli popolo dei giganti, racconta di numerosi ritrovamenti anche in Sicilia di cadaveri di giganti, che però, una volta venuti alla luce, si riducono in polvere, non lasciando tracce se non qualche dente.

 Tra i sostenitori dell’esistenza di un popolo con le caratteristiche attribuite ai ciclopi, c'è chi afferma che all'origine della credenza che i ciclopi avessero un unico occhio, fosse l'abitudine del popolo dei ciclopi di cacciare le prede tenendo un occhio chiuso per facilitare la mira durante il lancio delle lance.

 Tra i sostenitori dell’esistenza di un popolo con le caratteristiche attribuite ai ciclopi, c'è chi afferma che all'origine della credenza che i ciclopi avessero un unico occhio, fosse l'abitudine del popolo dei ciclopi di cacciare le prede tenendo un occhio chiuso per facilitare la mira durante il lancio delle lance.

Un ipotesi recente vuole che i crani ritrovati nel passato in molte grotte dell’altopiano ibleo  e attribuiti ai Ciclopi siano invece quelli della femmina di un elefante nano, l’”Elephas falconeri” di statura non superiore ai 90 centimetri e con una conformazione particolare del cranio: il toro frontale che costituisce l’attacco della proboscide elefantina, con la tipica forma a otto orizzontale, è stato confuso con l’unico occhio dei Ciclopi[2b].  

elefante

Scheletro di "Elephas falconeri" proveniente dalla grotta di Spinagallo (Siracusa)

La loro sede era costituita dalle regioni dell'Etna ed al più famoso di essi, Polifemo, è legato uno degli episodi della leggenda di Ulisse:

Polifemo era figlio del dio Poseidone, faceva il pastore e viveva con il suo gregge in una caverna. Ulisse sbarcato in Sicilia assieme a suoi dodici compagni, gli chiese ospitalità, ma Polifemo invece di accoglierli ospitalmente li catturò con l'intenzione di divorarli, cosa che iniziò subito a fare con alcuni di loro.  A modo suo Polifemo era un personaggio di buone maniere, promise infatti a Ulisse che l'avrebbe divorato per ultimo per ringraziarlo del vino  che aveva avuto in dono. Quando il Gigante chiese all'eroe omerico, quale fosse il suo nome, l'accorto Ulisse, che aveva capito con chi aveva a che fare, gli rispose che il suo nome era Nessuno. Di notte, mentre Polifemo era addormentato sotto l'effetto del vino, Ulisse e i suoi uomini, aguzzarono un grosso palo e lo conficcarono dentro l'unico occhio del ciclope accecandolo. Polifemo gridò aiuto chiamando gli altri ciclopi, ma quando questi gli chiesero cosa stesse succedendo egli rispose che Nessuno aveva cercato di ucciderlo con l'inganno, per cui gli altri ciclopi se ne andarono. Ulisse per uscire dalla caverna senza che Polifemo se ne accorgesse, si legò sotto il ventre di un grosso montone e invitò i suoi compagni a fare altrettanto; quando la mattina Polifemo fece uscire il gregge, pur controllando i montoni non si accorse della fuga di Ulisse e i suoi compagni.

Una volta credutosi al sicuro sulla sua nave, Ulisse volle gridare il suo vero nome al Ciclope, ma la cosa per poco non  costò la vita  a lui e ai suoi compagni, in quando Polifemo un pochettino arrabbiato per lo sgarbo che gli aveva fatto Ulisse accecandolo, prese una rupe e la lanciò, riuscendo quasi a colpire, nonostante la cecità subita, la nave di Ulisse.

La tradizione popolare siciliana ha voluto mantenere in qualche modo il ricordo dei Giganti che in alcuni racconti popolari vengono visti come uomini grandissimi, mangiatori di uomini, ma, come il loro precedessore Polifemo, dotati di una minchionaggine grande non meno della loro statura[3].

Polifemo

Piazza Armerina: Villa Romana del Casale - Vestibolo di Polifemo

 

FEACI

Secondo Omero i Feaci abitavano la Sicilia nello stesso periodo dei Ciclopi con un grado di civiltà maggiore rispetto a questi ma con minore capacità combattiva, per cui per paura dei Ciclopi emigrarono assieme al loro Re Nausitoo nella Scheria, l'attuale Corfù aiutati in ciò dalla loro conoscenza dell'arte nautica. I Feaci erano infatti creduti un popolo di marinai.

Secondo gli storici Vibio Lequestro e Eustazio[4], Ipperia, che fu poi detta Camarina, era una città dei Feaci. Effettivamente l’archeologia ha dimostrato che ancora prima del 589 a.C , anno in cui si vuole che Camarina sia stata fondata da Sicuracusa, esisteva una Camarina preellenica abitata dai siculi[5].

 

LESTRIGONI

Non si racconta molto di loro salvo il fatto che erano un popolo rozzo e antropofago la cui sede era, secondo gli storici Tucidide  (lib VI.2) e Fazello[6], presso Lentini.


[1]Discorsi sopra l'antica e moderna Ragusa di Garofalo Filippo. p.3

[2] Storia di Sicilia libro primo, capitolo sesto.

[2b] Carmelo Petronio: La Sicilia: Geologia e Paleobiologia nel quaternario. In Un Ponte fra l’Italia e la Grecia – Atti del Simposio in onore di Antonino Di Vita.

[3] Giuseppe Pitrè: Usi e costumi credenze e pregiudizzi del popolo siciliano. p.204

[4] Giovanni E. Di-Blasi: Storia del Regno di Sicilia. Vol. I p.20

  Filippo Garofalo: Discorsi sopra e l'antica e moderna Ragusa. P.3

[5] Biagio Pace: Camarina p.25

[6] Tucidide: Lib. VI.2 e Fazello: Storia di Sicilia Libro terzo, capitolo secondo.

 

(Scheda redatta da: Ignazio Caloggero)

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