IL PROSCIUGAMENTO DEL TIRRENO

Interessante articolo a proposito di un ipotesi di prosciugamento del mediterraneo avvenuto circa 6 milioni di anni fa in : http://www.aiam.info/05/articoli_vdm_geologia_storia_med.htm

Nel Miocene superiore (Messiniano, circa sei Milioni di anni fa) si registra uno degli eventi più espressivi, la cosiddetta Crisi di Salinità, che in un certo senso apre la storia moderna del Mediterraneo.

Il proseguimento della spinta della zolla africana contro quella europea conduce alla chiusura dei collegamenti con l’Oceano Atlantico, il Mediterraneo resta effettivamente isolato dall’Atlantico ed il suo battesimo, per così dire, è il disseccamento. Già da qualche tempo è nota lungo l’Appennino, da Asti fino alla Sicilia, la Formazione Gessoso-Solfifera, caratterizzata da forti spessori di gessi ed evaporiti, in altre parole rocce formatesi per precipitazione chimica in condizioni di forte evaporazione. Lunghe campagne di perforazione sul fondo del Mediterraneo hanno consentito di stabilire che il volume complessivo di rocce prodottesi per evaporazione di acqua marina raggiunge un milione di km3 di volume in tutto il bacino. La situazione si è evoluta in modo complesso, vi sono state sicuramente alcune ingressioni marine minori; il bacino padano riceveva apporti fluviali e si formarono laghi dolci e salmastri. A supporto dell’ipotesi del prosciugamento vi è il dato che tutti i grandi fiumi che sfociano in Mediterraneo, dal Rodano al Nilo, hanno in realtà scavato canyon profondi fino a 2000 metri, successivamente colmati da sedimenti. Questo significa che il livello di base dell’erosione, cioè il livello del mare, doveva trovarsi 2000 metri più in basso dell’attuale.

Le evaporiti, deposte chiaramente in acque basse come dimostrano le strutture dei campioni raccolti tramite i carotaggi profondi, riempiono il fondo dei principali bacini, ma non di tutti. Nel frattempo infatti è continuata la complessa storia evolutiva delle microplacche mediterranee, con la formazione di nuovi bacini di tipo oceanico veri e propri come il Mare di Alboran ed il Tirreno Sudorientale.

Questi bacini, con piane abissali in senso stretto, sono infatti di formazione ancora più recente del Mar Ligure: possiamo quindi affermare che solo il Mediterraneo Orientale, ad est della Scarpata di Malta, sia l’erede dell’antico Oceano Tetide. Nel Pliocene basale (5 milioni di anni) la reingressione delle acque dall’Atlantico è molto rapida a scala geologica, e riporta sedimenti abissali sul fondo dei bacini. Con l’apertura del Tirreno e la progressiva elevazione delle catene appenniniche, inclusa la Sicilia, il Mediterraneo resta diviso in due settori: quello orientale risente poco degli apporti delle correnti da Gibilterra, e le parti profonde sono praticamente escluse dai sistemi di circolazione a causa dello sbarramento costituito dalla Sicilia e dal cosiddetto Plateau di Malta, distesa di rocce calcaree che sale fino agli Iblei.

Quanto i movimenti della crosta terrestre siano significativi lo suggeriscono le faune fossili trovate sulle  colline alle spalle di Messina e di Reggio Calabria: contengono infatti brachiopodi attualmente presenti nelle faune atlantiche profonde (batiale superiore, 500-1500 m di profondità). Raccolte intorno ai 3-400 metri di quota, significa che negli ultimi due milioni di anni il sollevamento è stato, come minimo, di quasi 1 km! Molto veloce quindi nel contesto di tali fenomeni. Un’altra caratteristica di queste faune è di essere caratteristiche della psicrosfera, cioè di quella fascia di ecosistemi batiali con temperature perennemente fredde, tra i cinque e gli 8°C. Dunque nel Pliocene sono entrate dalla soglia di Gibilterra, o forse da un passaggio più settentrionale poi chiuso, per scomparire nel Pleistocene (circa 1,7 milioni di anni). Una delle ipotesi avanzate è che sia conseguenza dell’instaurarsi anche a grandi profondità della termosfera, cioè di condizioni progressivamente più calde nonostante le oscillazioni climatiche che hanno portato periodi freddi. Un fattore può essere ricordato a margine di questa ipotesi: alla base del Pliocene sono iniziate le grandi oscillazioni climatiche globali, con alternanze di periodi più freddi (“ere glaciali” per usare una terminologia non del tutto corretta ma comune) e più caldi dell’attuale. Da questo momento infatti la vita nel Mediterraneo sarà fortemente condizionata dalle oscillazioni climatiche, con ingressi ed estinzioni ripetute di faune di ambiente freddo e di faune di ambiente caldo. Si trovano strati alterni con grandi popolazioni di Arctica inslandica (un mollusco bivalve, tipico di acque fredde dell’Atlantico) e Strombus bubonius (un grosso mollusco gasteropode che attualmente non vive a nord del Senegal)