Le Sacre Visite

Le sacre visite consistono in ispezioni che i Vescovi effettuano nelle parrocchie; scopo della vista è il controllo sul governo delle istituzioni ecclesiastiche e sulla condotta dei fedeli nell’ambito della diocesi. Durante le sacre visite vengono compilati tra le altre cose, gli inventari dei beni ecclesiastici, vengono esaminati vari aspetti  quali: le strutture edilizie sacre, l'osservanza o meno dei dettami Conciliari attraverso i decreti emanati dal Vescovo, la frequenza dei fedeli ai Sacramenti.

Le sacre visite, conosciute anche con il nome di “visite pastorali” hanno un’origine antichissima. La prima legge scritta sull'obbligo della sacra visita risale al Concilio di Tarragona (anno 516), disposizione poi ripetuta e meglio determinata da altri Concili. La funzione delle sacre visite entrò in crisi verso la  fine del medioevo a causa di privilegi ed esenzioni che facevano sì che molte persone e istituzioni non fossero più soggette ai controlli legati a tale istituzione.  Il XIX Concilio ecumenico di Trento (1545-1563 con interruzioni) disciplinò e ridiede vigore alle visite pastorali. Il Concilio dichiarò che la visita pastorale è dovere personale del vescovo,  da affidarsi ad altri solo se legittimamente impedito, da eseguirsi annualmente, o in caso di grosse diocesi, nell’arco di due anni. Sono soggetti alla visita del vescovo persone, cose e luoghi. Inoltre è oggetto di visita vescovile tutto ciò che serve al pubblico esercizio del culto divino: vesti e vasi sacri, i benefici, le fondazioni pie, i legati pii, i beni ecclesiastici, i luoghi sacri come chiese e oratori, pubblici e semipubblici; i luoghi pii, come ospedali, orfanotrofi e altri istituti simili.

 

Dalla SESSIONE XXIII del 15 luglio 1563) (Decreti di riforma)

Decreto di riforma.

Lo stesso santo sinodo, proseguendo la materia della riforma, dispone che nella presente sessione si debba stabilire quanto segue.

Omissis

Canone III

I patriarchi, i primati, i metropoliti e i vescovi non manchino di visitare personalmente la propria diocesi; se ne fossero legittimamente impediti, lo facciano per mezzo del loro vicario generale o di un visitatore. Se ogni anno non potessero visitarla completamente per la sua estensione, ne visitino almeno la maggior parte, in modo tale, però, che nel giro di due anni, o personalmente o per mezzo dei loro visitatori, terminino di visitarla.

I metropoliti, visitata completamente la propria diocesi, non visitino le chiese cattedrali e le diocesi dei loro comprovinciali, se non per un motivo, conosciuto e approvato nel concilio provinciale. Gli arcidiaconi, i decani e gli altri inferiori, in quelle chiese in cui fino ad ora hanno usato fare legittimamente la visita, in avvenire potranno farla solo personalmente, con un notaio e col consenso del vescovo.

Anche i visitatori che devono essere scelti dal capitolo, - dove il capitolo ha diritto di visita, - devono prima essere approvati dal vescovo. Ma non perciò il vescovo, o, se egli fosse impedito, il suo visitatore, non avranno il diritto di visitare le stesse chiese per proprio conto. Anzi gli arcidiaconi e gli altri inferiori saranno tenuti a presentargli entro un mese la relazione della visita fatta e a mostrargli le deposizioni dei testi e tutti gli atti. Ciò, non ostante qualsiasi consuetudine, anche immemorabile, qualsiasi esenzione e privilegio.

Scopo principale di tutte queste visite sia quello di portare la sana e retta dottrina, dopo aver fugato le eresie; di custodire i buoni costumi e correggere quelli corrotti; di entusiasmare il popolo, con esortazioni e ammonizioni, per la religione, la pace, la rettitudine; e di stabilire tutte quelle altre cose che, secondo il luogo, il tempo, l’occasione, e la prudenza dei visitatori, possono portare un frutto ai fedeli.

 

 

E perché queste cose possano avere più facilmente esito felice, tutti quelli che abbiamo nominato ed a cui spetta la visita, sono esortati a tenere verso tutti paterna carità e zelo cristiano. Contenti, quindi, di un numero modesto di cavalli e di servitori, cerchino di portare a termine la visita al più presto possibile e tuttavia con la dovuta diligenza. E intanto facciano in modo di non esser di peso e di aggravio a nessuno con spese inutili; e non prendano nulla, né essi, né qualcuno dei loro, come diritto di visita, anche per visite a legati per usi pii, - fuorché quello che è loro dovuto di diritto per lasciti pii, o per qualsiasi altro titolo, né denaro, né regali di qualsiasi genere, anche se in qualsiasi modo vengano offerti, non ostante qualsiasi consuetudine, anche immemorabile.

Si eccettuano, tuttavia, le spese per il vitto, che dovranno essere sostenute per loro e per quelli che li accompagnano in modo frugale e moderato, e solo per le necessità del tempo e non oltre. Si lascia tuttavia alla libera scelta di quelli che sono visitati, di dare una somma di denaro secondo quanto erano soliti pagare, ovvero di offrire il sostentamento accennato, salvo il diritto delle antiche convenzioni stabilite con i monasteri ed altri luoghi pii e con le chiese non parrocchiali, che deve rimanere intatto.

In quei luoghi e province dove vi è la consuetudine che i visitatori non ricevano né il mantenimento, né denaro, né alcun’altra cosa, ma che si faccia tutto gratuitamente, vi si osservi questa consuetudine.

Che se per caso qualcuno (Dio non voglia!) in tutti i casi suddetti osasse prendere qualche cosa di più, questi, oltre alla restituzione del doppio entro un mese, sia colpito anche con altre pene, secondo la costituzione del concilio generale di Lione Exigit (387) e con altre ancora nel sinodo provinciale, a giudizio del sinodo, senza speranza di perdono.

I patroni non pretendano in nessun modo di ingerirsi nell’amministrazione dei sacramenti; né si immischino nella visita agli ornamenti della chiesa o nei proventi dei beni immobili o delle fabbriche, se non nella misura che compete ad essi in forza della costituzione e della fondazione; attendano, invece, a queste cose i vescovi stessi. E procurino che i redditi delle fabbriche siano spesi in usi necessari ed utili per la chiesa, come ad essi sembrerà più conveniente.

 

Omissis

 Canone IX

Le norme che un tempo sono state emanate sulla diligenza che i vescovi devono usare nella visita dei benefici, anche esenti, sotto Paolo III, di felice memoria (392), e, recentemente, sotto il beatissimo signore nostro Pio IV (393), in questo stesso concilio, siano osservate anche per quanto riguarda le chiese secolari, che si dicono non essere in nessuna diocesi. Esse, quindi, saranno visitate dal vescovo, la cui chiesa cattedrale è la più vicina (se ciò risulta), altrimenti da colui, che una volta per sempre sia stato eletto nel concilio provinciale dal prelato di quel luogo, come delegato della sede apostolica. Non ostante qualsiasi privilegio e consuetudine, anche immemorabile.

Canone X

Perché i vescovi possano mantenere più facilmente nella sottomissione e nell’obbedienza il popolo che essi governano, in tutto ciò che riguarda la visita e la correzione dei costumi dei loro sudditi, abbiano il diritto e il potere - anche come delegati della sede apostolica - di comandare, regolare, punire ed eseguire, conforme alle norme dei sacri canoni, quelle cose che, secondo la loro prudenza, sembreranno loro necessarie all’emendazione e all’utilità dei loro sudditi.

In quei problemi, inoltre, che riguardano la visita o la correzione dei costumi (394), né l’esenzione, né proibizione alcuna, né appello o querela, anche se interposta presso la sede apostolica, potranno impedire o sospendere in alcun modo l’esecuzione di quanto è stato da loro comandato, stabilito, giudicato.

Canone XI

Poiché si deve costatare che i privilegi e le esenzioni, che per vari motivi vengono concessi a molti, producono oggi una certa confusione nella giurisdizione dei vescovi, e danno agli esenti occasione di una vita rilassata, il santo sinodo dispone che, se qualche volta si crederà opportuno per motivi giusti, gravi, e in qualche modo necessari, insignire qualcuno dei titoli d’onore del protonotariato, dell’accolitato, di conte palatino, di cappellano del re, e di altri titoli simili, sia nella curia romana che fuori di essa; e così pure oblati o come addetti a qualche monastero o col nome di inservienti delle milizie o dei monasteri, degli ospedali, dei collegi, o con qualsiasi altro titolo, si deve ritenere che con questi privilegi in nulla si detrae agli ordinari. Sicché quelli cui sono stati già concessi o verranno concessi in futuro tali privilegi, saranno pienamente soggetti in ogni cosa agli stessi ordinari, come delegati delle sede apostolica, e per quanto riguarda i cappellani regi, secondo la costituzione di Innocenzo III Cum capella (395). Saranno eccettuati coloro che attualmente servono nei luoghi predetti o prestano servizio nelle stesse milizie e risiedono nei loro recinti e case, e vivono sotto la loro obbedienza, e anche quelli che legittimamente e secondo la regola delle stesse milizie abbiano fatto la professione che, però, deve constare all’ordinario.

Tutto ciò, non ostante qualsiasi privilegio, anche dell’ordine di S. Giovanni di Gerusalemme e di altre milizie.

Quanto ai privilegi che sogliono competere a quelli che risiedono nella curia romana in forza della costituzione di Eugenio (396) o della loro appartenenza alla casa di cardinali, essi non riguardano quelli che hanno dei benefici ecclesiastici; a motivo di questi benefici costoro restino soggetti alla giurisdizione degli ordinari. Non ostante qualsiasi proibizione