MELCHIORRE TRIGILIA I VIAGGI ED I LUOGHI DI ULISSE IN SICILIA Se l'argomento è di tuo gradimento aiutaci a divulgarlo tramite Facebook, Twitter o altri strumenti di social Network: |
PARTE QUARTA
ULISSE AGLI INFERI CON TIRESIA – VASO GRECO DEL IV SEC. A.C.
J. H. FUSSLI – L’ANIMA DI TIRESIA APPARE AD ODISSEO
Passato un anno, Ulisse riparte e dopo esser approdato nel misterioso paese dei Cimmeri, scende negli Inferi, nel regno di Plutone. Gli inferi vengono dagli antichi romani localizzati a Cuma presso il lago Averno, nelle cui vicine cavità sotterranee vivevano i Cimmeri. Di lì pure era passato Enea per visitare il Tartaro, guidato dalla Sibilla Cumana, custode del sacro bosco (Eforo, in Strab. V,243s. V,22; Ps. Scymn. 249-51; Diod. IV,22,2; Dio. Cass. XLVIII,56,4; Plin. 31,21; Virg., En. 3,441. 6, 42ss. 126ss.; Serv. Ad En. 6,107; Ovid. Metam., 14,101ss.).
Riguardo alla topografia degli Inferi, l’oltretomba viene localizzato nell’Iliade (9,20-22) nel più profondo della terra: invece nell’Odissea (X,508ss.; XI,13ss.) Ulisse, con la sua nave, “spinto dal vento Borea (Nord), dopo aver “traversato l’Oceano”, “arrivato ai suoi confini”, sbarca in una “bassa spiaggia, vicino alla quale ci sono i boschi sacri a Persefone. Secondo la mitologia, Oceano era figlio del cielo e della terra, padre delle oceanine e delle divinità fluviali; in Omero (nell’Odissea è citato ben sedici volte in dieci libri) è un fiume che cinge la terra. E’ lì la terra dei Cimmeri, avvolta da nebbia e nubi dove non splende il sole e regna la notte; vi scorrono quattro fiumi: “Qui in Acheronte il Pirifligetonte si getta e il Cocito, ch’è un braccio dell’acqua di Stige” (Od., 513s.). Certamente il luogo degli inferi è nel racconto di Ulisse collegato col mito del ratto di Persefone-Proserpina-Core figlia di Demetra, dea delle messi, da parte di Ade-Plutone. Il luogo del rapimento, vagamente designato vicino all’Oceano (in Esiodo e qui in Omero) è determinato in relazione all’idea che la dimora di Ade-Plutone doveva trovarsi in cavità oscure e sotterranee, e che Persefone, quando fu rapita, conduceva con la madre vita gioconda in ameni prati fioriti e boschetti (i “boschi sacri e gli alti pioppi e salici” di Od. X, 509s.). E così si indica-
vano posti nei quali alla vaghezza del suolo e della vegetazione si accompagnavano e facevano contrasto coste e fianchi di monti dirupati con profonde e oscure grotte e torrenti precipitanti in abissi sotto terra. Da queste voragini o bocche dell’Ade, s’immaginava fosse apparso fuori Plutone per rapire la bella fanciulla e farla sua sposa.
Paesaggi siffatti si indicavano in molteplici luoghi della Grecia, di Creta e anche della Magna Grecia e della Sicilia, ad Enna e a Siracusa. E secondo noi, la descrizione dell’Odissea meglio corrisponde proprio alla zona del Porto Grande di Siracusa! Lì infatti era localizzato il culto di Demetra, Core e Plutone; lì scorrono e sboccano a mare due fiumi Anapo e Ciane, lungo il cui corso c’è una ricca flora ripale con “pioppi e salici” e che ricevono, non lontano dalla foce, un affluente ciascuno, oggi chiamati Spampinato e Cavadonna: e l’Anapo, in alcuni tratti sprofonda sottoterra rendendosi invisibile, come dice il suo nome: proprio come i quattro fiumi dell’Odissea! Invece nella detta zona di Cuma non ci sono fiumi ma due laghi, l’Averno e il Fusano e Omero non parla di laghi! Inoltre in questa zona ci sono spiagge e scogliere dirupate; ed anche grotte profonde (Pellegrina, Palombara, Monello e altre), oscure, dove gli uomini si rifugiavano dal paleolitico in poi. In esse quindi potevano vivere nascosti i Cimmeri, tribù indigene da non confondere coi Cimmeri, popoli nomadi indoeuropei che, intorno al 750 a. C., si spinsero dalla Crimea verso l’Asia Minore e l’Assiria.
Nell’Ade l’indovino Tiresia lo informa dei suoi casi futuri e come evitare i pericoli. “Tutti del mar vinti i perigli”, egli vaticina, “approderai col ben formato legno alla verde Trinacria Isola, in cui pascon del Sol, che tutto vede ed ode, i nitidi mon-
toni e i buoi lucenti….”. Lo ammonisce a non toccare i sacri buoi, pena gravi sciagure.
Nel libro XII Ulisse, “lasciata la corrente del fiume Oceano”, ritorna nell’isola di Circe, dov’è il levarsi del sole” e spinge la nave sulla sabbia (vv. 1-5). Data la facilità del viaggio di andata e ritorno, il luogo degli Inferi non poteva essere molto distante dalla sede della dea maga. Circe gli conferma le predizioni e gli ammonimenti di Tiresia: dopo aver superato le insidie delle Sirene e di Scilla e Cariddi, “allor incontro ti vedrai le belle spiaggie della Trinacria isola, dove pasce il gregge del Sol, pasce l’armento:….se giovenca molestate od agna, sterminio a te predico, e al legno e a’ tuoi”.
ULISSE E LE SIRENE – MOSAICO DEL II SEC. D.C. TUNISI MUSEO DEL BARDO
ULISSE E LE SIRENE – VASO GRECO DEL IV SEC. A.C., BRITISH MUSEUM
ODISSEO E LE SIRENE – CRATERE DA PAESTUM 330 a.C. ca. BERLINO MUSEO DI STATO
J. W. WATERHAUSE – ULISSE E LE SIRENE
Infatti l’eroe riparte e vince prima il pericolo delle Sirene. La loro sede, non determinata nei poemi omerici (in Od. 12,45 e 158 è detto solo che stanno in una prateria), fu fissata nella penisola Sorrentina e le loro tombe in Campania; quella della Sirena Partenope nel sito della futura Napoli, la città Partenopea. Famoso centro del loro culto era il tempio delle Sirene che sorgeva vicino Sorrento, in correlazione forse con la difficoltà di navigazione delle bocche di Capri, dove ci sono gli scogli detti Li Galli, identificati con le isolette Sirene o Sirenuse (Strab. V,247:.251; VI,252,3; Tolomeo, III,1,79; Pomp. Mela, II, 4, 69; Steph.Byz., s.v. ecc.)
Altri antichi autori però, tenuto conto che dal racconto omerico risulta che la distanza della sede delle Sirene da Scilla e Cariddi è breve mentre dalla penisola Sorrentina è di circa 280 Km., indicano il Capo Peloro o l’Etna, Catania, Capo Posidonio, ov’era localizzato il culto delle Sirene Terina e Ligea (ancora Strab. I,22; Stat. Silv., II,2,116; Seneca, Herc., 188; Serv. Ad En. V, 864. Nonno, XII, 312 indica le vicinanze di Catania).
Ulisse supera, evitandole, le “rupi erranti” (Od. XII, 61. XXIII, 327), che sono identificate con gli scogli delle Isole Eolie (Tim. in Schol. Ad Apoll. Rhod., IV,786; Justin., IV, 1,18-18). Un elemento importante per l’identificazione può essere la “furia del fuoco mortale” di XII,68 e il “fumo e rombo” di v.202 e ancora il “fumo” di v. 209, segni sicuri dell’attività vulcanica, dell’isola di Vulcano (Columba), o più probabilmente lo Stromboli, col suo fumo e i suoi boati, ancora attivo ai nostri giorni.
In Apollodoro (4,760 ss.) Era dice a Giasone di recarsi con la nave Argo “dove i duri martelli di Efesto battono sulle incudini…”; e dopo da “Eolo, il signore dei venti”: Invero l’officina di Efesto nell’Iliade (18,369-71) è nell’Oiimpo, ma da altri è collocata nelle Eolie (Tuc. 3,80; Pitea di Marsiglia (fr. 15 (Mette); Callimaco Himn. 3,46-49), oppure nell’Etna (Call., Himn. 4,141-46, Antioco in Paus. X,11,3; Ps. Scymn., 253-263; Diod. IV,67,6; Dion. Per. 461-66; Eustath., ad loc.). Strabone (6,9) dice: “Tra Lipari e la Sicilia c’è l’isola sacra ad Efesto… Ha tre bocche eruttive. Dalla maggiore le fiamme emettono anche masse incandescenti che hanno già coperto molta parte del canale. Si sa che queste fiamme, sia a Thermessa [l’isola Vulcano] che sull’Etna, vengono stimolate dal soffio dei venti… Polibio (34,11,12-20) dice che quando sta per soffiare il Noto [vento del Nord] una fosca caligine si spande tutt’intorno all’isola, cosicché da lontano non si vede la Sicilia; quando invece soffia Borea, dal suddetto cratere si levano in alto fiamme molto chiare con fragori molto forti… Perciò il passo di Omero (Od. 10,21) che fa Eolo dispensatore dei venti è una verità travestita da enigma. Dicono che a Strongyle [Stromboli] abbia abitato Eolo…”. Non è possibile confondere né in Omero né in Apollonio le “Plancte” (rupi o scogli vaganti) con le Simplegadi del mar Nero, che sono simili ma sono state superate da Giasone nel viaggio di andata verso la Colchide, con la protezione di Atena. In Argonauti 4, 785ss., Era, non Atena, dice: “Io li ho salvati nel passaggio attraverso le Plancte, dove ruggono orrende tempeste di fuoco ed i marosi schiumano sugli aspri scogli”.
IGNOTO FIAMMINGO DEL XVII SEC. – STRETTO DI MESSINA CON CARIDDI E SCILLA, 1686.
IGNOTO MESSINESE XVIII SEC., SCYLLA ET CHARYBDIS
G. A. MONTORSOLI – SCILLA, 1554-57, MARMO
JOHN HENRICH FUSSLI – ULISSE SCILLA E CARIDDI
ULISSE E SCILLA (MUSEO DI SPERLONGA)
ULISSE SCILLA E CARIDDI (MUSEO DI SPERLONGA)
Scilla e Cariddi, da tutti, antichi e moderni, identificate con lo stretto di Messina, sono espressamente indicate tre volte nel poema: quando Circe gli indica il pericoloso passaggio (XII,73 - 125), quando le oltrepassa (Od. 12,234ss. XXIII, 327s.) e quando naufrago, dopo che la sua nave è affondata da Zeus per l’uccisione delle vacche sacre, è spinto indietro dal vento Noto (vento del Sud), e in una sola notte giunge vicino a Scilla (XII, 426-446).
Ma bisogna rilevare che già altre volte Ulisse aveva superato lo stretto! Una prima volta quando passa dall’isola delle Capre e dalla terra dei Ciclopi all’isola Eolia (IX, 565 e X,1); una seconda quando parte dall’isola di Eolo e dopo nove giorni giunge vicino Itaca (X,26s.); una terza quando, per la furia dei venti vi fa ritorno, a meno che, cosa inverosimile, non abbia fatto per due volte il periplo della Sicilia! E ancora una quarta volta quando da Eolo, dopo sei dì e notti giunge dai Lestrigoni (se questi sono da collocare nella piana di Catania). In totale dunque ben sei volte Ulisse giunge allo Stretto di Messina!
Evidentemente, nell’elaborazione poetica e mitologica, Omero ha omesso, modificato e aggiunto di suo al periplo di Ulisse!
Ma, se invece collochiamo l’isola Aiea nel sud della Sicilia e le Sirene nei pressi dell’Etna secondo alcune citate antiche testimonianze, come si spiega la successione Sirene, rupi erranti, Scilla e Cariddi? Se l’officina di Efesto, il fuoco, il fumo e il rombo vanno riferiti all’Etna invece che a Vulcano o Stromboli, si può ammettere che anche le “planctai” o rupi erranti siano da identificare non con le stesse grandi isole eolie ma con i cosiddetti “scogli dei ciclopi” nei pressi di Acitrezza, che la tradizione locale in modo favoloso considera i massi lanciati da Polifemo contro la nave di Ulisse in fuga. Invero sono di origine vulcanica e si sono formati durante le eruzioni
anche in tempi storici e questo potrebbe spiegare perché da Omero sono detti “erranti”.
D’altronde ci si può chiedere come mai solo dopo gli avvisi di Circe Ulisse va verso Scilla e Cariddi e non riceve gli stessi avvertimenti da Eolo per superarre il pericoloso stretto nel suo precedente viaggio verso Itaca!
Ma ritorniamo al racconto di Odisseo. Superate Scilla e Cariddi, gli appare l’Isola del Sole.
In Apollodoro degli Argonauti è detto (4, 789s.): “Adesso li attende una strada fra la grande rupe di Scilla e Cariddi, che manda uno spaventoso muggito”. E’ Teti con le Nereidi che devono proteggerli dalle “rocce e gli immensi marosi …perché non si gettino dentro a Cariddi che li inghiottirebbe…e perché neppure passino accanto all’odioso antro di Scilla, la terribile Scilla Ausonia”. Nei vv. 925-29 viene descritto il pericoloso passaggio: “Da un lato sporgeva lo scoglio liscio di Scilla, dall’altro rumoreggiava Cariddi con scrosci infiniti; altrove ruggivano, sotto gli enormi marosi, le Plancte, e là dove prima era scaturita la fiamma dalla cima degli scogli, sopra la roccia infuocata, l’aria era scura dal fumo e non si vedevano i raggi del sole. E anche allora, sebbene Efesto avesse smesso il lavoro, il mare esalava un caldo vapore.” Conferma Strabone che scrive (6,3): ”Poco lontano dalla città [Messina] sullo stretto, si può vedere Cariddi, gola assai profonda nella quale le navi sono tratte giù facilmente dalle correnti che vi rifluiscono e vengono travolte al centro di un formidabile gorgo e inghiottite e distrutte.”
Concordano altri autori antichi: Ecateo presso Stefano Bizantino; Tucidite, IV,24,5; Platone, Epist. VII,345; Tzetze, ad Lycophr., 47, ecc.
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