MELCHIORRE TRIGILIA

 I VIAGGI ED I LUOGHI DI ULISSE IN SICILIA

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OMERO -  II A.C.                                           ULISSE – II SEC. A. C. –

ROMA MUSEI CAPITOLINI                     MUSEO DI SPERLONGA

 

Premessa:

 L'opera viene pubblicata su autorizzazione del Prof. Melchiorre Trigilia che ne mantiene i diritti di autore. E' vietata qualsiasi riproduzione senza l'autorizzazione esplicita dell'autore Melchiorre Trigilia.

 

Sommario

PARTE PRIMA

I VIAGGI DI ULISSE IN SICILIA.. 4

 

PARTE SECONDA

LA NARRAZIONE OMERICA.. 11

L’ETNA E I CICLOPI 16

 

PARTE TERZA

LE EOLIE. 20

I LESTRIGONI 21

L’ISOLA DI CIRCE. 23

L’ERBA MOLU , L’ISOLA AIEA, L’ISOLA DEI PORRI, CIRICA E LE SECCHE DI CIRCE. 25

 

PARTE QUARTA

DISCESA AGLI INFERI 29

LE SIRENE. 32

LE RUPI ERRANTI 34

SCILLA E CARIDDI 35

 

PARTE QUINTA

LO SBARCO A PORTO ULISSE. 40

L’ISOLA DI OGIGIA E CALIPSO.. 43

ULISSE ED ENEA.. 46

LE CARTE GEOGRAFICHE. 48

 

APPENDICE

L’ ANTICA CITTA’ ODISSEA.. 52

IL MITO DI ULISSE IN OMERO, VIRGILIO, OVIDIO E DANTE. 54

 

 

 

I VIAGGI DI ULISSE IN SICILIA

   La localizzazione dei viaggi di Ulisse in Sicilia, nella “Trinacria, l’Isola del Sole”, come è detto più volte nell’Odissea, risale, secondo Eratostene (3° sec. a.C., biblio-tecario di Alessandria), ad Esiodo (VIII sec. a. C.), che aveva raccolto questa tradizione, la quale nella seconda metà del sec. V era diffusa sia fra i Greci del continente che fra i Sicilioti, come confermano Tucidite, Euripide, Platone, Plutarco, Diodoro Siculo, Polibio. Cariddi veniva posta nello Stretto di Messina, le isole del gruppo di Lipari ricevevano il nome di Eolie, cioè isole di Eolo, dio dei venti, la regione dell’Etna era considerata la terra dei Ciclopi e di Polifemo e nel territorio di Catania era cercata la terra dei Lestrigoni (cfr. G. M. Columba, La Sicilia e l’Odissea, in “Miscellanea Salinas”, pp. 227ss., Palermo 1907). La Trinachia o Trinakria (Triquetra per i Romani) era identificata con la Sicilia, chiamata prima appunto Trinakria e poi Sicania e Sicilia, quando vi giunsero prima i Sicani e poi i Siculi. Dice Strabone (6,2): “La Sicilia ha forma triangolare e per questo fu dapprima chiamata Trinacria e poi, modificando il nome per ragioni di eufonia, Trinachia”. Evidentemente il nome Trinacria fu dato dai primi naviganti, Egizi, Fenici e soprattutto Micenei, che solcavano il Mediterraneo prima di Omero e avevano circumnavigato e rilevato la forma triangolare coi tre capi (“acra” in greco), Pachino, Peloro e Lilibeo. Secondo Tucidite (VI,1,2) il periplo della Sicilia si compiva in meno di otto giorni. Già dal XIII sec. a. C., i navigatori micenei venivano in Sicilia. I punti di approdo più vicini, ad Occidente di fronte alla Grecia, sono il seno di Augusta e Siracusa e nella costa meridionale la zona di Agrigento e di Gela e anche l’ampio porto Ulisse vicino a Capo Pachino. E’ importante rilevare che, come confermano i manufatti micenei rinvenuti dagli archeologi, le  zone di influenza della civiltà acheo-micenea, per

gli scambi commerciali con le popolazioni locali, si limitavano ad alcune parti della Calabria, dalla penisola salentina in giù, e a tutta la costa orientale e sud-est della Sicilia; e alla civiltà acheo-micenea  appartiene  l’Ulisse  omerico.  All’azione  micenea subentra, dall’ VIII sec. in poi, quella propriamente greca che, sempre più vasta e profonda, culmina nella colonizzazione..

   In Sicilia dunque, dobbiamo cercare anzitutto i luoghi di Ulisse, anche se numerosi altri siti, nel nord-Africa, in Italia, in Iberia e fino alle Colonne d’Ercole e oltre, sono stati e sono indicati, dalla tradizione postomerica fino ai nostri giorni, come luoghi visitati da Ulisse.

   Invero sulla geografia dell’Odissea sia gli studiosi antichi che i moderni si dividono in due scuole: gli Stoici, con Polibio e Strabone sono del parere che i viaggi di Ulisse sono descritti con cognizione dei paesi d’Occidente, anche se vengono aggiunti elementi fantastici e mitologici, misti ad errori e licenze poetiche. All’opposto Eratostene ed altri pochi negarono e negano ogni valore geografico, all’infuori della Grecia, e relegano tutto o quasi nella creazione fantastica del poeta.

   Non si può negare però che le descrizioni degli episodi e dei posti visitati da Ulisse corrisponde in larga misura allo stato dei luoghi nei tempi attuali o nel passato, che perciò è possibile localizzare con un paziente lavoro di confronto e ricerca delle antiche testimonianze. Spesso però queste identificazioni sono discordanti, sia  negli  antichi  autori che nei moderni studiosi e restano solo ipotesi non certezze! In diversi episodi la descrizione omerica è comunque così dettagliata e con tanti particolari che non è possibile attribuirla alla sola immaginazione del poeta, ma bisogna supporre che egli possedeva delle indicazioni dettagliate sul bacino occidentale del  Mediterraneo,  specie  sull’Italia  e  la  Sicilia più vicine alla Grecia.

   Certo notizie geografiche, etnografiche e topografiche non mancano nei poemi omerici, anche se Omero trasfigura poeticamente luoghi e genti. Vi si possono riscontrare le tracce sicure dei peripli e delle periegesi con gli itinerari marittimi già in uso in età micenea, fin dalle origini della navigazione di cabotaggio. Ne sono prova le descrizioni accurate della morfologia  delle  coste,  con spiagge adatte all’approdo o ripide scogliere, promontori, golfi, isole adiacenti, foci di fiumi, boschi, porti etc.; inoltre le distanze marine sono misurate in giorni di navigazione come nei peripli.

   Su questi ed altri elementi reali, derivati da notizie portate da navigatori e commercianti, e basati sui primi peripli già redatti al suo tempo, si basa la narrazione dei viaggi di Ulisse, la cui esistenza e verità è al confine fra il mito, la grande fantasia del poeta Omero e la realtà.

 

 

LA NAVE DI ULISSE – VASO GRECO DEL IV SEC. CA. A. C.

 

LA NAVE DI ULISSE (RICOSTRUZIONE)

In conclusione sembra anche a noi verosimile, e non “un assunto arbitrario”, che il redattore dell’Odissea, che poetava nella metà del sec. VIII, avesse una discreta conoscenza della Sicilia e tenesse presente e descrivesse, anche se talvolta in modo approssimativo, i luoghi delle vicende da lui narrate  nei  mari occidentali; e i primi coloni greci, dopo qualche decennio da lui, talora credettero di riconoscere questi posti errando, talaltra invece accreditarono e confermarono l’identificazione. Ed anche gli indigeni Siculi, conosciuti questi racconti amarono glorificare le proprie origini, collegandoli col mito di Ulisse. La testimonianza più autorevole è quella di Tucidite (V sec. a.C.). Nella sua Guerra del Peloponneso, 6, sulla base delle “memorie poetiche” (Omero) e dell’opinione di diversi autori, egli afferma che i popoli più antichi della Sicilia furono i Ciclopi e i Lestrigoni. Subito dopo vi si  stabilirono i Sicani, che non erano indigeni, come dicono alcuni, ma provenivano dall’Iberia. Furono loro a mutare il nome dell’isola da Trinacria a Sicania. Poi giunsero i Siculi, provenendo dall’Italia, che sconfissero i Sicani e occuparono i territori migliori per circa 300 anni prima della venuta dei Greci (VIII sec.). Dopo aggiunge: “L’intera costa della Sicilia era punteggiata di stazioni fenicie, che si attestarono di preferenza sui promontori lambiti dal mare e sugli isolotti prossimi alla riva, punti utili per la loro rete commerciale. Ma più tardi, quando a fitte ondate presero a sbarcarvi i Greci da oltremare, sgombrarono tutte le proprie sedi riservandosi solo Mozia, Solunto e Panormo”. In IV,24,5, scrive:  “Lo  stretto  (di Messina)  ebbe  nome Cariddi e si narra che Odisseo con la sua nave vi abbia transitato.”

   Abbiamo pieno riscontro nella stessa Odissea. La Trinachia, isola del sole, vi è nominata quattro volte (XI, 107; XII, 127,135; XIX,275). Siculi e Sicania sono messi in relazione col mondo greco in particolare per il commercio degli schiavi. In XX, 383, uno dei Proci consiglia a Telemaco di mandare su una nave i due ospiti “dai Siculi che ce ne venga buon prezzo.” In XXIV, 307, l’accorto Odisseo dice che “un demone l’ha deviato dalla Sicania”. E dalla Sicilia veniva la vecchia “donna sicula, moglie di Dolfo e serva di Laerte (XXIV, 210,366,389.). A ragione perciò il Columba (p. 228-30) respinge l’opinione insostenibile di coloro che negano l’evidenza di questa identificazione e che Ulisse sia giunto  in  Sicilia.  E’ infatti  “inverosimile che il poeta abbia inventato di suo capo” i nomi di un popolo e di una terra realmente esistiti! Il Wilamowitz-Moellendorff identifica invece la Trinacria col Peloponneso (che non è isola!) e pone i Lotofagi, i Ciclopi e Polifemo in Africa.

   Anche Eumeo, il fedele porcaro schiavo di Laerte, secondo noi,  proveniva  dalla  Sicilia.  In XV, (403ss. 474ss.), egli dice:

Siria chiamano un’isola sotto  Ortigia, dov’è il calar del sole… ricca  di  vacche,  greggi,. viti, grano. La sua gente viveva felice…”.

   Una conferma la abbiamo dal passo dell’Eneide virgiliana (III, 692-94): “Protesa nel golfo Sicanio (Sicanio praetenta sinu) un’isola giace davanti al Plemmirio ondoso: gli antichi le diedero nome Ortigia”

   Il Wichen intende per Siria Siracusa e noi accettiamo quest’ipotesi. Infatti l’esplorazione archeologica degli ultimi anni ha confermato la presenza umana nell’isola di Ortigia fin dal sec. XIV a. C., cioè prima dei tempi omerici. Dopo Omero e i viaggi di Ulisse, nell’VIII sec.a.C. l’abitato indigeno viene sostituito da una nuova fondazione ad opera di un gruppo di Corinzi. A questo nuovo insediamento, fin dall’inizio, viene dato il nome di Siracusa dalla vicina palude Syraka  (cfr. Gui                             da d’Italia – Sicilia, T.C.I. 1989, p. 578). I due nomi, Siria e Siraka e Ortigia sono identici! Il territorio circostante, che si trova in Occidente, al calar del sole, era “ricco di vacche, greggi, viti, grano”, e gli indigeni non erano barbari  e  rozzi,  ma  vive-vano  felici,  godevano  buona salute e morivano di vecchiaia. Le due parti in cui era diviso il regno del padre di Eumeo corrispondono ai due quartieri di Tiche e Acradina, di fronte ai due porti, piccolo e grande, “sotto l’isola di Ortigia”, che vi sta in mezzo. Nel testo omerico c’è solo un facile scambio: “Siria isola sotto Ortigia” per “Siria paese sotto l’isola Ortigia”.

   V. e J. Berard invece propendono per due isole delle Cicladi, Siros e Delo. Ipotesi non accettabile perché esse si trovano ad oriente e non “al calar del sole” rispetto a Itaca; sono di piccole dimensioni  e  non  certo così ricche di armenti, greggi e colture.

   I pirati fenici sbarcavano nelle sue coste e rapivano donne e fanciulli che vendevano come schiavi: come appunto era accaduto alla serva e ad Eumeo, entrambi schiavi di Laerte, rapiti in gioventù e ormai anziani! (v. dopo “Ortigia e Ogigia”).

   Nella letteratura alessandrina, l’identità fra Sicilia e terra dei Ciclopi  diventerà  poi  un  luogo  comune  ed offrirà corso a sempre nuove elaborazioni. Numerose sono le tradizioni e leggende post omeriche che arricchiscono i viaggi, i fatti, i luoghi e i personaggi dell’Odissea, aggiungendo anche nuovi dettagli ed episodi; non è certo tutto leggenda e invenzione fantastica, ma non è facile discernere il nucleo di verità geografica e storica. La più antica testimonianza riguardante il nostro litorale, in particolare Porto Ulisse, è quella di Licofrone, tragico ed erudito greco del III a. C., che nella sua Alessandra (vv. 1028-1033; 1174-1188) dice: “L’onda sicana che le  sfrega  intorno, proprio  accanto  al  Pachino,  traccia il segno sull’alto promontorio, a cui il figlio di Sisifo [Ulisse] in futuro darà il nome; santuario della Vergine Longatide, di eccelsa fama, nel punto in cui l’Eloro riversa la sua gelida corrente.” E dopo: “Lo scoglio insulare del Pachino avrà un  cenotafio venerato  di  colei   che  è  sepolta dinanzi alle correnti dell’Eloro, eretto dalle braccia del signore [Ulisse], a seguito di un sogno. Egli, atterrito dall’ira della dea dai tre colli, poiché fu lui a lanciare il primo sasso della lapidazione, vicino alle rive,  per la sventurata, farà le libagioni  e offrirà le primizie del sacrificio ad Ade dei neri flutti”.

   Giovanni Tzetze (XII sec. d. C.), nello scolio ad loc. così commenta i citati due passi. “Ora bisogna parlare del Promontorio chiamato Odisseo. Ulisse nel Chersoneso per primo aveva  gettato  pietre  contro  Ecuba; errando  in Sicilia fu

atterrito in sogno e perciò costruì un tempio ad Ecate e un cenotafio a Ecuba. Ecate appare come spettro terrificante coi piedi in aria, attorniata da serpenti e mostruosa. Egli chiamò il promontorio col suo nome “ Capo Odisseo”, mentre prima si chiamava “Cacra”;  esso  è  vicino  a  Pachino”. Al secondo passo citato così annota: “Scoglio insulare. E’ il promontorio di Sicilia che chiamano Pachino, dove Ulisse eresse un cenotafio a Ecuba, essendo da lei atterrito durante le notti, perché, quando venne lapidata dai Greci, egli lanciò la prima pietra”. “Dunque”, conclude Philip Cluver (Cluverio) (Sicilia anti-qua,1619), “nel porto del promontorio di Ulisse ci fu un tempio dedicato a Ecate e il cenotafio di Ecuba; e da ciò si deduce la fama dello stesso porto.”  Molto importante è la possibile relazione etimologica fra Longatide e Longarini. Lo studioso modicano E. Ciaceri mette in relazione il culto di Atena Longatide, nel passo citato di Licofrone, col castello di Longone, nella costa catanese, al quale successe poi il cd. Porto di Lognina o Ognina, dove un tempo fu il porto di Ulisse, di cui parla Plinio. Ma secondo noi è assai più verosimile il legame fonetico-etimologico Longatide-Longarine-Longarini. Il nome del nostro pantano deriverebbe perciò dal soprannome della dea Atena. Un’altra conferma dell’identi-ficazione del sito è data dal nome “Cuba” dell’altro pantano vicino al Longarini, dove il Fazello, su una collinetta, dice di aver rinvenuto antiche rovine, comprendenti forse anche il cenotafio della moglie di Priamo; non pare infatti che ci possano essere dubbi che derivi da Ecuba.

 

 

IL PANTANO CUBA (da ECUBA!)

 

IL PANTANO LONGARINI (da ATENA LONGATIDE!)

 

   C’è poi un altro possibile interessante riferimento dell’Odissea al nostro territorio. Lo storico Giambattista Caruso, nelle sue Memorie storiche della Sicilia del 1716 riguardo al “Capo di Marzo”, seguendo il Cluverio, così dice: “Conservasi invero per lungo tempo la memoria ed il nome di Ulisse in più luoghi della nostra Isola; poiché quel Promontorio che capo di Marzo oggi è detto si disse un tempo Promontorio di Ulisse e Porto di Ulisse ancora quel seno che è lì vicino; e quivi ancora è fama che fosse fabbricato da lui un altare e poscia un tempio alla dea Ecate.” Aggiunge poi:” “Né è inverosimile ancora che gli armenti del Sole sì celebri nella favola dell’Odissea fossero quelli del Contado di Modica, così vicino al porto e promontorio suddetto”.

 

MELCHIORRE TRIGILIA: I VIAGGI E I LUOGHI DI SICILIA

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