MELCHIORRE TRIGILIA I VIAGGI ED I LUOGHI DI ULISSE IN SICILIA Se l'argomento è di tuo gradimento aiutaci a divulgarlo tramite Facebook, Twitter o altri strumenti di social Network: |
PARTE QUINTA
CAPO DE MARZA (PROMONTORIO DI ULISSE)
DISEGNO DA WILLIAM SHELLINKS, JOURNEY TO THE SOUTH, 1664-65
LA SCOGLIERA DELLA MARZA CON LE GROTTE ORMAI CROLLATE
L’AMPIO PORTO ULISSE - (AI TEMPI DI ULISSE IL MARE PENETRAVA FINO AL PANTANO LONGARINI)
IL LATO EST DI PORTO ULISSE VISTO DA PUNTA CASTELLAZZO (PROMONTORIO DI ULISSE)
Ulisse vorrebbe evitare le coste della Sicilia, ma i suoi compagni vogliono approdare per non incorrere, specie di notte, nelle tempeste e nei disastrosi venti: “Come sfuggire all’abisso di morte, se a un tratto ci coglie una furia di vento di Noto [Mezzogiorno – Sud] o di Zefiro urlante [Vento Occidentale, Ponente dritto che in estate diventa frequente], quelli che peggio di tutti sconquassano i legni…?”, dice Euriloco (XII, 287-90).
Importante questo riferimento ai venti di Mezzogiorno e di Ponente che sono proprio quelli che dominano nel nostro versante e causano spesso violente tempeste. Nel versante ionico invece domina il levante e lo scirocco; le navi dunque avevano superato il Capo Pachino e si trovavano nel nostro litorale! Ulisse cede e decide di approdare al calar del sole; “Ancorammo nel porto profondo la nave vicino a un’acqua dolce e i compagni scesero dalla nave e prepararono con cura la cena“ (vv. 305-307).. Rientrati nelle navi, quando erano passati i due terzi della notte, il cielo diventò minaccioso, come spesso capita nel nostro litorale. “Declinavan le stelle, quando il cinto di nembi Olimpio Giove destò un gagliardo turbinoso vento, che la terra coverse ed il mar di nubi, e la notte di cielo a piombo cadde.”(312-15). Ma, al sorgere dell’Aurora il cielo si rasserenò, “tirammo a secco il legno ed in cavo speco, dei seggi ornato delle Ninfe, ch’ivi i lor balli tessean, l’introducemmo”.
Ebbene questo porto può ben essere ancora il nostro Porto Ulisse, come confermano il nome e le fonti antiche! La sorgente poteva essere il fiumicello che allora dai pantani sboccava a mare. Invero l’ampia spiaggia sabbiosa di Porto Ulisse è adattissima per tirare a secco le leggere navi omeriche dal basso pescaggio, mentre la vicina costa della Marza era piena di spelonche dove potersi riparare, come scrive il Camilliani nel
1500. E nella zona non mancavano oltre le grotte, fiumi, laghi, sorgenti, boschi, dove avevano dimora le Ninfe della mitologia greca! I Greci si trattengono nella nostra zona per un mese perché i venti non erano favorevoli alla navigazione. E durante questa dimora possiamo collocare la costruzione del tempio e del cenotafio, di cui parla Licofrone!
“Tutto un mese, senza riposo, Noto (Sud) soffiò e nessun altro nascea dei venti se non Euro (Scirocco) e Noto“ (325,s.). Questi venti, specie lo Scirocco, gonfiano infatti il nostro mare e durano parecchi giorni, impedendo l’uscita delle barche e dei pescherecci. Questa descrizione corrisponde perciò alle condi-zioni meteorologiche della nostra zona. Il “turbinoso vento” che ostacolava l’uscita in mare, allora come oggi, è lo scirocco; la nave non era molto distante da Porto Ulisse e non aveva ancora girato Capo Pachino, perché viene colpita dal vento di Ponente, dominante nel nostro litorale a sud, mentre il versante ionico ne è riparato. E’ poi evidente che l’eroe ritorna indietro spinto dal Ponente, perché non poteva andare controvento lungo il versante meridionale.
Durante questa sosta forzata, i compagni di Ulisse giravano “ dispersi per l’isola, d’augelli e pesci in traccia, con archi ed ami o di qual altra preda lor venisse alle man…” (330s.). Viene in mente la suggestiva descrizione del Fazello “Nella città scorre una grandissima sorgente, per cui tutta questa zona del litorale, oggi chiamata Ficallo, coi suoi fiumi, torrenti, laghi, fonti straordinariamente irrigue, offre agli uomini svariati piaceri, soprattutto con la pesca, l’uccellagione e la caccia.”.
Ulisse cerca una “solitaria piaggia, gli Eterni a supplicar se alcuna via mi si mostrasse del ritorno”. E certo l’eroe poté appartarsi in una delle numerose piccole insenature della vicina scogliera della Marza!
I compagni però, spinti dalla fame, rompono il giuramento fatto al loro capo di non toccare i vitelli del Sole e di nascosto, “ del Sol cacciate le più belle vacche di fronte larga e con le corna in alto, che dalla nave non pascean lontane” (XII, vv. 353-55), le arrostiscono al fuoco e se ne cibano.
Apollodoro (vv. 970ss.) aggiunge le due figlie del Sole: “Portava le pecore al pascolo sui prati umidi per la rugiada Faetusa… Lampezia pascolava le mandrie presso le acque del fiume, nei prati e nella piana paludosa…”.Diversi autori antichi situano nell’angolo Nord-Est della Sicilia questo episodio (Plinio, Nat. Hist., II,220; Appiano B.C., V,116; Schol. Ad Apoll. Rhod., IV, 965; Schol. Ad Odyss. XI, 107. e altri). Ma sono ipotesi non attendibili perché Ulisse, superato lo stretto, scendeva lungo il versante ionico, mentre per costeggiare il versante Nord-Est, non avrebbe dovuto superare Scilla e Cariddi!
Perciò questi armenti del Sole, considerati sacri come oggi per gli Indù che non se ne cibano, potevano ben essere quelli della razza modicana, come dice il Caruso, ma dovevano pascolare nelle vicine contrade della Marza e S. Maria, perché “dalla nave non pascean lontane”. Una conferma possiamo trovarla nell’etimo da noi proposto del fiume della Cava d’Ispica, Busaitone, dalle parole greche “bous = bue e “aedòn” = canto, muggito. Ma anche la derivazione da Poseidone, proposta da B. Pace, può mettersi in relazione col dio del Mare, padre di Polifemo e fiero nemico di Ulisse, che lo aveva accecato. Anche il tempio di Apollo, di cui parla Macrobio, sito nel versante orientale di Porto Ulisse, preesistente allo sbarco dei Libici, come già notava il Cluverio, poté essere eretto per riparare l’offesa fatta a Febo-Apollo, Dio del Sole, dallo stesso Ulisse o dai Greci che, dopo di lui, vennero a colonizzare la nostra Isola.
ARNOLD BOKLIN – ULISSE E CALIPSO
Ritorniamo al racconto omerico. Malgrado i lamenti e i rimproveri ai suoi di Ulisse, ignaro ed innocente del misfatto, Giove vendica l’irato Sole. Infatti dopo sei giorni, cessato “il turbinoso vento”, si misero in mare. “Di vista già della Trinacria usciti”, dopo breve tratto, “Zefiro [ponente] urlando, soffiando con raffica grande” (v.408s.), colpisce la nave. Le acque si intenebrarono, un vento impetuoso imperversò, ruppe le funi, le vele e l’albero maestro. La nave, colpita dal fulmine di Giove s’inabissa coi compagni e a stento l’eroe si salva legandosi all’albero spezzato. Egli supera incolume ancora una volta Scilla e Cariddi e, dopo nove giorni, naufrago in preda ai flutti, viene sbattuto nell’isola di Ogigia, dove è accolto dalla ninfa Calipso. Questa isola si è cercata dagli antichi e dai moderni in luoghi diversi: A Crotone (Scyl.13; Plin. N. H., III,96; Iambl. Vita Pith.XI, 57). Presso il lago Averno (Dio. Cass., XLVIII, 50,4). A Gozo, nell’arcipelago maltese; o nell’isola Melena o Nufea nell’Illiria (Albania), che corrispoderebbe alla “Ninfea” di Apollonio (4,574), “dove viveva la figlia di Atlante, la potente Calipso”. Callimaco invece la colloca a Gaudos presso Creta (fr. 13 Pf.), in oriente invece che in Occidente! Certamente Ulisse il naufrago Ulisse non poteva in nove giorni percorrere una grande distanza come su una nave; è perciò da escludere la collocazione, proposta dal Berard, dell’isola di Calipso nelle lontanissime Colonne d’Ercole (Stretto di Gibilterra).
Ma noi riteniamo più verosimile, per la straordinaria affinità del nome, identificarla con l’isola Ortigia, che a Siracusa separa il porto grande dal piccolo, con le vicine “cupe spelonche” del Plemmirio, ancora oggi esistenti, molto profonde e labirintiche. E Plemmirio potrebbe ben essere una deformazione di Cimme-
rio, luogo dei Cimmeri, che vivevano proprio nelle sue “cupe spelonche”!!
Dell’isola Ortigia Strabone (6,4) dice: “Isola unita da un ponte alla terraferma ed ha una fonte da cui fuoriesce un getto d’acqua che va subito in mare… Su entrambi i lati c’è un grande porto.”
Omero in Odis. VII, vv. 254ss.XII, vv.447-49. XXIII, 333ss. “La decima notte gli dei sul lido mi gettar dell’isola Ogigia, dove Calipso vive, riccioli belli, dea tremenda dalla parola umana [il fascino irresistibile della bellezza e della parola delle indigene siciliane!]. Ella m’accolse e m’ospitò di cuore e mi nutriva, nelle cupe spelonche, bramando che le fossi marito e voleva farmi immortale, senza vecchiezza per sempre”. Il sogno e l’illusione che la bellezza possa durare per sempre e dare la felicità!
Infine da Calipso Ulisse giunge all’Isola dei Feaci (Corcira-Corfù) dopo un lunga traversata di 17 giorni. Non c’è contraddizione col fatto che durante la notte non chiudeva occhio, per orientarsi con le stelle (come pensa il Columba), perché poteva riposarsi durante il giorno!
PIETRE LASTMAN 1619 - NAUSICA ACCOGLIE IL NAUFRAGO ULISSE
FRANCESCO HAYEZ 1815 – ULISSE ALLA CORTE DI ALCINOO
Un riferimento alla leggenda dello sbarco di Ulisse nel nostro porto si può rinvenire ancora nell’accenno di Virgilio (3° Eneide, vv. 698-700): “Oltrepassiamo il pingue suolo dello stagnate Eloro, indi rasentiamo gli alti scogli e le rocce prominenti di Pachino….”. Enea naviga costeggiando il litorale ionico da nord a sud e, superato il Capo Pachino, passa oltre il Promontorio Odisseo e prosegue per Camarina, Gela, Agrigento fino a Trapani: è in parte lo stesso itinerario fatto all’inverso da Ulisse, come ricorda il suo compagno Achemenide che mostra ad Enea i lidi già percorsi. E invero se riferiamo “gli alti scogli” (altas cautes) a Capo Pachino, cioè all’alta punta rocciosa dell’Isola di Capo Passero, allora unita alla terraferma, possiamo ben intendere per “le roccie che si protendono innanzi” (proiec taque saxa) la nostra Punta Castellazzo (Promontorio di Ulisse), dove già ai tempi di Virgilio c’era il castello romano dei tempi di Verre. E’ importante riportare questo passo di Procopio (VI sec. d. C., La Guerra Gotica, libro VIII, cap. XXII). sulla nave di Enea ricostruita dai Romani. “La nave di Enea esiste tuttora, spettacolo oltre ogni credere interessante. (I Romani) fecero nel mezzo della città un cantiere sulla riva del Tevere, ove collocata da quel tempo la conservano. Com’essa sia fatta io che l’ho vista, vengo a riferire. Ha un solo ordine di remi quella nave, ed è assai estesa. Misura in lunghezza centoventi piedi (circa 40 metri), in larghezza venticinque (oltre 8 metri) ed è alta quanto è possibile senza impedire la manovra dei remi. I legni che la compongono non sono né incollati fra loro né tenuti insieme per mezzo di ferri, ma sono tutti quanti d'un sol pezzo fatti sopra ogni credere ottimamente e quali, a nostra notizia, non se ne vider mai se non in quella nave… Questa nave così fatta è mirabile a vedere più di quello che possa dirsi in parole… Questi legni non ve n'ha uno che sia imputridito, niuno che si vegga tarlato, ma quella nave sana in tutto ed integra come se uscisse pur ora dalle mani del costruttore conservasi mirabilmente fino a questi giorni”.
LA NAVE DI ENEA (Affresco del I secolo d. C.)
CLAUDIO TOLOMEO – SICILIA ISOLA (particolare)
IN “SETTE GIORNATE DELLA GEOGRAPHIA” a c. di FRANCESCO BERLINGHIERI - 1482
CLAUDIO TOLOMEO – SICILIA a c. di GERARDO MERCATORE – 1584
GUILLALME DELISLE – SICILIA ANTIQUA – 1714 (particolare)
JOHANN JANSONN, SICILIAE VETERIS TYPUS, 1630
PHILIPPE BRIET, SICILIA VETUS 1649
CHRISTOPH WEIGEL, SICILIA ANTIQUA QUAE ET TRINACRIA DICTA, 1720
J. B. BBOURGUIGNON D’ANVILLE, LA SICILE POUR L’HISTOIRE ROMAINE DE M.R ROLLIN – 1740
DOMENICO LO FASO PIETRASANTA, SICILIA ANTIQUA, 1834
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